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Contrazione dei redditi da lavoro autonomo negli anni successivi al sinistro: risarcimento

Contrazione dei redditi da lavoro autonomo negli anni successivi al sinistro: risarcimento

i fini della quantificazione del danno da riduzione della capacità lavorativa specifica del lavoratore autonomo, ciò che conta è il reddito “dichiarato”,
irrilevante, pertanto, la circostanza che esso includa la voce “adeguamento per studi di settore” (CASSAZIONE – ordinanza 29 agosto 2024 n. 23330)

Nel caso in esame si ricorre, sulla base di un unico motivo, per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Lecce, che ha riconosciuto, in riforma della sentenza resa in prime cure, il diritto del ricorrente, vittima di sinistro stradale, a conseguire, dalla controparte che ha causato il sinistro, dalle società assicurative, il risarcimento anche del danno patrimoniale conseguente all’incidente stradale occorsogli a settembre 2011, limitandone, però, l’importo alla somma di € 18.900,00, oltre interessi legali dalla domanda giudiziale al soddisfo.

Riferisce il ricorrente di aver adito l’autorità giudiziaria, per conseguire il ristoro – sul presupposto dell’accertamento dell’esclusiva responsabilità di chi ha causato il sinistro – di tutti i danni subiti, in conseguenza delle lesioni personali da esso riportate. In particolare, egli conveniva in giudizio, chiedendo di essere risarcito sia del danno non patrimoniale, sia di quello patrimoniale, correlato alla riduzione della propria capacità lavorativa specifica e del reddito della propria impresa individuale di rivendita al dettaglio di frutta e verdura.

Il giudice di prime cure, accoglieva la domanda solo in relazione alla richiesta di risarcimento del danno non patrimoniale.

Il giudice di appello riconosce anche il danno patrimoniale, nella misura di € 18.900,00, oltre interessi legali dalla domanda giudiziale al soddisfo.

Avverso la sentenza della Corte salentina ha proposto ricorso per cassazione il ricorrente sulla base – come detto – di un unico motivo.

Il ricorrente si duole della quantificazione del danno patrimoniale in € 18.900,00, censurando, in particolare, la sentenza impugnata per aver assunto come base numerica del calcolo – peraltro, poi correttamente sviluppato sul piano strettamente aritmetico – il “reddito lordo d’impresa”, risultante dai modelli delle dichiarazioni dei redditi prodotte dal danneggiato (per le annualità dal 2009 al 2015), anzichè, come invocato da esso il “reddito lordo reale”. Tale dato, infatti, sarebbe stato facilmente ricavabile – come indicato dall’appellante – mediante detrazione, dal “reddito lordo d’impresa”, della somma indicata in ogni dichiarazione reddituale “a titolo di adeguamento a «Parametri e studi di settore», la quale, com’è noto, non rappresenta un reddito reale ma una posta fittizia indipendente dai risultati economici conseguiti dall’impresa e dunque dalle scritture contabili, determinata automaticamente dall’erario per ogni annualità e per ogni tipologia d’impresa e la cui previsione nella dichiarazione dei redditi è finalizzata unicamente alla determinazione della soglia minima di imposizione fiscale.

Orbene, essendo stata determinata la misura del danno patrimoniale da riduzione della capacità lavorativa specifica mettendo a confronto i redditi maturati nelle annualità immediatamente precedenti al sinistro con quelli relativi alle annualità successive (che evidenziavano una flessione), il giudice di appello avrebbe dovuto tenere conto, quanto a questi ultimi, che essi risultavano, in realtà, ancora più bassi, espungendo dal calcalo le maggiorazioni dovute all’adeguamento agli studi di settore.

Osserva, conclusivamente, il ricorrente che quello denunciato non potrebbe considerarsi un errore revocatorio per calcolo aritmetico sbagliato, giacchè il computo matematico effettuato dalla Corte salentina non è fatto oggetto di alcuna censura, investendo essa, invece, la scelta logico-giuridica di utilizzare come base di detto calcolo aritmetico un reddito differente da quello realmente conseguito dall’impresa individuale del ricorrente.

Si deve muovere dalla constatazione che il danno patrimoniale da perdita o – come nella specie – da riduzione della capacità lavorativa specifica è soggetto al principio dell’integralità del risarcimento, di talchè, se il sistema di calcolo osservato per quantificare i redditi maturati, nella specie, dal ricorrente (o meglio, la riduzione degli stessi) nelle annualità successive al sinistro, avesse effettivamente portato ad una loro sottostima, la violazione dell’art. 1223 cod. civ. dovrebbe ritenersi integrata.

È, infatti, esatto il rilievo preliminare svolto del ricorrente, per motivare l’ammissibilità del motivo, ovvero che quello denunciato non è un mero errore di calcolo (il quale, consistendo nella “violazione delle leggi della matematica”, rientrerebbe nell’ambito dell’errore revocatorio), trattandosi, invece, in ipotesi, di un errore logico-giuridico, consistito nell’avere errato non già nell’esecuzione d’un calcolo, ma nella scelta del criterio con cui determinare ii credito”, nella specie, risarcitorio.

Decisivo è, pertanto, stabilire se – come sostiene la controricorrente – la censura proposta metta in discussione il principio, enunciato da questa Corte, secondo cui, agli effetti del risarcimento del danno da riduzione della capacità lavorativa specifica, va considerata l’incidenza dell’invalidità permanente su un reddito di lavoro autonomo avuto riguardo al reddito “dichiarato” ai fini dell’imposta sul reddito.

Invero, l’art. 4 del d.l. 23 dicembre 1976, n. 857, come modificato dalla legge di conversione 26 febbraio 1977, n. 39, nel disporre che in caso di danno alle persone, quando agli effetti del risarcimento si debba considerare l’incidenza dell’inabilità temporanea o dell’invalidità permanente su un reddito di lavoro comunque qualificabile, tale reddito si determina, per il lavoro autonomo, sulla base del reddito netto risultante più elevato tra quelli dichiarati dal danneggiato ai fini dell’imposta sul reddito delle persone fisiche degli ultimi tre anni. La norma, dunque, “attribuisce rilievo, alla stregua della sua testuale formulazione, al reddito da lavoro netto dichiarato dal lavoratore autonomo ai fini dell’applicazione della sopraindicata imposta ed ha riguardo, quindi, non al reddito che residua dopo l’applicazione dell’imposta stessa ma alla base imponibile di cui all’art. 3 del d.P.R, 29 settembre 1973, n. 597, cioè all’importo che il contribuente è tenuto a dichiarare ai fini dell’imposta sopraindicata, dovendo inoltre intendersi per reddito dichiarato dal danneggiato quello risultante dalla differenza fra il totale dei compensi conseguiti (al lordo delle ritenute d’acconto) ed il totale dei costi inerenti all’esercizio professionale – analiticamente specificati o, se consentito dalla legge, forfettariamente conteggiati – senza possibilità di ulteriore decurtazione dell’importo risultante da tale differenza, per effetto del conteggio delle ritenute d’imposta sofferte dal professionista.

Ciò premesso, tali affermazioni, applicate al caso che occupa, impongono di valorizzare il fatto (o meglio, il dato testuale, di cui al suddetto art. 4 del d.l. n. 857 del 1976) secondo cui, ai fini della quantificazione del danno da riduzione della capacità lavorativa specifica del lavoratore autonomo, ciò che conta è il reddito “dichiarato”, irrilevante, pertanto, essendo la circostanza che esso includa la voce che il ricorrente indica come “adeguamento per studi di settore”.

Esito, questo, che a maggior ragione si impone, ove si consideri che l’odierno ricorrente – proprio per la sua condizione di vittima di sinistro stradale – poteva avvalersi, nei confronti dell’amministrazione finanziaria, della facoltà di giustificare il mancato adeguamento ai ricavi o compensi determinati sulla base degli studi di settore, mediante apposita attestazione.

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