Nel 1992, con atto notarile regolarmente trascritto, venne costituita una servitù di passaggio a favore di un fondo (detto “dominante”) su un fondo altrui (detto “servente”). Tuttavia, tale diritto non fu mai esercitato per ben 32 anni, fino al 2024, quando la società subentrata nell’acquisto del fondo dominante ha improvvisamente richiesto di attivarne l’uso, pretendendo non solo il passaggio per i propri garage, ma anche l’allaccio fognario attraverso la proprietà altrui. Parallelamente, il muro di un edificio adiacente — coinvolto nelle nuove pretese — è stato danneggiato o parzialmente demolito, e l’amministratrice della palazzina ha ricevuto una risposta dall’avvocato dell’ex proprietario del fondo, contenente minacce velate: il muro verrebbe ricostruito a spese dei condomini solo a condizione che fosse concesso il passaggio richiesto.
Questa vicenda solleva questioni giuridiche cruciali: può una servitù non utilizzata per oltre trent’anni essere ancora fatta valere? E quali strumenti ha il proprietario del fondo servente per opporsi a pretese tardive e vessatorie?
La prescrizione ventennale: un principio inderogabile
L’art. 1073 del Codice Civile stabilisce con chiarezza che “la servitù si estingue per prescrizione quando non se ne usa per vent’anni”. Si tratta di una prescrizione estintiva, che opera automaticamente per il solo mancato esercizio del diritto, indipendentemente dalla volontà del titolare o dalla sua “riserva” futura.
Il termine prescrizionale decorre dal momento in cui la servitù avrebbe potuto essere esercitata (Cass. civ., Sez. II, n. 13218/2016). Nel caso in esame, la servitù era pienamente esercitabile già dal 1992, ma mai utilizzata né ostacolata. Dunque, dal 2012 in poi — vent’anni dopo — il diritto si è estinto per prescrizione, salvo interruzione.
L’atto notarile non sospende la prescrizione
La mera esistenza formale della servitù in un atto notarile o la sua trascrizione nei registri immobiliari non impedisce il decorso della prescrizione, e dalla giurisprudenza, l’interruzione della prescrizione richiede atti concreti: una domanda giudiziale, un riconoscimento espresso da parte del proprietario del fondo servente, o un uso effettivo, anche occasionale, ma non interrotto per 20 anni consecutivi.
Nel caso descritto, nessun atto interruttivo è stato posto in essere tra il 1992 e il 2024. La società acquirente non ha mai chiesto di esercitare il passaggio, né ha inviato diffide, né ha ottenuto riconoscimenti. Pertanto, la servitù è estinta.
Giurisprudenza della Cassazione: l’uso è essenziale
La Corte di Cassazione ha più volte ribadito che la prescrizione della servitù non richiede la prova di una rinuncia, ma solo la mancanza di uso per 20 anni (Cass. civ., Sez. II, n. 15289/2010; n. 23578/2013). Le Sezioni Unite (n. 18991/2018) hanno precisato che non basta la mera esistenza del diritto: occorre un esercizio utile ed effettivo, anche minimo, purché non interrotto.
Di conseguenza, dopo 32 anni di completo inutilizzo, la pretesa della società è giuridicamente infondata.
La raccomandata ogni 15 anni interrompe la prescrizione?
Alcuni si chiedono se una raccomandata possa interrompere la prescrizione. La questione è controversa in dottrina e giurisprudenza. Tuttavia, la maggior parte della giurisprudenza richiede atti giudiziali o un riconoscimento espresso del diritto da parte del fondo servente.
Una semplice dichiarazione di intenti, specie se inviata solo in prossimità dello scadere del ventennio, non dimostra un reale interesse all’esercizio del diritto, ma appare un mero escamotage per eludere la prescrizione.
Nel caso specifico, nessuna comunicazione è stata inviata: la servitù è rimasta lettera morta per 32 anni.
Possibile usucapione del passaggio da parte dei vicini?
I proprietari del fondo servente hanno usato in via esclusiva il passaggio, occupandosi anche della sua manutenzione. Ciò potrebbe far sorgere un diritto di proprietà per usucapione (artt. 1158 e ss. c.c.), a condizione che il possesso sia stato continuo, pacifico, pubblico, non equivoco e protratto per almeno 20 anni.
Tuttavia, se l’uso fosse stato tollerato o consentito dal proprietario originario, l’usucapione non si perfeziona, perché manca l’animus possidendi (la volontà di possedere come proprietario). Sarà quindi necessario valutare caso per caso: chi ha pagato le spese? Chi ha posto recinzioni? Chi ha escluso terzi?
Minacce e danni: illeciti civili e penali
La condotta dell’avvocato dell’ex proprietario — che condiziona la ricostruzione del muro danneggiato alla concessione del passaggio — configura una minaccia indiretta, sanzionabile ai sensi dell’art. 612 c.p. se idonea a incutere timore.
Inoltre, chi ha danneggiato il muro è tenuto al risarcimento del danno ex art. 2043 c.c., indipendentemente dalla pretesa di un diritto ormai estinto.
Bloccare i lavori: un diritto legittimo
Poiché la servitù è estinta per prescrizione, non sussiste alcun obbligo di consentire il passaggio né l’allaccio fognario. I lavori che presuppongono l’uso del passaggio possono essere legittimamente bloccati. Per tutelarsi, i condomini possono:
- inviare una diffida formale;
- richiedere un provvedimento d’urgenza (art. 700 c.p.c.) se i lavori sono in corso;
- chiedere al giudice la dichiarazione di estinzione della servitù.
Conclusione
Dopo 32 anni di inutilizzo, la servitù di passaggio si è estinta per prescrizione ex art. 1073 c.c., nonostante la sua trascrizione notarile. La società acquirente non può più far valere un diritto ormai perduto, e le sue pretese — aggravate da condotte intimidatorie e danneggiamenti — sono giuridicamente illegittime.
La vicenda ricorda un principio cardine del nostro ordinamento: il diritto non protegge chi dorme. Chi non esercita un diritto reale per oltre vent’anni ne perde definitivamente la titolarità, anche se il titolo originario era perfetto.

