Il tema della controversia
La Corte di Cassazione, con la recente ordinanza Cass. 7 febbraio 2023 n. 3692, è tornata sul tema della responsabilità del datore di lavoro per danni alla salute del dipendente.
Secondo la Corte, anche ove non sia configurabile una condotta di “mobbing” (per l’insussistenza di un intento persecutorio idoneo ad unificare la pluralità continuata di comportamenti pregiudizievoli) è comunque ravvisabile la violazione dell’art. 2087 c.c. qualora il datore di lavoro tolleri, anche soltanto colposamente, la permanenza di un ambiente stressogeno fonte di danno alla salute dei lavoratori. In altri termini, ove ponga in essere comportamenti, anche in sé non illegittimi, ma tali da poter indurre disagio o stress, che si manifestino isolatamente o si connettano ad altri comportamenti inadempienti, contribuendo ad inasprire gli effetti e la gravità del pregiudizio per la personalità e la salute latamente intesi.
Nel caso di specie, un dipendente dell’Università della Calabria, di alto livello professionale e a cui era stato attribuito un corrispondente grado di responsabilità, aveva subito un progressivo svuotamento delle mansioni con conseguente perdita del bagaglio professionale; il dipendente aveva visto svanire anche la possibilità di aggiudicarsi i premi di produttività, sempre ricevuti negli anni passati. Tale situazione di demansionamento era stata riconosciuta sia dal Tribunale di Cosenza, sia dalla Corte d’Appello di Catanzaro; detti giudici avevano tuttavia respinto la domanda di risarcimento del danno da mobbing, ritenendola insussistente.
La Corte, accogliendo il ricorso del lavoratore, censura il ragionamento dei giudici di merito e invita il giudice del rinvio ad adottare un ragionamento “per esclusione” volto a ritenere sussistente la responsabilità del datore qualora venga individuato e provato il pregiudizio subito dal lavoratore.
Sulla prova del pregiudizio
In primo luogo, ritenuto fondato il primo motivo, la Suprema Corte riconosce che, dal momento in cui il danno professionale può essere dimostrato anche in via presuntiva, sono idonei a far presumere in maniera univoca il degrado della professionalità acquisita i seguenti elementi accertati:
elevato contenuto professionale dei compiti svolti sino al demansionamento (implicante anche una precoce/veloce obsolescenza delle competenze e conoscenze procedurali);
- svuotamento di mansioni e svilimento dei compiti assegnati (con assegnazione ad attività meramente esecutive e prive di ogni autonomia concettuale);
- prolungata e ingiustificata emarginazione;
- perdita di chances di aggiudicarsi i premi di produttività;
- mancato invio a corsi di formazione;
- inoperosità pressoché totale cui era stato lasciato il dipendente.
E′ stato anche sottolineato che il comportamento del datore di lavoro, che lascia in condizione di inattività il lavoratore, non solo viola l′art. 2103 c.c., ma anche il più ampio diritto al lavoro.
Sulla determinazione della norma violata dal comportamento del datore di lavoro
In un secondo momento, con accertamento della fondatezza del secondo motivo, la Corte Suprema promuove un ragionamento per esclusione in tre fasi per determinare il fondamento giuridico alla base della responsabilità del datore di lavoro per il danno subito dal dipendente.
Innanzitutto, la Corte di Cassazione invita il giudice a verificare se sussista il mobbing lavorativo ove ricorra: l’elemento obiettivo, integrato da una pluralità di comportamento pregiudizievoli per la persona interni al rapporto di lavoro; e l’elemento soggettivo dell’intendimento persecutorio nei confronti della vittima. Questi due elementi posso essere individuati a prescindere dalla illegittimità intrinseca di ciascun comportamento, in quanto la concreta connotazione intenzionale connota con l’illiceità anche condotte altrimenti astrattamente legittime.
Dopodiché, qualora il giudice escluda la configurazione del mobbing, dovrà analizzare l’eventuale esistenza dello straining, che consiste nella sussistenza di elementi stressogeni scientemente attuati nei confronti di un dipendente, anche se manchi la pluralità delle azioni vessatorie.
Infine, da ultimo, il giudice dovrà verificare la configurabilità della responsabilità datoriale ex. art. 2087 c.c. (secondo cui «l’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro») a fronte anche di un solo mero inadempimento del datore di lavoro, imputabile anche per mera colpa, che si ponga in nesso causale con un danno alla salute del dipendente.
La Corte di Cassazione precisa inoltre che la responsabilità datoriale è esclusa qualora i pregiudizi derivino dalla qualità intrinsecamente e inevitabilmente pericolosa o usurante dell’ordinaria prestazione e che tutto si riduca a meri disagio o lesioni di interessi privi di consistenza o gravità.
Nella specie, la Corte territoriale aveva accertato un grave e protratto demansionamento causativo di danno alla salute del dipendente e, dunque, un inadempimento datoriale ad obblighi di appropriatezza nella gestione del personale, già rilevante ai sensi dell’art. 2087 cod. civ.
Questa norma, infatti, tende a realizzare la tutela di un interesse di carattere generale in favore dei dipendenti ed impone a carico del datore di lavoro di adoperare le cautele che rendano sicuro l’ambiente di lavoro a prescindere dalla ricorrenza in concreto di esigenze connesse alle mansioni espletate.
Secondo la Suprema Corte, i giudici di merito avrebbero dovuto, dopo l’accertamento del danno, indagare anche sull’esistenza di una situazione lavorativa conflittuale di stress forzato nella quale il dipendente avesse subito azioni ostili che avrebbero potuto incidere negativamente sulla salute dell′interessato, quand’anche si fosse trattato di condotte limitate nel numero e distanti nel tempo. A maggior ragione quando ci si trovi di fronte all′inattività forzosa del dipendente più che a un semplice demansionamento.
In conclusione, diviene imprescindibile, in quest’ottica, porre attenzione a tutti i comportamenti, anche in sé non illegittimi, ma tali da poter indurre disagio o stress, che si manifestino isolatamente o si connettano ad altri comportamenti inadempienti, contribuendo ad inasprire gli effetti e la gravità del pregiudizio per la personalità e la salute latamente intesi.