1. Il principio generale: l’intervallo per il pasto è obbligatorio oltre le sei ore
L’articolo 8 del decreto-legge 66/2003, convertito in legge 131/2003, stabilisce in modo chiaro che “quando la durata giornaliera del lavoro eccede le sei ore, deve essere concesso al lavoratore un intervallo per la consumazione del pasto”. Tale disposizione si applica a tutti i settori, compreso il pubblico impiego privatizzato, e non distingue tra lavoratori turnisti e non turnisti.
L’intervallo per il pasto è quindi un diritto di legge, non una concessione aziendale. Il suo scopo è tutelare la salute e la dignità del lavoratore, garantendo un momento di riposo fisiologico in giornate lavorative prolungate.
2. Cassazione, ordinanza n. 25525/2025: il buono pasto sostitutivo è obbligatorio se non c’è la mensa
Il 17 settembre 2025, la Corte di Cassazione (Sez. Lavoro) ha emesso un’ordinanza destinata a fare giurisprudenza. Il caso riguardava 14 infermieri turnisti dell’Azienda sanitaria provinciale di Messina, ai quali era stato negato l’accesso alla mensa – e quindi al buono pasto sostitutivo – sulla base di un regolamento interno che riservava tale diritto solo al personale non turnista.
La Suprema Corte ha ribaltato questa prassi, affermando con chiarezza che:
“Il diritto al pasto (o al buono sostitutivo) scaturisce automaticamente dal superamento della soglia delle sei ore di lavoro, a prescindere dalla tipologia contrattuale o dall’orario turnistico”.
In particolare, la Corte ha richiamato il CCNL del comparto sanità del 2001, che recepisce il principio generale di cui al D.L. 66/2003, e ha sottolineato che la continuità assistenziale non può giustificare la negazione del diritto al pasto, ma al massimo ne modifica la forma: se non è possibile accedere alla mensa, il datore deve fornire un buono pasto sostitutivo.
Questa decisione ha un valore generale, non limitato al settore sanitario: ogni volta che un lavoratore supera le sei ore di prestazione e non può usufruire di una mensa, il buono pasto diventa un corrispettivo obbligatorio del diritto all’intervallo.
3. Part-time e straordinari: anche i contratti brevi possono generare il diritto
Un aspetto spesso trascurato riguarda i lavoratori a tempo parziale. Secondo l’articolo 4 del Decreto 122/2017, i dipendenti con contratto part-time possono ricevere buoni pasto nei giorni lavorati, anche in assenza di una pausa pranzo formalizzata.
Ciò significa che non è rilevante la durata contrattuale media, ma l’effettiva prestazione giornaliera. Ad esempio:
- Un dipendente con contratto da 4 ore che, in un determinato giorno, effettua 2 ore di straordinario (arrivando a 6 ore totali) non ha ancora diritto all’intervallo, perché la soglia è superiore a 6 ore (quindi 7 ore o più).
- Tuttavia, se lo stesso lavoratore supera le 6 ore (es. 4 ore contrattuali + 3 di straordinario = 7 ore totali), scatta automaticamente il diritto all’intervallo e, in mancanza di mensa, al buono pasto sostitutivo.
Attenzione: la legge parla di “eccede le sei ore”, non “raggiunge”. Dunque 6 ore esatte non sono sufficienti: occorre almeno 6 ore e 1 minuto di lavoro effettivo.
4. Natura giuridica: da benefit a diritto soggettivo perfetto
Tradizionalmente, i buoni pasto sono stati considerati benefit aziendali, erogabili a discrezione del datore, purché in modo non discriminatorio (Risoluzione Agenzia delle Entrate n. 118/2006). Tuttavia, quando il diritto al pasto deriva da una norma cogente (come l’art. 8 D.L. 66/2003), il buono perde la sua natura di liberalità e diventa un diritto soggettivo perfetto, esigibile in sede giudiziale.
Questo cambio di qualificazione ha conseguenze rilevanti:
- Il buono pasto non può essere negato unilateralmente dal datore.
- La sua mancata erogazione configura una violazione del diritto al riposo e può dar luogo a azioni risarcitorie.
- In sede ispettiva (INL, ex Ispettorato Nazionale del Lavoro), la mancata concessione può essere sanzionata come violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro.
5. Chi non ha diritto al buono pasto
Il diritto al buono pasto presuppone l’effettiva prestazione lavorativa. Di conseguenza, non spetta nei giorni in cui il lavoratore:
- è in malattia,
- fruisce di ferie,
- è in aspettativa non retribuita,
- è in cassa integrazione,
- partecipa a uno sciopero,
- è in smart working senza prestazione effettiva (se non previsto da accordo).
6. Conclusioni: un cambio di paradigma
La recente giurisprudenza della Cassazione segna un punto di svolta: il buono pasto non è più un “extra”, ma uno strumento di attuazione di un diritto fondamentale del lavoratore. Per i datori di lavoro, soprattutto in settori con turni prolungati (sanità, logistica, sicurezza, ristorazione), è essenziale rivedere le policy interne e assicurarsi che, ogni volta che si superano le sei ore di lavoro, sia garantita la pausa o il buono sostitutivo.
Ignorare questo obbligo non espone solo a contenziosi individuali, ma anche a sanzioni amministrative e a danni reputazionali. In un’epoca di crescente attenzione ai diritti dei lavoratori, il buono pasto è diventato – più che mai – un termometro della compliance aziendale.

