Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione si sono finalmente espresse sul tema della riconducibilità dei tassi di mora alla disciplina antiusura, negli anni al centro di un dibattito giurisprudenziale in cui anche la stessa Corte aveva espresso orientamenti diversi. Con la sentenza n. 19597/2020 del 18 settembre, la Suprema Corte ha concluso ritenendo che la risposta al quesito debba essere affermativa, considerando che il fine della normativa antiusura è sanzionare anche la promessa di qualsiasi somma usuraria dovuta in relazione al contratto concluso.
L’iter argomentativo della Suprema Corte parte proprio dal contrasto esistente, attraverso l’esposizione dei motivi che fondano le due tesi: quella cd. restrittiva – che esclude il tasso di mora dall’ambito di applicazione della disciplina antiusura – e quella estensiva.
Il Collegio riconosce che entrambe le tesi riconducono a “una tutela del soggetto finanziato, sia pure attraverso percorsi argomentativi diversi” e che il tenore letterale nonché i diversi argomenti sono da considerarsi pressoché di pari valenza quanto a persuasività e (non) definitività. Tuttavia, si afferma, per garantire una più ampia tutela al debitore, il concetto di interesse usurario e la relativa disciplina repressiva non possono dirsi estranei all’interesse moratorio. Infatti, si legge in sentenza, non può condividersi l’assunto dei fautori della tesi restrittiva, secondo cui in caso di pattuizione di interessi usurari, la tutela da garantire al debitore è quella ex art. 1384 c.c., ossia la riduzione della penale ad equità, poiché l’applicazione di tale rimedio genererebbe difformità a livello nazionale e porterebbe al mero abbattimento dell’interesse pattuito al tasso soglia, pur integrato con quello rilevato quanto agli interessi moratori, e non al minor tasso degli interessi corrispettivi.
E d’altro canto, l’apertura anche agli interessi moratori appare coerente con le finalità generali della normativa antiusura, ossia la repressione della criminalità economica, la direzione del mercato creditizio, la stabilità del sistema bancario e, soprattutto, la tutela del fruitore del finanziamento. Proprio in tale ottica, se chi concede le somme deve rispettare il limite della soglia usuraria quando pattuisce i costi complessivi del credito, parimenti non può dirsi immune dal controllo quando, scaduta la rata o decorso il termine pattuito per la restituzione della somma, il denaro non venga restituito e siano applicati gli interessi di mora, i quali sono comunque convenuti e costituiscono un possibile debito per il finanziato.
Ma l’importanza della sentenza in discorso è dovuta anche alla presa di posizione operata su altri punti controversi della tematica in discorso.
Presupposto della verifica di usurarietà del tasso di mora è infatti l’individuazione di un parametro soglia cui raffrontare il tasso dedotto nel singolo contratto di mutuo. A tal proposito, la sentenza precisa che la mancata indicazione dell’interesse di mora nell’ambito del Tasso effettivo globale medio (T.e.g.m.) rilevato trimestralmente dalla Banca d’Italia non preclude l’applicazione dei decreti ministeriali, i quali contengano comunque la rilevazione del tasso medio praticato dagli operatori professionali, statisticamente rilevato in modo del pari oggettivo ed unitario.
E’ dunque tale rilevazione statistica a fornire il parametro di raffronto per l’usurarietà del tasso di mora, dovendosi applicare la seguente formula: “T.e.g.m., più la maggiorazione media degli interessi moratori, il tutto moltiplicato per il coefficiente in aumento, più i punti percentuali aggiuntivi, previsti quale ulteriore tolleranza dal predetto decreto”. Il superamento del tasso così calcolato rende il tasso di mora contrattualmente previsto “fuori mercato” e pertanto usurario.
Nel caso in cui i decreti ministeriali non rechino neppure l’indicazione della maggiorazione media dei tassi moratori, il raffronto dovrà invece essere operato con il T.E.G.M., così come rilevato, aumentato della maggiorazione ivi prevista.
Altro punto di cruciale importanza che la Corte ha voluto definitivamente chiarire è quello relativo alle conseguenze dell’accertato superamento della soglia antiusura da parte del tasso moratorio.
Secondo gli ermellini, l’applicazione dell’art. 1815 c.c., comma 2 non può far discendere la gratuità del contratto, ma solo la non debenza della tipologia di interesse convenuto oltre la soglia. In altre parole, “ove l’interesse corrispettivo sia lecito, e solo il calcolo degli interessi moratori applicati comporti il superamento della predetta soglia usuraria, ne deriva che solo questi ultimi sono illeciti e preclusi”.
Tuttavia, al fine di preservare il prezzo del denaro e coerentemente col diritto Europeo esplicitato nelle interpretazioni rese dalla Corte di giustizia dell’Unione, dovrà essere applicato l’art. 1224 c.c., con la conseguente debenza degli interessi moratori nella misura dei corrispettivi lecitamente convenuti.
Dopo aver delineato gli aspetti più sostanziali della materia, i giudici del Collegio hanno rivolto la loro attenzione agli aspetti più meramente processuali, affermando innanzitutto che il mutuante ha interesse ad agire per la declaratoria di usurarietà degli interessi pattuiti sin dal momento della stipula del contratto ed anche in corso di regolare svolgimento del rapporto. Nell’ipotesi in cui l’illiceità della pattuzione degli interessi moratori è acceratata prima della loro concreta applicazione, ciò non comporta la riduzione automatica del saggio degli interessi moratori ex art. 1224 c.c.
Ciò significa che “se il finanziato agisca in accertamento in corso di regolare rapporto, ed ottenga sentenza di nullità della clausola, ciò non vuol dire che, da quel momento in poi, egli potrà non adempiere e pretendere che nessun interesse gli sia applicato, oltre all’interesse corrispettivo, incluso nelle rate già dovute”. Tale conseguenza si avrà solo se, al verificarsi effettivo della mora, il tasso in concreto applicato dopo l’inadempimento sia superiore alla soglia.
Infine, in merito alll’onere probatorio gravante sulle parti nei giudizi relativi alla debenza e alla misura degli interessi moratori, ai sensi dell’art. 1697 c.c., è stato affermato che il debitore, che lamenta l’usurarietà degli stessi, ha l’onere di dedurre il tipo contrattuale, la clausola negoziale, il tasso moratorio in concreto applicato, l’eventuale qualità di consumatore, nonché la misura del T.e.g.m. nel periodo considerato e tutti gli altri elementi contenuti nel decreto ministeriale di riferimento. Dall’altro lato, sulla controparte (Banca o Finanziaria) grava l’onere di allegare e provare i fatti modificativi o estintivi dell’altrui diritto.
L’intervento delle Sezioni Unite, lungamente atteso ed invocato, ha dunque individuato i connotati essenziali del contenzioso bancario, ramo in costante espansione negli ultimi anni e che necessitava di una presa di posizione definitiva.
Pur residuando alcune zone d’ombra, la portata della pronuncia analizzata è cruciale e si attende di vedere le conseguenze che ciò porterà sull’ingente numero di procedimenti aperti in materia di usura dei contratti di mutuo. (Sentenza n. 19597 del 18 settembre 2020)