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Le false partite IVA (Due sentenze emblematiche)

Le false partite IVA (Due sentenze emblematiche)

La Cassazione conferma in sostanza la lettura e l’applicazione dell’articolo 2 del Dlgs 81/2015 ritenuto una scelta fatta da legislatore per «assicurare al lavoratore la stessa protezione di cui gode il lavoro subordinato…al fine di tutelare prestatori evidentemente ritenuti in condizione di “debolezza” economica, operanti in una “zona grigia” tra autonomia e subordinazione».

Ciò che conta è che in una terra di mezzo dai confini labili fra subordinazione e autonomo, l’ordinamento ha statuito espressamente l’applicazione delle norme sul lavoro subordinato. Nel caso specifico, la Cassazione conferma l’analisi condotta dalla Corte d’appello, secondo cui l’attività del rider nella fase iniziale è autonoma, perché il singolo sceglie se lavorare in una determinata fascia oraria, ma poi la prestazione è etero-organizzata. I ciclofattorini non sono dipendenti, ma a loro vanno riconosciute alcune condizioni del lavoro subordinato.

Altro caso è quello di un gruppo di dodici ex agenti di vendita di un concessionario romano che hanno rivendicato un diritto in Tribunale e poco dopo sono stati messi alla porta. E’ stato facile liberarsene: non erano “subordinati”, ma in questi anni la loro attività era stata analizzata in dettaglio e questa profilazione, all’occorrenza, ha permesso di tirar fuori le motivazioni per allontanarli. Qualcuno non avrebbe promosso abbastanza servizi finanziari, altri non avrebbero svolto sufficienti test drive. Erano formalmente autonomi, ma in realtà – dicono – erano soggetti a molti obblighi e subivano un pressante controllo.

I contratti di agenzia molto usati nei concessionari, sono previsti dalla legge ma molto abusati. Lavoro autonomo utile spesso solo per risparmiare sui costi: niente contratti e libertà di licenziare senza articolo 18 (o quel che ne resta o indennizzi). Per certi versi, è simile a quanto avviene ai rider del cibo a domicilio: le piattaforme non li assumono, li pagano a consegna, eppure stilano la classifica dei più bravi e meno bravi, così da favorire i primi e penalizzare i secondi.

Una partita IVA, un solo committente, un rapporto di lavoro continuativo. Sono queste le caratteristiche delle false partite IVA. False perché l’autonomia del libero professionista è solo un’illusione: chi opera in questo modo spesso ha tutti i doveri di un lavoratore dipendente, ma senza i diritti e le tutele.

Un fenomeno molto diffuso soprattutto nel settore dei servizi, per contrastarlo la Legge Fornero ha introdotto un antidoto, poi diluito dal Jobs Act, che fa scattare i controlli della Direzione Territoriale del Lavoro in caso di presunzione di subordinazione e prevede che il rapporto tra committente e titolare di partita IVA debba essere trasformato un rapporto di lavoro subordinato.

Il potenziale antidoto contro le false partite IVA è stato introdotto nel sistema normativo dalla legge numero 92 del 2012, Legge Fornero. Nel testo vengono indicati i presupposti per cui scatta la presunzione di subordinazione Art. 69-bis (Altre prestazioni lavorative rese in regime di lavoro autonomo). – 1. Le prestazioni lavorative rese da persona titolare di posizione fiscale ai fini dell’imposta sul valore aggiunto sono considerate, salvo che sia fornita prova contraria da parte del committente, rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, qualora ricorrano almeno due dei seguenti presupposti:

a) che la collaborazione con il medesimo committente abbia una durata complessiva superiore a otto mesi annui per due anni consecutivi;

b) che il corrispettivo derivante da tale collaborazione, anche se fatturato a più soggetti riconducibili al medesimo centro d’imputazione di interessi, costituisca più dell’80 per cento dei corrispettivi annui complessivamente percepiti dal collaboratore nell’arco di due anni solari consecutivi;

c) che il collaboratore disponga di una postazione fissa di lavoro presso una delle sedi del committente.

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