la svolta della Legge 144/2025
Per decenni, l’Italia è stata l’unico grande Paese europeo a non prevedere un salario minimo legale. La sua assenza era giustificata dalla presunta autosufficienza del sistema di contrattazione collettiva nazionale, basato sui Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro (CCNL). Tuttavia, la realtà ha mostrato i limiti di questo modello: stipendi stagnanti, ritardi nei rinnovi contrattuali e la proliferazione di “contratti pirata” hanno alimentato il fenomeno del dumping salariale e del lavoro sottopagato.
A porre fine a questa anomalia storica è la Legge 26 settembre 2025, n. 144, pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 3 ottobre 2025, che introduce un sistema innovativo di retribuzioni minime esteso a tutti i lavoratori dipendenti.
La legge non impone un salario minimo orario fisso per legge, come accade in altri Paesi europei, ma adotta un meccanismo più articolato: il Governo dovrà identificare, per ogni settore, i CCNL più rappresentativi e applicati, rendendo erga omnes (cioè vincolanti per tutti) i minimi retributivi in essi previsti. Questo significa che anche i lavoratori delle aziende non aderenti ad alcuna associazione datoriale beneficeranno delle tutele economiche stabilite dai contratti collettivi “leader”.
L’obiettivo è duplice: garantire retribuzioni dignitose in linea con l’articolo 36 della Costituzione e contrastare il lavoro irregolare e il dumping salariale, spesso favorito da contratti sottoscritti da sigle sindacali poco rappresentative.
Il Parlamento ha conferito al Governo una delega di sei mesi per tradurre in decreti legislativi le direttive contenute nella legge.
Tra i compiti affidati all’esecutivo vi sono: l’istituzione di meccanismi di monitoraggio semestrale sull’efficacia delle nuove norme, il potenziamento dei controlli ispettivi, l’uso di strumenti tecnologici per il contrasto al lavoro sommerso e l’introduzione di interventi diretti del Ministero del Lavoro in caso di stallo nelle trattative per il rinnovo dei CCNL.
La riforma nasce anche in risposta alle sollecitazioni dell’Unione Europea, in particolare alla Direttiva (UE) 2022/2041, e alle critiche dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL), che nel suo “Rapporto mondiale sui salari 2024-2025” ha evidenziato come i salari reali italiani siano ancora inferiori a quelli del 2008 — un’anomalia nel contesto del G20.

