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Scarso rendimento e controlli difensivi: i confini giuridici del “fondato sospetto” secondo la Cassazione.

Lo scarso rendimento di un dipendente può costituire un “fondato sospetto” utile a legittimare controlli difensivi tecnologici ex post, ma solo se risponde a requisiti rigorosi: deve trattarsi di una “enorme sproporzione” tra prestazione attesa e prestazione effettiva, protratta nel tempo, imputabile al lavoratore (e non a carenze organizzative) e rilevata in modo lecito. La Cassazione, con l’ordinanza n. 24564/2025, ribadisce che mancano questi presupposti, il controllo diventa arbitrario e viola il diritto alla riservatezza del lavoratore.

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Portieri 4.0: tra pacchi dell’e-commerce e chiavi di Airbnb – il nuovo CCNL ridefinisce il ruolo del custode tra diritti, responsabilità e innovazione

Il rinnovato CCNL per i dipendenti da proprietari di fabbricati (valido fino al 31 ottobre 2028) ridefinisce il ruolo del portiere, introducendo nuove mansioni strutturate legate alla gestione degli affitti brevi e alla ricezione dei pacchi. Viene istituita un’indennità di 15 euro mensili per ogni appartamento in affitto breve, a carico esclusivo del proprietario, e il portiere è esentato da ogni responsabilità grazie a una clausola di manleva. L’introduzione di tali compiti richiede il voto dell’assemblea condominiale e il consenso del lavoratore, mentre la gestione dei pacchi è regolata da un ordine di servizio personalizzato per evitare sovraccarichi logistici. Il contratto prevede inoltre aumenti retributivi, welfare sanitario esteso ai familiari e l’affidamento della manutenzione ordinaria del verde, proiettando la figura del portiere in una dimensione moderna, tutelata e funzionale alle esigenze urbane contemporanee.

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Quando lo stipendio non arriva: il diritto di andarsene senza preavviso e con la testa alta

Quando lo stipendio non arriva, il lavoratore non è costretto a subire in silenzio. Il ritardo prolungato nel pagamento può configurare una giusta causa di dimissioni, consentendo di recedere dal rapporto di lavoro senza preavviso, con diritto all’indennità sostitutiva del preavviso e all’indennità di disoccupazione NASpI. La legittimità di questa scelta dipende dal Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL) applicato e dalla gravità del ritardo, valutata caso per caso dal giudice – in particolare se si tratta di due o più mensilità non pagate, con conseguenze concrete sulla vita del dipendente. La giurisprudenza è chiara: la retribuzione ha una funzione alimentare essenziale, e il suo mancato pagamento mina il fondamento stesso del rapporto di fiducia tra datore e lavoratore (art. 2119 c.c.; Cass. Civ., Sez. I, n. 21438/2023).

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Licenziamento illegittimo: il datore può rifiutare la reintegrazione del lavoratore e pagare un’indennità?

No, il datore di lavoro non può unilateralmente rifiutare la reintegrazione di un dipendente licenziato illegittimamente e sostituirla con un pagamento. La legge italiana — in particolare l’articolo 3, comma 6, del d.lgs. 23/2015 — prevede che sia il lavoratore, non il datore, a scegliere se rinunciare alla reintegra richiedendo un’indennità sostitutiva pari a 15 mensilità. Fino a quel momento, l’obbligo di riassunzione sussiste.

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Le Nuove Frontiere del Diritto del Lavoro nel 2025 – Tra Controlli, Licenziamenti, Stress Organizzativo e Tutele Costituzionali

Nel 2025 il diritto del lavoro si è trasformato radicalmente: la Corte di Cassazione ha chiarito che un patto di prova privo delle mansioni è nullo “geneticamente”, rendendo il licenziamento per “mancato superamento” illegittimo ab origine e scatenando la tutela reintegratoria. Al contempo, le aziende sono ora responsabili per stress lavoro-correlato anche senza mobbing: basta un ambiente oggettivamente stressogeno e la mancata adozione di misure correttive (Cass., ord. n. 10730/2025). Il DDL Lavoro 2024, in vigore dal 2025, introduce regole stringenti su periodi di prova, assenze ingiustificate (equiparate a dimissioni) e obblighi di trasparenza durante la cassa integrazione. Un nuovo paradigma si afferma: il lavoro non è solo prestazione, ma spazio di dignità, salute e diritti effettivi.

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Lo smart working come accomodamento ragionevole per i lavoratori con disabilità: l’orientamento della Corte di Cassazione del 10 gennaio 2025

L’ordinanza della Corte di Cassazione n. 605 del 10 gennaio 2025 segna un passo decisivo nella tutela dei lavoratori con disabilità: lo smart working, quando idoneo e privo di oneri sproporzionati per l’azienda, può costituire un “accomodamento ragionevole” ai sensi della normativa antidiscriminatoria. Il rifiuto del datore di lavoro di valutare tale soluzione – ad esempio in caso di trasferimento problematico – può configurare una discriminazione illegittima e rendere nullo il conseguente licenziamento. La sentenza riafferma così il dovere del datore di adottare misure attive per preservare il posto di lavoro del disabile, in coerenza con la Direttiva UE 2000/78/CE e con i principi di buona fede, correttezza e solidarietà sociale.

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Cassazione ribalta il rifiuto dell’indennità di accompagnamento: la “supervisione continua” equivale all’“aiuto permanente”

La Corte di Cassazione ha stabilito che la “supervisione continua” nella deambulazione soddisfa il requisito legale per l’indennità di accompagnamento previsto dall’art. 1 della legge n. 18/1980, poiché implica l’impossibilità di camminare senza l’aiuto permanente di un accompagnatore. La sentenza ribadisce che tale condizione, se continua e non episodica, integra pienamente la fattispecie normativa, a prescindere dalla valutazione della residua autonomia funzionale secondo la scala di Barthel.

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Trasferimento punitivo nell’emergenza rifiuti? 

L’emergenza rifiuti non giustifica un trasferimento punitivo né un licenziamento. Lo ribadisce la Cassazione con la sentenza n. 18347/2023: neppure lo stato di crisi autorizza il datore a derogare unilateralmente al contratto di lavoro. Il diritto del lavoro, anche — e soprattutto — in emergenza, resta inviolabile.

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Cessione di ramo d’azienda, “newco” e licenziamenti: quando l’autonomia è solo una finzione giuridica?

La cessione di un ramo d’azienda a una newco costituita con capitale irrisorio — spesso appena 10 euro — e priva di autonomia organizzativa, mezzi funzionali, clienti o capacità decisionale, non soddisfa i requisiti di legittimità richiesti dall’art. 2112 c.c.. Come chiarito dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 17201 del 26 giugno 2025, non sussiste trasferimento di ramo d’azienda quando l’attività della società cessionaria rimane «indissolubilmente legata» alla cedente, in una condizione di vera e propria dipendenza operativa. In tali casi, il ramo non è un’entità economica autonoma preesistente, ma un aggregato di lavoratori privo di know-how e capacità imprenditoriale, con la conseguenza che il trasferimento è inefficace e i rapporti di lavoro permane in capo al cedente.

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Il lavoratore con limiti medici che svolge un’altra attività: quando il licenziamento regge davvero in tribunale?

l licenziamento di un lavoratore con limiti medici che svolge un’altra attività non è mai automaticamente legittimo. La Corte di Cassazione ricorda che «la limitazione dell’idoneità al lavoro non comporta, di per sé, l’assoluta impossibilità di svolgere qualsiasi altra attività lavorativa» (Sentenza n. 22545 del 10 novembre 2017, Sez. Lavoro). Spetta al datore provare, in concreto, l’incompatibilità tra le mansioni esterne e lo stato di salute del dipendente — e aver prima escluso ogni possibilità di ricollocazione interna. Senza queste prove, il recesso rischia di essere dichiarato illegittimo.

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Il diritto di andare in bagno sul lavoro: un diritto fondamentale, non un privilegio

L’argomento riguarda il diritto del lavoratore a soddisfare le proprie esigenze fisiologiche durante l’orario di lavoro, riconosciuto come parte integrante della tutela della dignità personale e della sicurezza psicofisica sul posto di lavoro. La recente ordinanza della Corte di Cassazione n. 12504/2025 ha ribadito che un datore di lavoro non può, né direttamente né per carenza organizzativa, impedire a un dipendente di andare in bagno in caso di urgenza — pena il risarcimento per danno non patrimoniale. La giurisprudenza chiarisce che il bisogno fisiologico “non può attendere” e che ogni azienda deve prevedere procedure efficaci per gestire queste situazioni, senza umiliare o esporre il lavoratore a condizioni degradanti.

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