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Licenziamento per colpa grave della lavoratrice madre: quando si configura?

Licenziamento per colpa grave della lavoratrice madre: quando si configura?

a Corte di Cassazione, con ordinanza n. 22202 del 6 agosto 2024, ha dichiarato che è illegittimo, per difetto del requisito della colpa grave, il licenziamento intimato alla lavoratrice madre che non rientra al lavoro al termine del congedo obbligatorio di maternità (per essere incorsa in errore circa la data del rientro) se la stessa ha richiesto un periodo di ferie all’azienda che tuttavia, violando i principi di buona fede e correttezza, decideva di non comunicare formalmente il diniego.

L’art. 54, comma 1 del D.Lgs n. 151/2001 prevede che le lavoratrici non possono essere licenziate dall’inizio del periodo di gravidanza fino al compimento di un anno di età del bambino; le stesse tutele si applicano nei confronti del lavoratore padre che ha fruito del congedo di paternità obbligatorio e/o alternativo.

Tra le eccezioni al divieto di licenziamento vi è la colpa grave della lavoratrice.

La Corte di Cassazione in numerose occasioni (cfr. Cass., n. 2004/2017, n. 19912/2011) ha chiarito che la stessa non si identifica con il giustificato motivo soggettivo o la giusta causa, ma è una colpa diversa e più grave di quella prevista dai contratti collettivi per i generici casi di inadempimento del dipendente sanzionati con la risoluzione del rapporto.

In un caso recente (Cass., n. 35617/2023) riguardante il licenziamento di una lavoratrice, nonché socia della società, per aver agito giudizialmente nei confronti della società per accertare un suo diritto di credito, poi riconosciuto non dovuto, è stato affermato che l’accertamento della responsabilità ex art. 96 c.p.c in sede civile non può esplicare alcuna influenza sulla colpa grave ex art. 54 D.Lgs n. 151/2001 che risponde a criteri cronologici (non limitati all’ambito processuale), contenutistici e di colpa differenti.

Nel caso di specie, una lavoratrice veniva licenziata per colpa grave all’esito di un procedimento disciplinare per non essere rientrata al lavoro al termine del periodo di congedo obbligatorio di maternità.

Sia il Tribunale che la Corte d’Appello giudicavano il licenziamento illegittimo per difetto del requisito della colpa grave.

La lavoratrice, infatti, accortasi dell’errore circa la corretta data del rientro al lavoro, aveva in un primo momento richiesto al patronato che la assisteva di promuovere un incontro con il proprio datore di lavoro per risolvere la situazione e in un secondo momento avanzato una richiesta di ferie all’azienda di 26 giorni di modo da poter continuare ad assistere il neonato.

L’azienda decideva di non comunicare formalmente il diniego delle ferie alla lavoratrice; tale comportamento veniva giudicato dai giudici di merito non rispettoso dei principi di buona fede e correttezza, sembrando finalizzato a far insorgere una situazione di incertezza nella dipendente tale da ritorcersi a suo danno.

Andava escluso, pertanto, che la mera assenza ingiustificata della lavoratrice (pur costituendo giusta causa di licenziamento ai sensi del CCNL) potesse giustificare il recesso dell’azienda.

La Corte di Cassazione ricorda che la colpa grave, quale eccezione al divieto di licenziamento, non può ritenersi integrata dalla sussistenza di un giustificato motivo soggettivo o della giusta causa prevista da contratto collettivo, dovendosi invece “verificare se sussista quella colpa specificamente prevista dalla suddetta norma e diversa, per l’indicato connotato di gravità, da quella prevista dalla disciplina pattizia per i generici casi d’inadempimento del lavoratore sanzionati con la risoluzione del rapporto”.

La verifica in ordine alla sussistenza della colpa grave, demandata al giudice di merito, dovrà necessariamente estendersi ad un’ampia ricostruzione fattuale del caso concreto e alla considerazione della vicenda nella pluralità delle sue componenti, tenendo in considerazione le possibili ripercussioni sui piani personale, psicologico, familiare ed organizzativo della fase dell’esistenza in cui la donna si trova.

Nel caso in esame, il giudizio di fatto operato dal giudice di merito risultava non sindacabile in sede di legittimità.

La Corte di Cassazione con la pronuncia in commento ribadisce un principio ormai consolidato ma di tutt’altro che agevole applicazione per le aziende.

Non sarà sufficiente per l’adozione del provvedimento di recesso per colpa grave la sussistenza della giusta causa o del giustificato motivo (pensiamo, ad esempio, all’assenza ingiustificata per oltre quattro giorni consecutivi, spesso esemplificata dai vari CCNL tra le condotte che possono portare al licenziamento), trattandosi di un’ipotesi di colpa più qualificata dal punto di vista soggettivo (c.d. colpa morale), in ragione delle specifiche condizioni psico-fisiche della dipendente che richiede situazioni più complesse rispetto a quanto previsto dall’art. 2119 c.c. e dai contratti collettivi.

Il giudice di merito, nel suo ambito di indagine, dovrà tenere in considerazione il comportamento complessivo della lavoratrice, in relazione alle sue particolari condizioni psico-fisiche legate allo stato di gestazione, le quali potranno assumere rilievo al fine di escludere la gravità del comportamento sanzionato solo in quanto abbiano operato come fattori causali o concausali dello stesso.

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