Immagina di aver lavorato anni con impegno, di aver rispettato ogni obbligo professionale, e poi, all’improvviso, di scoprire che parte dei tuoi contributi previdenziali non è mai stata versata. Un “buco” nero nel tuo estratto conto INPS, un periodo di lavoro che sembra svanito nel nulla ai fini pensionistici. La domanda sorge spontanea: posso perdere la pensione se il datore di lavoro non ha pagato i contributi?
La risposta, per fortuna, non è un semplice “sì” o “no”. Il nostro ordinamento offre una robusta rete di tutele al lavoratore, fondata su un principio cardine del diritto previdenziale: l’automaticità delle prestazioni. Ma questa protezione ha limiti temporali precisi, legati alla prescrizione. Ed è proprio nel tempo che si gioca la partita tra diritto garantito e pensione compromessa.
Il principio di automaticità: la pensione non dipende dall’inadempienza altrui
L’art. 2116 del c.c. stabilisce il fondamento giuridico della tutela previdenziale, affermando che le prestazioni assicurative e assistenziali spettano al lavoratore anche nel caso in cui il datore di lavoro non abbia effettuato i relativi versamenti contributivi. Questo principio delimita chiaramente il rapporto di lavoro, in cui il datore ha l’obbligo di versare i contributi, dal rapporto previdenziale che intercorre direttamente tra il lavoratore e l’ente, come l’INPS. In sostanza, il diritto alla pensione rimane garantito al lavoratore indipendentemente dalla condotta del datore di lavoro,
Tuttavia, questa protezione non è eterna. Il sistema funziona solo finché il diritto dell’INPS di riscuotere i contributi non è andato in prescrizione.
La vera minaccia: la prescrizione dei contributi
I crediti contributivi dell’INPS verso il datore di lavoro si prescrivono in cinque anni dalla data in cui il versamento era dovuto. Superato quel termine senza che l’ente abbia intrapreso azioni di recupero, il debito svanisce: non si può più pretendere il pagamento, né accreditare quei contributi sulla posizione del lavoratore.
In tal caso, cade anche l’efficacia del principio di automaticità. Come affermato dal Tribunale Ordinario di Monza, Sez. Lavoro, sentenza n. 175/2018:
“L’obbligo dell’ente previdenziale di erogare la prestazione, nonostante l’omissione contributiva, viene meno in caso di prescrizione del credito contributivo”.
Il lavoratore, quindi, perde effettivamente quel periodo di contribuzione, con conseguenze dirette sul calcolo della pensione: meno contributi, meno assegno, forse nemmeno il diritto a pensionarsi.
Il risarcimento del danno: la responsabilità torna al datore
Tuttavia, il sistema non lascia il lavoratore indifeso. Sempre l’art. 2116, secondo comma, del c.c. precisa:
“Se l’ente previdenziale non è più tenuto a erogare la prestazione a causa dell’omissione contributiva prescritta, l’imprenditore è responsabile del danno che ne deriva al prestatore di lavoro.”
Questo significa che il datore di lavoro deve risarcire il danno derivante dalla mancata pensione o dalla sua riduzione. La giurisprudenza ha chiarito un punto cruciale: il termine di prescrizione per richiedere il risarcimento non inizia con l’omissione, ma quando il lavoratore raggiunge i requisiti pensionistici.
Lo ha ribadito il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 3518 del 2020:
“Il danno si concretizza solo al momento in cui il lavoratore matura il diritto alla pensione e ne richiede la liquidazione.”
La rendita vitalizia: lo strumento per “riparare” il buco
Oltre al risarcimento generico, la legge offre una soluzione tecnica molto efficace: la costituzione di una rendita vitalizia, prevista dall’articolo 13 della legge n. 1338/1962. Questa misura permette di ricostituire la quota di pensione persa a causa dei contributi omessi e prescritti. Il datore di lavoro può chiedere all’INPS di costituire una rendita in favore del lavoratore, versando un onere di riscatto calcolato in base alla riserva matematica — un importo attuariale che rappresenta il valore attuale della pensione futura. Se il datore di lavoro non collabora, il lavoratore ha due opzioni per tutelare i propri diritti. La prima possibilità consiste nell’agire in giudizio per ottenere un’ordinanza che lo obblighi a versare la riserva matematica all’INPS, come stabilito dal Tribunale di Roma nella sentenza n. 3304/2021 della Sezione Lavoro. La seconda alternativa permette al lavoratore di anticipare personalmente la somma necessaria, per poi richiederne il rimborso al datore sotto forma di risarcimento, come indicato dalla Corte d’Appello di Bari nella sentenza n. 969/2023 della Sezione Lavoro. Tuttavia, per poter procedere in quest’ultimo modo, la giurisprudenza, con riferimento alla sentenza n. 1337/2017 della Sezione I del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, precisa che il lavoratore deve dimostrare di aver tentato invano di far costituire la rendita direttamente dal datore.
Prevenire è meglio che curare: monitorare i contributi in tempo reale
La strategia più efficace resta la prevenzione. Il lavoratore ha un diritto soggettivo alla corretta tenuta della propria posizione assicurativa, come riconosciuto dal Tribunale di Nola, Sez. Lavoro, sent. n. 250/2018. Controllare periodicamente l’estratto conto contributivo sul portale INPS è fondamentale. In caso di omissioni non ancora in prescrizione, si può agire subito con un’azione legale contro il datore e l’INPS in litisconsorzio necessario, come stabilito dal Tribunale di Salerno, Sez. I, sent. n. 395/2019. Questo non solo tutela il futuro pensionistico, ma interrompe il decorso della prescrizione, consentendo all’INPS di recuperare i contributi.
Cosa vuole dire tutto questo?
Non perdere la pensione per colpa di un datore inadempiente è possibile, ma richiede consapevolezza, proattività e tempestività. Il nostro sistema protegge il lavoratore con strumenti giuridici potenti — il principio di automaticità, il risarcimento del danno, la rendita vitalizia — ma non assicura un diritto assoluto se si resta inattivi.
La legge non punisce chi non sa, ma non premia chi non controlla.
La pensione è un diritto. Ma anche una responsabilità: quella di vigilare su chi la mette a rischio.

