Si ringrazia Carlo Galliani e l’avv. studio Argari per la vittoria del 26 Gennaio 2024 in considerazione della novità della questione (non constano altri precedenti oltre quello sopra riportato)
in persona del giudice, dott. Antonio Maria LUNA
all’esito dell’udienza del 25 gennaio 2024, sostituita dal deposito di note scritte ex art. 127-ter c.p.c., ha pronunciato la seguente:
in persona del giudice, dott. Antonio Maria LUNA
SENTENZA
nella causa civile iscritta al n. 26944 del Ruolo Generale Affari Contenziosi dell’anno 2023, vertente
Z. n. , elettivamente domiciliata in Roma, alla xxx, n. xx, presso lo studio dell’avv. Studio Argari, che la rappresenta e difende in virtù di procura in calce al ricorso
RICORRENTE
I.N.P.S., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Gustavo IANDOLO in virtù di procura generale alle liti in data 23.01.2023, Rep. n. xxx90, per atto a rogito notaio xxx, ed elettivamente domiciliato in Roma, alla via xxxx, n. xx, presso la propria Avvocatura Metropolitana
CONVENUTO
OGGETTO: indennità di disoccupazione (NASpI)
L’avv. D. Torsello, per la ricorrente: “Accertare e dichiarare l’illegittimità del rigetto della domanda di NASpI presentata dalla Sig.ra N. 29.6.2022 e per l’effetto conseguentemente condannare l’Istituto convenuto a corrispondere alla ricorrente quanto dovuto a titolo di NASpI per il periodo indicato nella domanda stessa o altro che risulti di giustizia, oltre interessi e rivalutazione dal 121° giorno dalla presentazione della domanda al saldo effettivo, secondo l’importo che verrà calcolato da INPS in base ai parametri di riferimento e secondo il conteggio che verrà depositato da controparte. Con vittoria di spese e competenze del presente giudizio allo scrivente procuratore che si dichiara antistatario ovvero, nella subordine, nella denegata ipotesi di soccombenza, compensare le spese ex art. 152 disp. Att. C.p.c.”. L’avv. G. Iandolo, per il convenuto: “…voglia rigettare il ricorso in quanto infondato in fatto e diritto. Con vittoria di spese ed onorari di giudizio”.
La ricorrente ha dedotto che il rigetto della domanda è illegittimo per mancanza di motivazione e comunque per violazione o falsa applicazione del d.lgs. n. 151/2001; che ella è in possesso degli altri requisiti ex art. 3 del d.lgs. n. 22/2015, ovvero: tredici settimane di contribuzione nei quattro anni prece-denti la cessazione del rapporto di lavoro; – trenta giornate di lavoro effettivo svolte nei dodici mesi precedenti; che, inoltre, si è dimessa per assistere il figlio che non aveva allora ancora compiuto un anno di età; che, a norma dell’art. 55 del d.lgs. n. 151/2001, sussiste diritto alle indennità previste da disposizioni di legge e contrattuali in caso di dimissioni presentate, senza necessità di preavviso, fino al compimento di un anno di età da parte del bambino; e che non vi sono ragioni di sorta per una deroga a tali disposizioni per le lavoratrici domestiche.
La ricorrente ha quindi rassegnato le conclusioni sopra riportate.
Il convenuto, costituitosi con memoria depositata il 10 gennaio 2024, ha dedotto che la domanda non può essere accolta poiché lo stato di disoccupa-zione non è dipeso da evento involontario in quanto la ricorrente si è dimessa non per una delle ipotesi qualificabili come giusta causa (ad es., quelle esemplificate nella circolare dell’Istituto n. 163 del 20 ottobre 2003) e la disposi-zione dell’art. 55 d.lgs. n. 151/2001 non è applicabile alle lavoratrici domestiche.
Richiamato il disposto dell’art. 118 disp. att. c.p.c., la domanda deve es-sere accolta per le ragioni tutte esposte dal Tribunale di Lodi, con la sentenza 30 maggio 2023, n. 149, che di seguito si riportano:
«L’art. 54 comma 1 del d.lgs. n. 151/2001 (rubricato, “divieto di licenziamento”), prevede che: “1. Le lavoratrici non possono essere licenziate dall’inizio del periodo di gravidanza fino al termine dei periodi di interdizione dal lavoro previsti dal Capo III, nonché fino al compimento di un anno di età del bambino”. L’art. 55 (rubricato, “dimissioni”) dello stesso d.lgs. stabilisce: “1. In caso di dimissioni volontarie presentate durante il periodo per cui è previsto, a norma dell’art. 54, il divieto di licenziamento, la lavoratrice ha diritto alle indennità previste da disposizioni di legge e contrattuali per il caso di licenziamento. La lavoratrice e il lavoratore che si dimettono nel predetto periodo non sono tenuti al preavviso”.
L’art. 62 del Capo X (“disposizioni speciali”) del d.lgs. n. 151/2001, riguardante la ricorrente, statuisce, per quel che rileva ai fini della presente causa: “1. Le lavoratrici e i lavoratori addetti ai servizi domestici e familiari hanno diritto al congedo di maternità e di paternità. Si applicano le disposizioni di cui agli articoli 6, comma 3, 16, 17, 22, comma 3 e 6, ivi compreso il relativo trattamento economico e normativo”.
La disposizione riportata non effettua alcun rinvio al combinato disposto degli artt. 54 e 55 del d.lgs. 151/2001 cit., rinviando espressamente ad altre disposizioni.
L’art. 55 afferma espressamente il diritto della lavoratrice madre che abbia rassegnato le dimissioni volontarie a motivo della nascita o gravidanza alle: “indennità previste da disposizioni di legge […] per il caso di licenziamento”, tra cui rientra la Naspi, prevista dal d.lgs. n. 22/2015 per il caso di licenziamento per le lavoratrici madri, come la ricorrente.
Deve considerarsi che l’art. 3 del d.lgs. n. 151/2001 così statuisce: “è vietata qualsiasi discriminazione per ragioni connesse al sesso, secondo quanto previsto dal decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198, con particolare riguardo ad ogni trattamento meno favorevole in ragione dello stato di gravidanza, nonché di maternità o paternità, anche adottive, ovvero in ragione del-la titolarità e dell’esercizio dei relativi diritti”. L’art. 1 dello stesso d.lgs. n. 151/2001 statuisce che: “1. Il presente testo unico disciplina i congedi, i riposi, i permessi e la tutela delle lavoratrici e dei lavoratori connessi alla maternità e paternità di figli naturali, adottivi e in affidamento, nonché il sostegno economico alla maternità e alla paternità. 2. Sono fatte salve le condizioni di maggior favore stabilite da leggi, regolamenti, contratti collettivi, e da ogni altra disposizione”.
ricorrente (v. doc. n. 16 fasc. ric.), per quel che interessa, così prevede: “si applicano le norme di legge sulla tutela delle lavoratrici madri, con le limitazioni ivi indicate, salvo quanto previsto ai commi successivi” e al comma 3 sancisce il medesimo divieto di licenziamento, richiamando, in ultima analisi, quella che è la ratio del combinato disposto degli artt. 54 e 55 del d.lgs. cit.: “dall’inizio della gravidanza, purché intervenuta nel corso del rapporto di lavoro, e fino alla cessazione del congedo di maternità, la lavoratrice non può essere licenziata, salvo che per giusta causa”.
Quello riportato è il quadro normativo e contrattuale che incide sulla fattispecie in esame.
Deve osservarsi che, seguendo la tesi di I.N.P.S., ovverossia addivenendo alla negazione del diritto alla Naspi discenderebbe, per la ricorrente, un trattamento meno favorevole connesso alla propria maternità, in contrasto con quanto espressamente vieta l’art. 3 del suddetto d.lgs., che codifica un principio di carattere generale, applicabile anche al caso di specie, senza che I.N.P.S. abbia addotto elementi per ritenere diversamente.
Sia da osservarsi che sebbene l’art. 62 cit., il cui ambito è riferito al ca-so che ci occupa, non richiami l’art. 55, non è dato evincersi come questa ultima disposizione, che afferma il diritto della lavoratrice madre alle indennità previste dalle leggi speciali (come la Naspi) per il caso di dimissioni volontarie, non possa direttamente applicarsi al caso di specie, sussistendone tutti i requisiti, ciò perché l’art. 1 del d.lgs. cit. fa salve espressamente le condizioni di miglior favore previste da altre disposizioni di legge (quale l’art. 55 cit., che è garanzia per la lavoratrice madre dell’accesso alla Naspi mediante il rinvio alle disposizioni di legge che prevedono indennità per il caso di licenziamento ed è una condizione di miglior favore, perché è garanzia dell’accesso all’indennità per la lavoratrice madre badante) ed avuto riguardo al fatto che la ratio del testo unico è quella di apprestare misure di tutela e sostegno delle lavoratrici madri in costanza del periodo di gravidanza e maternità (v. l’art. 1 cit.: “disciplina […] la tutela delle lavoratrici madri”), tute-la che sarebbe sconfessata se alla lavoratrice domestica dimissionaria prima della chiusura del periodo di maternità fosse negato l’accesso al beneficio, a differenza delle altre lavoratrici madri che, invece, al beneficio accedono laddove rassegnino le dimissioni volontarie.
Si intende sottolineare che la disposizione dell’art. 62 del d.lgs. n. 151/2001 ritaglia un ambito specifico per la lavoratrice madre che sia badante o colf (non a caso la collocazione sistematica è nel differente “capo X”, intitolato “disposizioni speciali”, rispetto al capo IX sul “divieto di licenziamento, dimissioni, diritto al rientro”, cui appartengono gli artt. 54 e 55 cit.), regolando, nello specifico, quello che è l’istituto del congedo obbligatorio e richiamandone espressamente le disposizioni di rilievo, quali gli artt. 6 comma 3 (sulle prestazioni specialistiche per la tutela della maternità estese alle lavoratrici domestiche durante il periodo di gravidanza, salva l’ordinaria assistenza sanitaria ed ospedaliera a carico del S.S.N.), 16 (divieto di adibire al lavoro le donne durante il periodo di congedo), 17 (estensione del divieto in caso di lavori gravosi o pregiudizievoli per la salute della donna), 22 comma 3 e 6 (trattamento economico).
Si tratta di un ambito applicativo del tutto differente, a parere del Giudice, tale da non riguardare il caso di specie (né può invocarsi il principio lex specialis derogat generali perché l’art. 55 cit. è applicabile direttamente).
Al di fuori dell’ambito che inerisce al congedo obbligatorio ed agli istituti connessi, pertanto, deve direttamente applicarsi quella che è una generale disposizione, quale l’art. 55 d.lgs. n. 151/2001, che prevede il diritto di una lavoratrice madre qualsiasi, senza distinzione di tipologia di lavoro svolto- alle indennità previste dalla legge per il caso di licenziamento, nel caso come quello in esame- di dimissioni volontarie.
Quantomeno nel caso in esame, a ragionare diversamente secondo quella che è la tesi dell’Istituto, sussisterebbe una lacuna normativa, che appare foriera di discriminazione tra la ricorrente che lavora come colf e le altre lavoratrici, discriminazione che entrerebbe in conflitto con quello che è lo scopo di tutela della disciplina del testo unico (art. 1), in particolare con l’art. 3 del Testo Unico, in ragione del fatto che l’impossibilità di accesso al beneficio Naspi a causa dell’attività di lavoro svolta rappresenta un trattamento meno favorevole in ragione dello stato di maternità a parità di condizioni di altre lavoratrici. Del resto, la conseguenza comporterebbe una irragionevolezza tra norme collocate in capi differenti all’interno del predetto testo unico e di cui non è dato discernere i requisiti per una differenziazione di trattamento, avuto riguardo al caso di specie, fondata sul lavoro prestato (se colf/badante/assistenza rispetto ad altri lavori).
La disposizione contrattuale invocata (art. 25 comma 3 del C.C.N.L. applicato al rapporto) estende il divieto di licenziamento della lavoratrice domestica in stato di gravidanza per tutto il periodo di congedo, non facendo altro che confermare l’identità di tutela rispetto all’analogo combinato disposto degli artt. 54 e 55 del d.lgs. n. 151/2001».
Dunque, entro i limiti in cui il contratto collettivo contempla il divieto di licenziamento (cioè per tutto il periodo di congedo) mentre l’art. 54 del. D.lgs. n. 151/2001, lo estende fino al compimento di un anno di età del bambino deve ritenersi che, per ricondurre le disposizioni di legge ad una lettura armonica con il principio di non discriminazione, è necessario interpretare l’art. 55 nel senso che è assicurata anche alle lavoratrici domestiche la tutela previdenziale a condizione che le dimissioni, dipendenti dalla maternità, siano rassegnate entro il termine del periodo di congedo e, cioè, tre mesi dopo il parto.
Nella specie, la ricorrente per la quale non sono in contestazione i requisiti di cui all’art. 3, comma 1, lett. b) e c) del d.lgs. n. 22/2015, ovvero tredici settimane di contribuzione nei quattro anni precedenti la cessazione, e trenta giornate di lavoro effettivo svolte nei dodici mesi precedenti l’inizio del periodo di disoccupazione si è dimessa con lettera del 14 giugno 2023 con l’espressa enunciazione delle esigenze di cura del figlio nato il 22 marzo 2023, e, dunque, entro il termine di tre mesi dopo il parto.
Deve, quindi, condannarsi il convenuto al pagamento, in favore della ricorrente, della indennità NASpI nella misura e per la durata di legge, oltre interessi legali (ovvero, in alternativa, nel caso in cui il tasso di svalutazione annuale sia superiore a quello degli interessi legali, oltre rivalutazione monetaria secondo gli indici I.S.T.A.T., giusta quanto prevede l’art. 16, comma 6 della legge n. 412/1991) dal 121° giorno successivo a quello di presentazione della domanda amministrativa (29 giugno 2022) fino al soddisfo.
Le spese di lite, in considerazione della novità della questione (non constano altri precedenti oltre quello sopra riportato), possono essere interamente compensate.
P.Q.M.
Il Tribunale, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da N. , con ricorso depositato il 21 novembre 2023, così provvede:
1 – condanna l’INPS al pagamento, in favore di N, dell’indennità NASpI, nella misura e per la durata di legge, oltre interessi legali (ovvero, in alternativa, nel caso in cui il tasso di svalutazione annuale sia superiore a quello degli interessi legali, oltre rivalutazione monetaria secondo gli indici I.S.T.A.T.) dal 121° giorno successivo al 29 giugno 2022 fino al soddisfo;
2 – dichiara compensate le spese di lite.
Roma, 26 gennaio 2024
Il Giudice
dott. Antonio M. Luna