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Sull’applicabilità della regola della “stabilizzazione” dei postumi ai danni derivanti da infortunio sul lavoro

Sull’applicabilità della regola della “stabilizzazione” dei postumi ai danni derivanti da infortunio sul lavoro

Con la sentenza n. 22897 del 19 Agosto 2024 la Corte di Cassazione ha ritenuto che dovesse essere data continuità al principio affermato dalla stessa Corte con la sentenza n. 1048 del 2018 e che pertanto il termine decennale dettato dall’art. 83 del d.P.R. n. 1124 del 30 giugno 1965 per l’esercizio del diritto alla revisione della rendita INAIL si debba riferire esclusivamente all’eventuale aggravamento derivante dalla naturale evoluzione dell’originario stato morboso.

Laddove invece il maggior grado di inabilità dipenda da una concausa sopravvenuta ma comunque collegata causalmente a quell’infortunio deve essere applicata, chiarisce la Corte, la disciplina dettata dall’art. 80 del DPR citato, che contiene un principio di importante rilievo nell’ambito del sistema dell’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni e le malattie, proponendosi di unificare in un’unica rendita tutte le inabilità accertate in capo al medesimo soggetto.

Al fine di stabilire quando applicare la regola della stabilizzazione dei postumi (art. 83) occorre verificare, dunque, se il peggioramento delle condizioni di inabilità, causalmente correlato a circostanze che originano sempre dall’originario infortunio, si inseriscano nella catena causale modificando la naturale evoluzione del processo morboso avviato dal medesimo infortunio oppure ne realizzino la naturale evoluzione. E ciò in quanto, solo la naturale evoluzione delle conseguenze derivanti dall’infortunio soggiace alla regola della stabilizzazione dei postumi, viceversa la concausa sopravvenuta e causalmente dipendente dall’infortunio, proprio per il suo carattere di evento non prevedibile ed estraneo al naturale evolversi del danno originario, si colloca logicamente al di fuori della regola di stabilizzazione dei postumi di cui al citato art. 83 settimo comma del d.P.R. n.1124 del 1965 e non ne consente l’applicazione (Corte Cost. n. 46 del 12 febbraio 2010).

D’altro canto l’esistenza del principio di necessaria considerazione di tutti i postumi derivanti dalla realizzazione del rischio assicurato, che è sotteso all’art. 80 e alla sentenza della Corte Costituzionale n. 46 del 12 febbraio 2010, comporta che anche gli ulteriori postumi derivati da concausa sopravvenuta ma direttamente correlata all’infortunio, ove verificatisi oltre il termine decennale previsto dall’art. 83 del citato DPR, devono essere presi in esame per la rideterminazione della rendita in applicazione dell’art. 80 del medesimo DPR che richiede che si considerino unitariamente i postumi anche ove singolarmente inferiori al minimo indennizzabile.

In conclusione la Corte di Cassazione ha stabilito che <<allorquando il maggior grado di inabilità dipenda da una concausa sopravvenuta, sempre necessariamente originata dalla lesione generata dallo stesso infortunio (se non ci fosse stato l’infortunio non ci sarebbe stato bisogno di procedere a trasfusione del sangue) deve trovare applicazione la disciplina dettata dall’art. 80 d.P.R. 30 giugno 1965 n. 1124.

Il termine per l’esercizio del diritto alla revisione della rendita I. stabilito dall’art. 83 dello stesso D.P.R. si riferisce solo a quell’ aggravamento che è identificabile come una naturale progressione dello stato morboso originario che per legge si intende stabilizzato una volta decorso il termine previsto dalla norma per esercitare il diritto alla revisione>>.

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