Immagina di svegliarti un mattino e accorgerti che lo stipendio – quel denaro che ti permette di pagare l’affitto, le bollette, la spesa, e di sostenere la tua famiglia – non è ancora sul tuo conto. Il giorno del pagamento è passato da giorni, forse da settimane. Le notifiche del tuo conto corrente tacciono. L’ansia sale. E allora ti chiedi: fino a quando devo sopportare questo silenzio?
La buona notizia è che la legge italiana ti permette non solo di dire “basta”, ma di farlo in modo netto, immediato e con piena tutela dei tuoi diritti. Non si tratta di “dimissioni” qualsiasi: si tratta di dimissioni per giusta causa, una reazione legittima e potente a un comportamento del datore di lavoro talmente grave da rendere impossibile la prosecuzione, neppure per un solo giorno, del rapporto di lavoro. Questo principio è sancito dall’art. 2119 del Codice Civile, secondo il quale il mancato o ritardato pagamento della retribuzione costituisce la più grave violazione degli obblighi datoriali. La giurisprudenza lo ribadisce con forza: la retribuzione non è solo il corrispettivo della prestazione lavorativa, ma ha una funzione alimentare essenziale (Tribunale di Chieti, sez. LA, sent. n. 142/2017).
Cosa ottieni dimettendoti per giusta causa?
Se il ritardo nello stipendio è effettivamente grave, dimettendoti per giusta causa hai diritto a tre tutele fondamentali:
- Cessazione immediata del rapporto di lavoro, senza obbligo di preavviso;
- Indennità sostitutiva del preavviso, come se fossi stato licenziato ingiustamente (Tribunale di Catania, sentenza n. 12 del 3 gennaio 2025);
- Accesso all’indennità di disoccupazione NASpI, poiché la perdita del lavoro è considerata involontaria (Tribunale di Brindisi, sentenza n. 1467 del 19 novembre 2024).
Il tuo CCNL è il primo bussola
Non esiste una soglia universale di giorni di ritardo valida per tutti. Il tuo punto di partenza è il Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL) applicato al tuo settore. Molti CCNL fissano limiti precisi per distinguere tra un semplice inadempimento e una violazione grave:
- CCNL Studi Professionali e Agenzie di Assicurazione: ritardo superiore a 60 giorni = giusta causa;
- CCNL Credito e Finanza e CCNL Giornalistico: giusta causa dopo 90 giorni di ritardo (pur riconoscendo un “giustificato motivo” per dimissioni con esonero dal preavviso in tempi più brevi);
- CCNL Manifatture di ombrelli: bastano 15 giorni di ritardo per giustificare la risoluzione del rapporto con diritto all’indennità.
E se il CCNL non dice nulla?
In assenza di disposizioni specifiche, spetta al giudice valutare caso per caso la gravità del ritardo. Secondo una consolidata giurisprudenza, si considera giusta causa il mancato pagamento di due o tre mensilità consecutive (Tribunale di Novara, sez. LA, sent. n. 242/2017). Ma non conta solo il numero di giorni: il giudice valuta anche l’impatto concreto del mancato pagamento sulla vita del lavoratore. Un dipendente monoreddito con famiglia a carico sarà considerato in una condizione di particolare vulnerabilità. Inoltre, la situazione è aggravata se il ritardo non è isolato, ma si inserisce in un contesto di crisi aziendale che mina irrimediabilmente la fiducia nel datore di lavoro (Cass. Civ., Sez. I, n. 21438 del 19 luglio 2023).
Attenzione alla “tolleranza silenziosa”
Un aspetto cruciale è il tuo comportamento nel tempo. Se hai tollerato per mesi o anni il ritardo senza mai sollecitare formalmente il pagamento, il giudice potrebbe interpretare questo silenzio come una forma di acquiescenza, indebolendo la tua posizione (Tribunale di Chieti, sez. LA, sent. n. 142/2017). Tuttavia, non devi reagire al primo giorno di ritardo. La legge riconosce un “ragionevole intervallo di tempo” per valutare la situazione e decidere come agire. È però fondamentale, al primo segnale di problematicità, inviare una comunicazione scritta di sollecito e messa in mora – per esempio via PEC o raccomandata A/R – a tutela dei tuoi diritti e come prova in un eventuale contenzioso (Cass. Civ., Sez. I, n. 21438 del 19 luglio 2023).
Come dimettersi correttamente
Le dimissioni per giusta causa devono essere presentate esclusivamente in via telematica tramite il portale del Ministero del Lavoro. Durante la procedura online, è essenziale selezionare l’opzione “Dimissioni per giusta causa”: solo così potrai accedere alla NASpI. In sede di richiesta all’INPS, potresti dover allegare documentazione a supporto – come la lettera di messa in mora o estratti conto – per comprovare il ritardo e i tuoi tentativi di risoluzione. In caso di contestazione, spetterà al datore dimostrare di aver pagato, mentre a te spetterà provare la gravità e l’intollerabilità dell’inadempimento (Tribunale di Brindisi, sentenza n. 1467 del 19 novembre 2024).
ritardo nello stipendio non è solo una violazione contrattuale: è una ferita alla dignità del lavoratore. Ma la legge non lascia indifesi. Conoscere i propri diritti, agire con tempestività e documentare ogni passo è la chiave per uscire da una situazione di ingiustizia con la testa alta – e con la sicurezza di chi sa di aver fatto la cosa giusta, nel modo giusto.

