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Una situazione di costrittività ambientale è configurabile anche a prescindere dalla concreta individuazione di un mobbing.

Una situazione di costrittività ambientale è configurabile anche a prescindere dalla concreta individuazione di un mobbing.

Una situazione di costrittività ambientale è configurabile anche a prescindere dalla concreta individuazione di un mobbing e da una eventuale particolare sensibilità ovvero suscettibilità del dipendente.

Occorre, infatti, ricordare che, per orientamento consolidato della Corte di Cassazione, la violazione da parte del datore di lavoro dell’ art. 2087 cod. civ. ha natura contrattuale e, dunque, il rimedio esperibile dal dipendente è quello della responsabilità contrattuale, con tutte le conseguenze del caso, soprattutto in tema di prescrizione e onere della prova.

Invero, la giurisprudenza di legittimità si è univocamente espressa nel senso che, in tema di responsabilità del datore di lavoro per violazione delle disposizioni dell’ art. 2087 cod. civ. , la parte che subisce l’inadempimento non deve dimostrare la colpa dell’altra parte – dato che ai sensi dell’ art. 1218 cod. civ. è il debitore-datore di lavoro che deve provare che l’impossibilità della prestazione o la non esatta esecuzione della stessa o comunque il pregiudizio che colpisce la controparte derivano da causa a lui non imputabile ma è comunque soggetta all’onere di allegare e dimostrare l’esistenza del fatto materiale ed anche le regole di condotta che assume essere state violate, provando che l’asserito debitore ha posto in essere un comportamento contrario o alle clausole contrattuali che disciplinano il rapporto o a norme inderogabili di legge o alle regole generali di correttezza e buona fede o alle misure che, nell’esercizio dell’impresa, debbono essere adottate per tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro (v. ex multis Cass. 11 aprile 2013, n. 8855; Cass. 13 ottobre 2015, n. 20533; Cass. 9 giugno 2017, n. 14468).

Quindi, ai fini della configurabilità della responsabilità del datore di lavoro per la tecnopatia contratta (o per l’infortunio subito) dal dipendente, grava su quest’ultimo l’onere di provare la sussistenza del rapporto di lavoro, della malattia e del nesso causale tra la nocività dell’ambiente di lavoro e l’evento dannoso, mentre spetta al datore di lavoro dimostrare di aver rispettato le norme specificamente stabilite in relazione all’attività svolta nonché di aver adottato tutte le misure che – in considerazione della peculiarità dell’attività e tenuto conto dello stato della tecnica – siano necessarie per tutelare l’integrità del lavoratore, vigilando altresì sulla loro osservanza.

Inoltre, come ricordato da Cass. 19 febbraio 2016, n. 3291, grazie al carattere di “norma di chiusura” del sistema antinfortunistico pacificamente riconosciuta all’ art. 2087 cod. civ. , nonché all’ammissibilità della interpretazione estensiva della predetta norma alla stregua sia del rilievo costituzionale del diritto alla salute ( art. 32 Cost. ), sia dei principi di correttezza e buona fede ( artt. 1175 e 1375 cod. civ. ) ai quali deve ispirarsi anche lo svolgimento del rapporto di lavoro, la giurisprudenza della Corte ha inteso l’obbligo datoriale di “tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro” nel senso di includere anche l’obbligo della adozione di ogni misura “atipica” diretta alla tutela della salute e sicurezza dei lavoratori, come, ad esempio, le misure di sicurezza da adottare in concreto nella organizzazione tecnico-operativa del lavoro allo scopo di prevenire ogni possibile evento dannoso, ivi comprese le aggressioni conseguenti all’attività criminosa di terzi (v. anche Cass. 22 marzo 2002, n. 4129).

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