Quando un datore di lavoro sospetta che un dipendente beva alcolici durante l’orario di lavoro — magari un cuoco in una cucina piena di fiamme, coltelli e macchinari pericolosi — si trova di fronte a un problema serio: da un lato deve tutelare la sicurezza di tutti, dall’altro deve rispettare i diritti del lavoratore. Ma la legge non lascia il datore “disarmato”: esistono strumenti precisi e legali per intervenire, purché si seguano le regole.
Telecamere? Attenzione alle regole
La prima idea potrebbe essere quella di installare una telecamera per sorvegliare il dipendente. Tuttavia, l’articolo 4 dello Statuto dei Lavoratori (legge 300/1970) vieta l’uso di impianti audiovisivi per controllare a distanza l’attività dei lavoratori. Le telecamere sono ammesse solo per esigenze organizzative, produttive, di sicurezza o per tutelare il patrimonio aziendale — e sempre con un accordo sindacale o l’autorizzazione dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro (INL). Filmare un dipendente solo per controllare se beve, quindi, è illegittimo e viola la sua dignità e la sua riservatezza, tutelate anche dal GDPR (Regolamento UE 2016/679).
Investigatore privato: sì, ma con fondati sospetti
Se però ci sono fondati sospetti di comportamenti illeciti — come bere al lavoro in modo da mettere a rischio la sicurezza — la legge ammette un’eccezione. La giurisprudenza della Corte di Cassazione ha chiarito che in questi casi il datore può ricorrere a controlli difensivi, come l’uso di un investigatore privato. Secondo la Cassazione, sentenza n. 18168/2023, è legittimo incaricare un’agenzia investigativa per accertare se il dipendente consumi alcolici durante l’orario di servizio, purché l’incarico sia specifico e mirato, non un controllo generico. L’investigatore può anche fingersi cliente e redigere una relazione valida in sede disciplinare.
Alcol test? Sì, ma solo tramite il medico competente
Un’altra strada è quella sanitaria. Il Testo Unico sulla Sicurezza nei luoghi di lavoro (Dlgs 81/2008) e la legge quadro in materia di alcol (n. 125/2001) obbligano il datore a sottoporre a controlli sanitari i lavoratori con mansioni a rischio — come i cuochi. In questi casi, il medico competente può effettuare accertamenti per verificare l’assenza di alcol-dipendenza o di assunzione di alcolici che compromettano l’idoneità alla mansione. Questo accertamento è legittimo e fornisce una prova oggettiva.
Cosa rischia il dipendente?
Se le prove — investigative o mediche — confermano che il dipendente beve al lavoro, il datore può avviare un procedimento disciplinare seguendo l’articolo 7 dello Statuto dei Lavoratori: va inviata una contestazione scritta e va dato al lavoratore il tempo di difendersi. Le sanzioni variano: il Contratto Collettivo Nazionale del settore turismo e pubblici esercizi prevede la sospensione per chi si presenta in stato di alterazione. Ma la giurisprudenza va oltre: la Corte d’Appello di Venezia (1° febbraio 2024, n. 83) ha ritenuto che lo stato di ebbrezza durante il servizio costituisca un gravissimo inadempimento che lede il rapporto di fiducia, legittimando il licenziamento per giusta causa. Anche il Tribunale di Grosseto (5 febbraio 2025, n. 44) ha confermato che un comportamento del genere, che mette a rischio la salute propria e altrui, può giustificare la sanzione espulsiva.
In sintesi: il datore non può agire d’impulso, ma ha strumenti legali per intervenire — basta usarli nel modo corretto e rispettoso della legge.

