Cass., sez. lav., 20 aprile 2023, n. 10691 – Pres. Raimondi – Est. Michelini – P.M. (Conf.) Mucci – S. Sas contro B.B.
Come noto il mobbing si ravvisa nella condotta datoriale lesiva (in violazione dell’obbligo di sicurezza posto a carico dello stesso datore dall’art. 2087 c.c.) della sfera professionale o personale del lavoratore, intesa nella pluralità delle sue espressioni, senza che la circostanza che una simile condotta provenga da un altro dipendente, posto in posizione di supremazia gerarchica rispetto alla vittima, valga ad escludere la responsabilità del datore di lavoro, su cui incombono gli obblighi ex art. 2049 c.c., ove questi sia rimasto colpevolmente inerte nella rimozione del fatto.
Il caso Il dipendente di un’azienda cadeva in stato di sindrome depressiva e, a causa di tale di malattia, superava il periodo di comporto.
L’azienda, a cagione di quanto sopra, provvedeva al licenziamento del lavoratore stesso.
Il dipendente impugnava il recesso in sede giudiziale e, il Tribunale prima e la Corte territoriale poi, dichiaravano illegittimo il recesso con conseguente reintegrazione nel posto di lavoro, oltre al risarcimento del danno da conteggiarsi nelle retribuzioni spettanti dalla data del recesso fino a quella in cui il lavoratore ha esercitato l’opzione per l’indennità sostitutiva alla reintegrazione.
Avverso la sentenza di secondo grado, proponeva ricorso per Cassazione l’azienda, affidando il gravame a tre motivi. Il lavoratore resisteva con controricorso.
La Corte di Cassazione afferma che l’ampia istruttoria del merito, aveva dimostrato la sussistenza della sindrome depressiva, con la conseguenza che il Giudice aveva rettamente individuato un inadempimento datoriale ex art. 2087 c.c. nella causazione della insorta patologia.
La responsabilità del datore, per inadempimento all’obbligo di prevenzione appena visto, è una responsabilità colposa fondata su una violazione di obblighi di comportamento a protezione della salute del lavoratore, imposti dalla legge o suggeriti dalla tecnica.
La prova della responsabilità datoriale richiede l’allegazione da parte del lavoratore sia dei fattori di rischio, sia della violazione dei detti obblighi e dei danni subiti.
D’altro lato, il datore deve provare di avere adottato tutte le cautele che, pur non dettate dalla legge, siano consigliate da conoscenze sperimentali e tecniche e dagli standard di sicurezza normalmente osservati.
Ne discende come, nella specie, vi sia la necessità di prova del fatto che ha generato il danno: non si pone una questione di classificazione o di maggiore o minore aderenza alla nozione di mobbing, atteso che trattasi di nozione extra giuridica utilizzata per descrivere in maniera sintetica i comportamenti datoriali illeciti, quali causativi del danno alla professionalità del lavoratore o alla sua integrità psicofisica, in violazione del generale dovere di sicurezza e di tutela delle condizioni di lavoro.
Da ultimo, la Corte Suprema precisa che il vizio di motivazione non può limitarsi ad affermare un convincimento diverso da quello espresso dal Giudice di merito, ma deve far emergere l’assoluta illogicità e contraddittorietà del ragionamento decisorio, restando escluso che la sola mancata valutazione di un elemento indiziario possa dar luogo a vizio di omesso esame di un punto decisivo.