In Italia, la legge riconosce pari diritti a madri e padri lavoratori nel periodo più delicato della genitorialità: i primi dodici mesi di vita del bambino. Questo principio non è solo un auspicio etico, ma una norma giuridica vincolante, applicabile a tutti i lavoratori subordinati del settore privato, senza distinzioni di genere, professione o settore economico.
La norma chiave: art. 55 del D.Lgs. 151/2001
L’art. 55, comma 1, del Testo Unico sulla maternità e paternità (D.Lgs. 151/2001) stabilisce con chiarezza:
“In caso di dimissioni volontarie presentate durante il periodo per cui è previsto, a norma dell’articolo 54, il divieto di licenziamento, la lavoratrice ha diritto alle indennità previste da disposizioni di legge e contrattuali per il caso di licenziamento. La lavoratrice e il lavoratore che si dimettono nel predetto periodo non sono tenuti al preavviso.”
Questa disposizione non distingue tra madre e padre: entrambi, se si dimettono entro il compimento del primo anno di vita del bambino, vedono la propria cessazione del rapporto equiparata a un licenziamento ai fini dell’accesso alle indennità di legge, tra cui la NASpI (Nuova Assicurazione Sociale per l’Impiego), istituita dal D.Lgs. 22/2015.
Estensione esplicita ai padri: art. 55, comma 2
Il legislatore ha voluto ribadire l’applicabilità ai padri con un comma specifico:
“La disposizione di cui al comma 1 si applica al padre lavoratore che ha fruito del congedo di paternità.”
Tuttavia, come chiarito dall’Ispettorato Nazionale del Lavoro nella nota n. 896/2020, non è necessario aver fruito del congedo di paternità: basta che il padre comunichi al datore di lavoro la propria situazione familiare (ad esempio con un’autodichiarazione allegata alle dimissioni) per beneficiare della mancanza di obbligo di preavviso e della tutela economica.
Accesso alla NASpI: confermato dall’INPS e dalla giurisprudenza
La Circolare INPS n. 32/2023 – afferma senza ambiguità:
“In caso di dimissioni volontarie presentate dal papà durante il periodo di fruizione del congedo di paternità, nonché fino al compimento di un anno di età del bambino, è mantenuto il diritto alle indennità previste in caso di licenziamento (es. all’indennità NASpI).”
Questa circolare è destinata a tutti i lavoratori subordinati, senza esclusioni. Pertanto, qualsiasi dipendente del settore privato – uomo o donna – che si dimetta entro il primo anno di vita del figlio, purché in possesso dei requisiti contributivi (13 settimane negli ultimi 4 anni e 30 giornate di lavoro negli ultimi 12 mesi, ex art. 3 D.Lgs. 22/2015), ha diritto alla NASpI.
Nessuna discriminazione tra settori: il principio di parità costituzionale
L’art. 3 della Costituzione vieta ogni forma di discriminazione, compresa quella basata sul sesso o sulla tipologia di lavoro:
“Negare questo beneficio al solo lavoratore domestico, mentre lo si riconosce a tutti gli altri lavoratori subordinati, viola il principio di parità di trattamento sancito dall’art. 3 Costituzione e dall’art. 157 TFUE.”
Anche se il caso riguardava un colf, il principio è generale: non esiste alcuna norma che escluda i padri dipendenti del settore privato dall’accesso alla NASpI in caso di dimissioni entro l’anno del figlio. Al contrario, l’art. 1, comma 2, del D.Lgs. 151/2001 stabilisce che:
“Sono fatte salve le condizioni di maggior favore stabilite da leggi, regolamenti, contratti collettivi, e da ogni altra disposizione.”
L’art. 55 è appunto una condizione di maggior favore, finalizzata a sostenere la genitorialità attiva, non solo materna ma anche paterna.
Convalida delle dimissioni: obbligatoria entro i primi 3 anni
Va ricordato che, ai sensi dell’art. 55, comma 4, le dimissioni presentate nei primi tre anni di vita del bambino (da madre o padre) devono essere convalidate dall’Ispettorato Territoriale del Lavoro (ITL). Questo adempimento, come chiarito dalla nota 759/2020 dell’Ispettorato, vale anche per il padre, indipendentemente dal fatto che abbia fruito o meno del congedo di paternità.
Conclusione: un diritto universale, non un privilegio femminile
La legge italiana ha superato la visione tradizionale che riservava alla madre il ruolo esclusivo di cura. Oggi, il padre che sceglie di lasciare il lavoro per accudire il figlio nei primi mesi di vita gode degli stessi diritti della madre:
- nessun obbligo di preavviso;
- cessazione equiparata a licenziamento;
- accesso alla NASpI, se in possesso dei requisiti contributivi.
Negare questo diritto – come talvolta accade per pregiudizi o interpretazioni formalistiche – è illegittimo, discriminatorio e contrario alla Costituzione, al Testo Unico 151/2001, alla circolare INPS 32/2023 e ai principi dell’OIL sulla parità di genere nel lavoro.