Il lavoro subordinato nascosto: come la Cassazione smonta il “finto autonomo” con 7 indizi che i giudici non possono ignorare.
Il lavoro è davvero subordinato quando, al di là della forma contrattuale, il lavoratore è inserito stabilmente nell’organizzazione aziendale e assoggettato al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro. Elementi decisivi — come ribadito dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 25114/2025 — sono: l’obbligo di osservare un orario preciso, la giustificazione di assenze, l’uso di strumenti aziendali, il controllo continuo sull’attività, l’imposizione di compiti non previsti nel contratto (es. attività “inbound” in un call center), e l’assenza di autonomia nella gestione del lavoro. La prova testimoniale può essere sufficiente a dimostrare questi fatti, e la mancata contestazione specifica dei conteggi retributivi da parte del datore determina la loro ammissione automatica (art. 115 c.p.c.). Inoltre, in caso di appalto illecito — anche in assenza di contratto formale — il committente è obbligato in solido al pagamento dei crediti retributivi (Trib. Roma, 6 gennaio 2025). La giurisprudenza è chiara: prevale sempre la realtà fattuale sulla qualificazione formale del rapporto.

