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Conti opachi in condominio? L’amministratore paga di tasca sua

Quando i conti del condominio “tornano” ma non convincono, la legge non guarda solo ai numeri: l’amministratore è obbligato a rendere ogni spesa chiara, tracciabile e documentata. Se non allega fatture, inserisce entrate fittizie o usa i fondi per scopi diversi da quelli deliberati, commette mala gestio — anche se non ha sottratto un euro. Il Tribunale di Roma, con la sentenza n. 12772/2025, ha stabilito che la trasparenza è un dovere, non un optional: in sua assenza, l’amministratore deve risarcire il condominio, compresi i costi della perizia contabile richiesta per fare chiarezza. Gestire soldi altrui significa meritare fiducia ogni giorno — non solo non rubare, ma dimostrare, con i documenti, di averli spesi bene.

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Reagire con le mani al posto delle parole? Rischi il licenziamento in tronco

Reagire con le mani a un insulto sul posto di lavoro — anche se provocati — comporta il licenziamento per giusta causa. Lo ha ribadito la Corte d’Appello di Milano con la sentenza n. 853/2025, sottolineando che non conta chi ha iniziato la lite: chi passa alle vie di fatto rompe irrimediabilmente il rapporto di fiducia con il datore, rendendo impossibile la prosecuzione del rapporto di lavoro. La violenza, in azienda, non è mai una risposta legittima.

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Quando il vicino diventa una minaccia: il diritto contro lo stalking condominiale

Lo stalking condominiale non è un semplice litigio tra vicini: è un reato penale previsto dall’articolo 612-bis del codice penale, che si configura quando condotte reiterate — come insulti, minacce, rumori molesti o danneggiamenti — generano nella vittima un grave stato di ansia, timore per la propria incolumità o la necessità di cambiare le proprie abitudini di vita. La Cassazione ha chiarito che anche due sole azioni, se mosse da intento persecutorio, possono bastare a integrare il reato, e che le sole dichiarazioni coerenti della vittima possono giustificare l’incriminazione dello stalker. Vivere in condominio non significa dover subire la paura tra le mura di casa.

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Quando la Cassazione entra nella tua vita: nuove regole per condomini, lavoratori e migranti

La Corte di Cassazione, con una serie di sentenze depositate l’11 novembre 2025, ha ridefinito i confini del diritto nella vita quotidiana: dal riconoscimento dello stalking condominiale alla tutela del lavoro carcerario, dalla difesa della libertà sindacale al divieto di espulsione automatica per stranieri integrati. In un’epoca di incertezze, la Suprema Corte sceglie di mettere al centro la dignità della persona, la proporzionalità delle sanzioni e il rispetto delle regole condivise, dimostrando che il diritto non è mai lontano — è dentro le nostre case, i nostri uffici, le nostre vite.

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Cassazione ribalta il rifiuto dell’indennità di accompagnamento: la “supervisione continua” equivale all’“aiuto permanente”

La Corte di Cassazione ha stabilito che la “supervisione continua” nella deambulazione soddisfa il requisito legale per l’indennità di accompagnamento previsto dall’art. 1 della legge n. 18/1980, poiché implica l’impossibilità di camminare senza l’aiuto permanente di un accompagnatore. La sentenza ribadisce che tale condizione, se continua e non episodica, integra pienamente la fattispecie normativa, a prescindere dalla valutazione della residua autonomia funzionale secondo la scala di Barthel.

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Il lavoratore con limiti medici che svolge un’altra attività: quando il licenziamento regge davvero in tribunale?

l licenziamento di un lavoratore con limiti medici che svolge un’altra attività non è mai automaticamente legittimo. La Corte di Cassazione ricorda che «la limitazione dell’idoneità al lavoro non comporta, di per sé, l’assoluta impossibilità di svolgere qualsiasi altra attività lavorativa» (Sentenza n. 22545 del 10 novembre 2017, Sez. Lavoro). Spetta al datore provare, in concreto, l’incompatibilità tra le mansioni esterne e lo stato di salute del dipendente — e aver prima escluso ogni possibilità di ricollocazione interna. Senza queste prove, il recesso rischia di essere dichiarato illegittimo.

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Paralisi dell’assemblea condominiale: quando il giudice nomina un commissario per salvare l’edificio

In un condominio , gravi danni strutturali — cornicioni pericolanti, distacchi di calcestruzzo, infiltrazioni d’acqua — richiedevano interventi urgenti, confermati anche dai Vigili del Fuoco e da un CTU nominato dal tribunale. Tuttavia, l’assemblea era paralizzata: i dissidi tra condomini impedivano il raggiungimento della maggioranza necessaria (più della metà dei partecipanti con almeno 500 millesimi) per deliberare i lavori. Cinque condomini hanno quindi presentato ricorso ex articolo 1105, quarto comma, del Codice civile, chiedendo l’intervento del giudice. Con decreto del 5 novembre 2025, il Tribunale ha nominato un commissario ad acta, attribuendogli il potere di affidare i lavori, seguirne l’esecuzione e ripartire le spese secondo gli articoli 1123 e 1126 c.c., superando così la paralisi assembleare in via sostitutiva e urgente.

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Il diritto di andare in bagno sul lavoro: un diritto fondamentale, non un privilegio

L’argomento riguarda il diritto del lavoratore a soddisfare le proprie esigenze fisiologiche durante l’orario di lavoro, riconosciuto come parte integrante della tutela della dignità personale e della sicurezza psicofisica sul posto di lavoro. La recente ordinanza della Corte di Cassazione n. 12504/2025 ha ribadito che un datore di lavoro non può, né direttamente né per carenza organizzativa, impedire a un dipendente di andare in bagno in caso di urgenza — pena il risarcimento per danno non patrimoniale. La giurisprudenza chiarisce che il bisogno fisiologico “non può attendere” e che ogni azienda deve prevedere procedure efficaci per gestire queste situazioni, senza umiliare o esporre il lavoratore a condizioni degradanti.

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Detrazione per figlio maggiorenne: spetta ancora al 100% al genitore affidatario senza bisogno di nuovo accordo

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 15224 del 7 giugno 2025, ha stabilito che la detrazione fiscale per i figli a carico spetta nella stessa misura anche dopo il compimento della maggiore età, senza che sia necessario un nuovo accordo tra i genitori. In particolare, se durante la minore età un genitore affidatario fruiva del 100% della detrazione, può continuare a farlo anche per il figlio maggiorenne, purché questi resti a carico fiscalmente. La decisione ribadisce il principio già espresso dall’Agenzia delle Entrate con la Circolare n. 15/E del 2007.

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Quando il controllo diventa persecuzione: la Cassazione frena i datori di lavoro invasivi e riafferma la dignità del lavoratore malato.

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 23578/2025, ha ribadito che il datore di lavoro non può ricorrere a controlli invasivi sulla vita privata di un dipendente assente per malattia se non esiste un fondato e concreto sospetto di illecito. L’uso di agenzie investigative per pedinare il lavoratore per 16 giorni — anche durante le festività, al di fuori delle fasce di reperibilità (10–12 e 17–19) e coinvolgendo familiari e terzi — è stato giudicato sproporzionato e illegittimo, violando i principi di proporzionalità, minimizzazione e rispetto della privacy (GDPR e art. 2 Cost.). Di conseguenza, il licenziamento basato su tali prove è nullo, poiché le stesse sono inutilizzabili in giudizio. La giurisprudenza chiarisce che il datore ha a disposizione strumenti legittimi (come la visita fiscale INPS) per verificare l’effettiva malattia: ricorrere a metodi eccessivi configura non solo un abuso di potere, ma potenzialmente un mobbing, sanzionabile ai sensi dell’art. 2087 c.c. e, in casi gravi, dell’art. 610-bis c.p. Il lavoratore può quindi difendersi in giudizio dimostrando l’assenza di un reale sospetto, l’ossessività del controllo e l’intento vessatorio, con documentazione, testimonianze e comunicazioni datoriali. La visita fiscale ripetuta non è di per sé illegittima, ma diventa tale se inserita in una strategia persecutoria, come confermato dal Tribunale di Teramo (sent. n. 248/2023).

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Pignoramento Senza Giudice: Una Riforma a Tutela del Credito d’Impresa alla Luce della Giurisprudenza della Cassazione

Il pignoramento senza autorizzazione giudiziale, introdotto con il decreto-legge n. 132/2014 e confermato dalle successive riforme, consente al creditore munito di titolo esecutivo di avviare direttamente l’esecuzione forzata presso terzi, senza attendere un provvedimento del giudice. La Corte di Cassazione, con una giurisprudenza ormai consolidata (tra cui le sentenze n. 19840/2022, n. 8572/2021 e n. 24108/2020), ha riconosciuto la legittimità di questa procedura, sottolineandone l’efficacia nel tutelare il credito d’impresa, pur nel rispetto delle garanzie difensive del debitore e degli obblighi di cooperazione del terzo pignorato.

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Subordinazione o autonomia? Il Tribunale di Roma decide “secondo equità”

La sentenza emessa il 3 novembre 2025 dal Tribunale di Roma in funzione di giudice del lavoro, affronta il delicato tema della qualificazione del rapporto di lavoro in assenza di regolarizzazione formale. Pur riconoscendo che la ricorrente ha effettivamente prestato attività lavorativa per la società resistente tra aprile e giugno 2024 – con mansioni di coordinamento, uso di strumenti aziendali e interazione costante con dipendenti e clienti – il giudice rileva l’impossibilità di accertare in modo certo gli elementi essenziali della subordinazione: durata esatta del rapporto, orario effettivo, inquadramento contrattuale e, soprattutto, compatibilità con la contemporanea percezione della NaSPi, incompatibile con lo status di lavoratore subordinato. In mancanza di prova rigorosa, il Tribunale decide secondo equità (art. 127‑ter c.p.c.), condannando la società al pagamento di € 2.000,00 lordi, pur senza riconoscere alcuna qualifica di subordinazione, nemmeno ai fini contributivi. Respinta anche la domanda riconvenzionale per la restituzione di computer e SIM aziendale, in quanto consegnati in un contesto di totale informalità e senza obblighi espliciti di riconsegna. La decisione riflette un equilibrio tra tutela del lavoro effettivamente svolto e rigore probatorio richiesto dalla giurisprudenza, evitando sia la sanzione automatica del datore che la qualificazione artificiosa del rapporto.

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