Data di pronuncia: 17 settembre 2025
Numero di ruolo: n. 1557 del ruolo generale lavoro dell’anno 2025
🔹 Fatti della causa
Con ricorso depositato in data 31.1.2025, ha premesso:
- di appartenere alle categorie protette ex lege 68/1999 e di aver lavorato in regime di somministrazione alle dipendenze della società convenuta, senza soluzione di continuità dal 2.7.2018 al 31.8.2024;
- che, in costanza del secondo contratto di somministrazione con la [società], la durata della missione era stata trasformata, da temporanea a tempo indeterminato, fino alla comunicazione (ricevuta in data 2.9.2024) con la quale veniva reso edotto della cessazione in data 31.8.2024 (in ragione del divieto della somministrazione di lavoro presso unità produttive ove opera una sospensione o riduzione dell’orario di lavoro);
- Ciò posto, ha dedotto di aver svolto sempre le stesse identiche mansioni, sopperendo a carenze strutturali (e non temporanee) della società utilizzatrice;
- Ha perciò lamentato l’utilizzo abusivo della somministrazione a fronte di esigenze a tempo indeterminato della società utilizzatrice.”
🔹 Domanda del ricorrente (estratto testuale)
Ha, perciò, formulato le seguenti conclusioni:
- accertare… l’illegittimità e la nullità dei contratti di somministrazione con la convenuta del 27.7.2018 e del 23.7.2019 per violazione dell’art. 35 del d.lgs. 81/2015 e della Direttiva 2008/104/CE in combinato disposto con gli art. 1344 e 1345 c.c., e, per l’effetto, accertare e dichiarare esistente e/o costituire tra le parti un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, con inquadramento del ricorrente al livello contrattuale D2 del CCNL Metalmeccanici a far data dal 2.7.2018, o, in subordine, dal 1.7.2019 ovvero da quell’altra data, precedente o successiva, accertata all’esito del giudizio;
- Conseguentemente, condannare la società resistente al pagamento in favore del ricorrente dell’indennità di cui all’art. 39 del d. lgs. 81/2015 nella misura massima’.
🔹 Citazione della Corte di Cassazione
Ciò posto, prendendo atto di tale pronuncia, Cass. 22861/2022, in adempimento dell’obbligo di interpretazione conforme del diritto nazionale al diritto europeo, ha ravvisato negli artt. 1344 e 1418 c.c. le norme nazionali che consentono di dare diretta applicazione all’art. 5.5 della Direttiva, in senso orizzontale nei rapporti tra privati.
La Corte di Cassazione ha, inoltre, riepilogato alcuni passaggi chiave della giurisprudenza della Corte di Giustizia, nel senso che:
- occorre verificare se le missioni successive del medesimo lavoratore tramite agenzia interinale presso la stessa impresa utilizzatrice conducano a una durata dell’attività presso tale impresa più lunga di quanto possa essere ragionevolmente qualificato come “temporaneo”;
- quando, in un caso concreto, non viene fornita alcuna spiegazione oggettiva al fatto che l’impresa utilizzatrice interessata ricorra ad una successione di contratti di lavoro tramite agenzia interinale, spetta al giudice nazionale verificare, nel contesto del quadro normativo nazionale e tenendo conto delle circostanze di specie, se una delle disposizioni della Dir. n. 2008/104, venga aggirata, a maggior ragione laddove ad essere assegnato all’impresa utilizzatrice in forza dei contratti successivi in questione sia sempre lo stesso lavoratore tramite agenzia interinale.”
🔹 Ricostruzione logica della motivazione
- Inquadramento normativo e giurisprudenziale
Il Tribunale parte da un’analisi approfondita della disciplina della somministrazione di lavoro, distinguendo tra:
- Somministrazione a termine, regolata in modo da evitare abusi (reiterazione di missioni);
- Somministrazione a tempo indeterminato (c.d. staff leasing), introdotta con il d.lgs. 276/2003 e confermata dal d.lgs. 81/2015.
Viene richiamata la Direttiva 2008/104/CE, il cui nucleo è il principio di temporaneità della missione e la parità di trattamento tra interinali e dipendenti dell’utilizzatrice.
2. Giurisprudenza della Corte di Giustizia UE
La CGUE ha chiarito che:
- La Direttiva si applica solo a missioni temporanee;
- Non si applica quando il lavoratore è assunto a tempo indeterminato dall’agenzia e svolge una missione a tempo indeterminato presso l’utilizzatrice;
- In tali casi, non sussiste il rischio di precarietà che la Direttiva intende contrastare
In particolare, la sentenza CGUE C-427/2023 esclude espressamente dal campo di applicazione della Direttiva le situazioni di trasferimento definitivo di funzioni presso un’impresa terza, purché il rapporto con l’agenzia rimanga a tempo indeterminato.
3. Posizione della Corte di Cassazione
La Cassazione (sent. n. 22861/2022) ha riconosciuto che:
- Gli artt. 1344 e 1418 c.c. (illegittimità per illiceità della causa e nullità per illiceità della causa) possono essere usati per applicare orizzontalmente la Direttiva 2008/104/CE;
- Ma solo quando vi sia una successione di missioni a termine presso lo stesso utilizzatore senza giustificazione oggettiva.
4. Applicazione al caso concreto
Nel caso di specie:
- Il ricorrente era assunto a tempo indeterminato dall’agenzia;
- La missione presso l’utilizzatrice era a tempo indeterminato;
- La cessazione è avvenuta per divieto legale (sospensione attività produttiva), non per scelta arbitraria;
- Il lavoratore è stato reimpiegato in altra missione in Puglia.
Pertanto:
- Non si applica la Direttiva 2008/104/CE, perché manca il requisito della temporaneità;
- Non sussiste abuso, perché il rapporto con l’agenzia è stabile e tutelato;
- Non è configurabile un rapporto diretto con l’utilizzatrice, né la sanzione della costituzione del rapporto a tempo indeterminato.
5. Conclusione logica
Il Tribunale rigetta la domanda perché:
- Lo staff leasing a tempo indeterminato è estraneo alla Direttiva;
- Il sistema nazionale prevede tutele autonome (indennità di disponibilità, obbligo di ricollocazione);
- Non vi è elusione né frode alla legge, ma un uso lecito di uno strumento normativamente previsto.
🔸 1. Categorie protette: un’assenza significativa nella motivazione
Il ricorrente ha esplicitamente richiamato la sua appartenenza alle categorie protette ex legge 68/1999, sottolineando di essere stato escluso da strumenti di tutela attiva (es. contratto di solidarietà) riservati ai dipendenti diretti dell’utilizzatrice.
Tuttavia, il Tribunale non affronta mai in modo autonomo questa dimensione. La sentenza tratta il caso come se il ricorrente fosse un lavoratore ordinario, trascurando il fatto che per le categorie protette:
- la stabilità occupazionale è un obiettivo di rango costituzionale (art. 38 Cost.);
- la somministrazione è ammessa solo in via residuale e con cautele particolari (art. 13, co. 3, legge 68/1999);
- la stabilizzazione è spesso prevista da accordi di secondo livello o da prassi consolidata.
Il silenzio su questo punto è criticabile: anche se lo staff leasing è legittimo in astratto, il suo impiego nei confronti di una persona con disabilità — per sei anni nello stesso posto di lavoro — solleva seri dubbi sulla concreta efficacia delle tutele antidiscriminatorie. La Corte avrebbe potuto almeno verificare se l’uso prolungato della somministrazione fosse compatibile con gli obblighi di inclusione lavorativa previsti dalla legge 68.
Critica: la sentenza applica un modello “neutro” di analisi del lavoro interinale, ignorando la vulnerabilità specifica del ricorrente. Ciò rischia di depotenziare la funzione sociale della legge 68.
🔸 2. Staff leasing e Direttiva 2008/104/CE: un’interpretazione restrittiva ma coerente
Il Tribunale segue fedelmente la giurisprudenza della Corte di Giustizia UE (C-427/2023) e della Corte di Cassazione (n. 22861/2022) nel ritenere che la Direttiva non si applichi allo staff leasing, perché:
- la Direttiva tutela contro la precarietà, non contro la forma contrattuale;
- il lavoratore ha un rapporto stabile con l’agenzia, dunque non è in una condizione di debolezza;
- a missione a tempo indeterminato non è “temporanea” e quindi esula dall’ambito di applicazione ratione materiae della Direttiva.
Questa interpretazione è giuridicamente coerente, ma socialmente discutibile. Infatti:
- il lavoratore non sceglie l’azienda in cui lavora;
- non ha accesso ai benefici contrattuali (es. solidarietà, welfare aziendale);
- è esposto al rischio di ricollocazione forzata in altre sedi, con impatto sulla vita personale.
Alcune sentenze di merito (es. Trib. Milano, 2023) hanno invece ritenuto abusivo lo staff leasing prolungato presso lo stesso utilizzatore, proprio in nome del principio di sostanza sul formalismo. La sentenza di Bari, pur legittima, appare più orientata alla certezza del diritto che alla tutela sostanziale del lavoratore.
🔸 3. Art. 39 d.lgs. 81/2015: una sanzione inapplicabile per definizione
Il ricorrente chiedeva l’applicazione dell’art. 39, che prevede un’indennità (fino a 12 mensilità) in caso di nullità del contratto di somministrazione per violazione delle norme imperative.
Ma il Tribunale osserva, correttamente, che:
- l’art. 39 si applica solo quando la somministrazione è illegittima (es. mancanza di autorizzazione, superamento dei limiti quantitativi, ecc.);
- non si applica quando il rapporto è formalmente regolare, anche se il lavoratore lamenta un “abuso”;
- soprattutto, non si applica allo staff leasing, che è una forma legittima di somministrazione a tempo indeterminato (art. 31 d.lgs. 81/2015).
Osservazione critica: la richiesta del ricorrente rivela una diffusa confusione tra:
- abuso dello strumento (che potrebbe giustificare la costituzione del rapporto con l’utilizzatore)
- illiceità del contratto (che attiva l’art. 39).
La sentenza chiarisce utilemente che non ogni uso prolungato della somministrazione è illecito, e che la sanzione dell’art. 39 non è uno strumento generale di riparazione del danno da precarietà.
🔚 Conclusione critica
La sentenza è tecnica, rigorosa e allineata alla più recente giurisprudenza europea e nazionale.
Tuttavia, sottovaluta la dimensione sociale del caso, in particolare:
- il profilo delle categorie protette;
- il paradosso di un “lavoro stabile” che non dà accesso alle tutele collettive dell’azienda in cui si presta servizio.
In un’epoca in cui lo staff leasing cresce esponenzialmente (soprattutto nei settori industriali), questa sentenza legittima un modello di flessibilità strutturale, ma lascia aperta la questione se tale modello sia compatibile con una nozione sostanziale di dignità del lavoro.
Un lavoro che non finiva mai… ma non era il suo
Il ricorrente era un operaio metalmeccanico, iscritto alle liste delle categorie protette. Dal luglio 2018 lavorava ogni giorno nello stesso stabilimento di Bari, con le stesse mansioni, gli stessi colleghi, lo stesso caporeparto. Solo una cosa non cambiava: il suo datore di lavoro non era mai l’azienda in cui entrava ogni mattina, ma un’agenzia per il lavoro interinale con cui aveva firmato un contratto a tempo indeterminato.
Per anni, la sua “missione” presso lo stabilimento era stata prolungata, fino a diventare a tempo indeterminato anche sul posto di lavoro. Poi, nell’agosto 2024, tutto finì: l’azienda utilizzatrice, a causa di una sospensione dell’attività produttiva, non poteva più impiegare personale in somministrazione. Luca ricevette la comunicazione il 2 settembre: la sua missione era cessata.
Ma lui non si rassegnò. Pensava: “Se ho fatto lo stesso lavoro per sei anni, perché non dovrei essere considerato un dipendente vero e proprio? Perché non ho avuto diritto al contratto di solidarietà, né alle stesse tutele previdenziali degli altri?”
Così, nel gennaio 2025, fece causa. Chiese al Tribunale di Bari di dichiarare nulli i suoi contratti di somministrazione, di riconoscergli un rapporto di lavoro diretto a tempo indeterminato con l’azienda utilizzatrice e di condannarla al pagamento dell’indennità massima prevista dalla legge.
La società resistette. Spiegò che Luca non era stato abbandonato: dopo la fine della missione a Bari, era stato subito ricollocato in un’altra azienda in Puglia. E che lo staff leasing — la somministrazione a tempo indeterminato — non era un trucco per aggirare la legge, ma uno strumento legittimo, anzi, più tutelante di un normale contratto: perché in caso di cessazione della missione, l’agenzia non poteva licenziarlo subito, ma doveva tenerlo in “disponibilità” e cercargli un nuovo incarico.
Il giudice ascoltò entrambe le parti. Poi, il 17 settembre 2025, pronunciò la sentenza.
E disse, in sostanza:
“La Direttiva europea sul lavoro interinale tutela chi è precario. Ma il ricorrente non era precario: aveva un contratto stabile con l’agenzia. La sua missione duratura non era un abuso, ma una forma legittima di organizzazione del lavoro, chiamata staff leasing. Non c’è frode dove c’è stabilità.”
Così, il ricorso fu rigettato. Il ricorrente non ottenne il rapporto con l’azienda utilizzatrice. Ma non perse tutto: il suo lavoro continuava altrove, con le tutele del suo contratto a tempo indeterminato. E il giudice, riconoscendo la complessità della questione, decise che ogni parte avrebbe pagato le proprie spese.
La morale?
Nel diritto del lavoro, la forma conta, ma la sostanza conta di più. E a volte, un contratto con un nome diverso può offrire più sicurezza di quanto sembri.

