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Registrazione occulta tra colleghi: quando non basta dire “lo faccio per difendermi”

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 20487/2025 del 21 luglio 2025, ha chiarito che la registrazione occulta di una conversazione tra colleghi nei locali aziendali non è mai giustificata dal “diritto di difesa” se non sussistono requisiti stringenti di necessità, pertinenza, proporzionalità e tempestività rispetto a un procedimento giudiziario pendente o imminente. Nel caso esaminato, la registrazione – effettuata nel 2016, di durata prossima alle due ore e priva di collegamento con alcun contenzioso in atto o ragionevolmente prevedibile – è stata ritenuta meramente esplorativa, dunque illecita e disciplinarmente sanzionabile per violazione degli obblighi di fedeltà e riservatezza ex art. 2105 c.c. La Cassazione ribadisce che l’onere di provare la strumentalità difensiva grava sul lavoratore e che il “diritto di difesa” non legittima raccolte indiscriminate o preventive di dati altrui. In assenza di un nesso concreto con un diritto da tutelare, prevale la tutela della privacy interna al luogo di lavoro.

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Dipendente che beve al lavoro: cosa può fare il datore di lavoro?

Quando un datore di lavoro sospetta che un dipendente beva alcolici durante l’orario di lavoro, non può agire d’impulso, ma deve rispettare precisi limiti legali. L’uso di telecamere per controllarlo è vietato dall’articolo 4 dello Statuto dei Lavoratori (legge 300/1970), salvo casi eccezionali con autorizzazione sindacale o dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro. Tuttavia, in presenza di fondati sospetti, la Corte di Cassazione (sentenza n. 18168/2023) ritiene legittimo ricorrere a un investigatore privato per accertare comportamenti illeciti, purché l’incarico sia mirato e specifico. In alternativa, il datore può attivare il medico competente, previsto dal Dlgs 81/2008 e dalla legge 125/2001, per verificare l’idoneità del lavoratore, soprattutto se svolge mansioni a rischio come il cuoco. Se le prove confermano l’abuso di alcol, il datore può avviare un procedimento disciplinare e, nei casi più gravi, procedere al licenziamento per giusta causa, come riconosciuto dalla Corte d’Appello di Venezia (n. 83/2024) e dal Tribunale di Grosseto (n. 44/2025).

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Parità genitoriale: diritti NASpI e dimissioni senza preavviso

Il padre lavoratore dipendente del settore privato che si dimette entro il primo anno di vita del figlio gode degli stessi diritti riconosciuti alla madre: non è tenuto al preavviso e ha diritto all’indennità NASpI, purché sussistano i requisiti contributivi (13 settimane negli ultimi 4 anni e 30 giornate di lavoro negli ultimi 12 mesi). Tale equiparazione è espressamente prevista dall’art. 55, comma 1, del D.Lgs. 151/2001, che stabilisce che “la lavoratrice e il lavoratore che si dimettono nel periodo per cui è previsto, a norma dell’articolo 54, il divieto di licenziamento, non sono tenuti al preavviso” e hanno diritto “alle indennità previste [...] per il caso di licenziamento”. L’art. 54, comma 7, estende espressamente tale tutela al padre “fino al compimento di un anno di età del bambino”. La Circolare INPS n. 32/2023 conferma che “in caso di dimissioni volontarie presentate dal papà [...] fino al compimento di un anno di età del bambino, è mantenuto il diritto alle indennità previste in caso di licenziamento (es. all’indennità NASpI)”, senza alcuna distinzione tra settori. Negare tale diritto ai padri – ad esempio escludendo i lavoratori domestici – viola il principio di parità sancito dall’art. 3 della Costituzione e dall’art. 3 del D.Lgs. 151/2001, che vieta “qualsiasi discriminazione [...] in ragione dello stato di [...] paternità”. La giurisprudenza (Cass. n. 11543/2024) ha ribadito che l’INPS “ha detto meno di quanto ha voluto”, escludendo ingiustificatamente alcune categorie, e che tale comportamento configura un’interpretazione formalistica contraria alla ratio della norma: la tutela della genitorialità attiva, indipendentemente dal genere o dal tipo di contratto.

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Rottamazione 2025: una sanatoria solo per i “debitori buoni”

La nuova rottamazione fiscale in arrivo con la manovra 2025 non è una vera “pace fiscale”, ma una sanatoria mirata esclusivamente ai cosiddetti “debitori buoni”: chi ha presentato correttamente la dichiarazione dei redditi o l’IVA, ma non è riuscito a pagare o ha commesso errori nei versamenti. Sono invece esclusi evasori, destinatari di avvisi di accertamento, e chi ha debiti legati a multe o tributi locali come Imu o Tari. Il provvedimento, limitato da vincoli di bilancio (solo 3 miliardi in tre anni), introduce rateizzazioni fino a nove anni, elimina la maxi rata iniziale e prevede una rata minima di 50 euro. Tuttavia, con oltre 1.200 miliardi di debiti fiscali accumulati e il fallimento delle sanatorie passate — dove il 58% degli incassi attesi non è mai arrivato — questa misura appare più come un’operazione di cassa che come una soluzione strutturale al problema del debito.

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Vaccino anti-Covid e danni neurologici: il Tribunale di Asti condanna il Ministero a pagare un indennizzo mensile di 3.000 euro

Il Tribunale civile di Asti, con una sentenza del 26 settembre 2025, ha riconosciuto il nesso di causalità tra la vaccinazione anti-Covid con Comirnaty (Pfizer-BioNTech) e una grave forma di mielite trasversa infiammatoria in una donna di 52 anni. A seguito di danni neurologici irreversibili – comparsa pochi mesi dopo la somministrazione del vaccino – il Ministero della Salute è stato condannato a corrisponderle un indennizzo mensile di circa 3.000 euro, come previsto dalla Legge n. 210 del 1992. La decisione, sebbene di primo grado e quindi appellabile, rappresenta un precedente significativo per il riconoscimento di danni neurologici post-vaccinali e ribadisce il diritto alla tutela assistenziale dello Stato, anche in assenza di colpa o difetto del prodotto.

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Famiglie, arriva più sostegno dallo Stato: cosa cambia con la nuova manovra

La prossima manovra economica del governo mette al centro le famiglie, con un investimento di 3,5 miliardi di euro tra il 2026 e il 2028 per rafforzare il loro potere d’acquisto e sostenere la natalità. Tra le novità principali, spicca il potenziamento delle detrazioni fiscali: da ora anche chi ha un solo figlio beneficerà dello stesso trattamento riservato finora alle famiglie con due figli, con un aumento significativo del tetto delle spese detraibili — ad esempio, da 9.800 a 11.900 euro per chi guadagna tra 75.000 e 100.000 euro. Parallelamente, l’Isee verrà alleggerito grazie a due cambiamenti importanti: la scala di equivalenza sarà estesa anche alle famiglie con due figli (non solo tre, come oggi), e il valore della prima casa sarà quasi del tutto escluso dal calcolo, rendendo più facile accedere a bonus, assegno unico e altri aiuti sociali. Il pacchetto include anche il potenziamento del bonus per le mamme lavoratrici (da 40 a 60 euro al mese), il rifinanziamento del bonus nascita da 1.000 euro, la conferma del congedo parentale e l’istituzione di un Fondo per la previdenza complementare legato alle nuove nascite. Infine, viene rinnovata la “Carta dedicata a te”, un contributo una tantum di 500 euro per l’acquisto di generi alimentari, destinato alle famiglie con Isee fino a 15.000 euro. Tutte queste misure saranno formalizzate nella prossima Legge di Bilancio, con l’obiettivo chiaro di ridurre il carico fiscale e burocratico sui nuclei familiari e contrastare la povertà.

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Licenziamento illegittimo se il datore non valuta l’impatto della modifica dell’orario sul caregiver:

Estratto della sentenza Cassazione Civile, Sez. Lav., 03 luglio 2025, n. 18063 La Cassazione Civile, Sez. Lav., 03 luglio 2025, n. 18063 ha accolto il ricorso di un lavoratore caregiver licenziato dopo aver rifiutato un cambio di orario che gli avrebbe impedito di assistere la moglie disabile, titolare di protezione ai sensi della legge 104/1992. La Corte ha rilevato che il datore di lavoro non aveva adempiuto all’obbligo di repêchage, non avendo valutato la possibilità di ricollocare il dipendente in un altro ruolo con il medesimo orario a ciclo continuo – regime già in uso in azienda e successivamente assegnato a nuovi assunti. Inoltre, la Corte d’appello aveva omesso di esaminare la domanda alternativa di licenziamento discriminatorio, violando il diritto del lavoratore a una tutela effettiva contro discriminazioni legate alla condizione di caregiver. Per questi vizi, la sentenza di legittimità è stata cassata e la causa rinviata.

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Nessun compenso per l’amministratore di condominio senza rinnovo formale del mandato:

L’articolo riporta una recente sentenza del Tribunale di Massa (n. 432 del 4 agosto 2023) che chiarisce un aspetto cruciale del diritto condominiale: l’amministratore di condominio, una volta scaduto il mandato e in assenza di un rinnovo formale da parte dell’assemblea, non ha diritto ad alcun compenso, neppure se i condomini approvano il bilancio che include la sua parcella. Dopo il biennio previsto dall’art. 1129 del Codice Civile (un anno più un rinnovo automatico), l’incarico termina e l’amministratore entra in una fase di prorogatio imperii, durante la quale può compiere solo atti urgenti e conservativi, ma non attività ordinarie. In questa fase, non può pretendere il compenso, salvo il rimborso delle spese documentate per interventi indispensabili. La sentenza mette in guardia sia i condomini che gli amministratori dall’errata prassi dei “rinnovi taciti” e ribadisce che la forma è sostanza: senza una delibera esplicita di riconferma, ogni pagamento per servizi ordinari è illegittimo e può essere richiesto indietro.

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La riforma del recupero crediti: quando l’avvocato sostituisce il giudice.

La riforma del recupero crediti introdotta dal DDL 978 prevede che l’avvocato del creditore, e non più il giudice, possa emettere un’intimazione ad adempiere che, se non contestata entro 40 giorni, diventa titolo esecutivo. Questo elimina il controllo preventivo del magistrato previsto oggi dal procedimento monitorio (decreto ingiuntivo), con l’obiettivo di accelerare le procedure, ma solleva forti preoccupazioni sul diritto di difesa dei debitori, soprattutto dei consumatori. Parallelamente, un altro disegno di legge delega interviene sull’esecuzione forzata, introducendo aggiustamenti tecnici per renderla più efficiente: tra le novità, la vendita privata dell’immobile pignorato da parte del debitore (con garanzie), l’abolizione della formula esecutiva, l’anticipazione della nomina del custode, e l’estensione delle norme antiriciclaggio alle vendite esecutive. Si tratta di una riforma più tecnica e meno rivoluzionaria rispetto a quella del DDL 978, ma comunque significativa per la pratica forense. In sintesi: da un lato si semplifica drasticamente l’accesso all’esecuzione forzata; dall’altro si cerca di ottimizzarne lo svolgimento, con attenzione a equilibrio, trasparenza e tempi.

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Il nuovo volto del salario minimo in Italia:

Con questa legge, l’Italia compie un passo storico verso un mercato del lavoro più equo e trasparente. Sebbene la piena operatività del sistema dipenda dai futuri decreti attuativi, la direzione è chiara: nessun lavoratore dovrà più essere pagato al di sotto di un livello minimo dignitoso, stabilito non da logiche di concorrenza al ribasso, ma dal valore del lavoro stesso.

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Il licenziamento della lavoratrice divenuta disabile:

Il licenziamento di una lavoratrice divenuta disabile non è automaticamente illegittimo, ma può ritenersi giustificato qualora il datore di lavoro dimostri l’assenza di mansioni compatibili con il suo stato di salute all’interno dell’organizzazione aziendale. La Corte di Cassazione, con le sentenze n. 18245 e n. 17789 del 2025, ha ribadito che la sopravvenuta inidoneità assoluta e permanente – accertata da organi medico-legali – integra una causa legittima di recesso datoriale solo se non sussistono posizioni lavorative alternative idonee a rispettare le prescrizioni sanitarie. Il datore ha l’onere di provare concretamente l’impossibilità di ricollocamento, tenendo conto delle dimensioni, della struttura e dell’organizzazione dell’azienda, senza che ciò comporti l’obbligo di creare posti ad hoc, ma richiedendo comunque un’effettiva verifica delle opportunità esistenti.

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Licenziamento illegittimo e tutela del lavoratore:

Nel 2025, la Corte Costituzionale e la Corte di Cassazione hanno ridefinito i confini della tutela contro il licenziamento illegittimo, dichiarando incostituzionale il tetto massimo di sei mensilità di indennità per le PMI (art. 9, Jobs Act) e rafforzando la protezione antidiscriminatoria, anche nei casi in cui il recesso sia formalmente giustificato da esigenze organizzative. In particolare, con l’ordinanza n. 460/2025 (R.G.N. 11134/2022), la Cassazione ha chiarito che la sussistenza di un motivo organizzativo non esclude la natura discriminatoria del licenziamento, soprattutto quando colpisce un lavoratore con grave handicap ai sensi della legge 104/1992. La giurisprudenza conferma inoltre che l’onere della prova della non discriminazione spetta al datore di lavoro, una volta che il lavoratore abbia fornito elementi plausibili a sostegno della propria tesi.

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