Un recente decreto ha apportato maggiore chiarezza ad alcune disposizioni del Testo Unico sulle società a partecipazione pubblica, introducendo regole più dettagliate sulla gestione del personale e sul processo di reinternalizzazione dei servizi.
Tuttavia, permangono alcune criticità su punti chiave che restano irrisolti.
Regole sul lavoro nel Testo unico sulle partecipate
Nel complesso e travagliato percorso normativo del Testo Unico sulle società a partecipazione pubblica (decreto legislativo n. 175/2016), si è aggiunto un ulteriore tassello a giugno 2017 con l’adozione di un decreto correttivo (Dlgs n. 100/2017). Questo intervento si è reso necessario a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 251/2016, che aveva generato una complessa situazione di stallo giuridico-politico.
Le società a partecipazione pubblica rappresentano un fenomeno articolato e dai confini talvolta indefiniti, il risultato di una sovrapposizione normativa cresciuta in modo frammentario e disomogeneo. Si tratta di una componente significativa dell’economia nazionale, interessante anche dal punto di vista del diritto del lavoro per la sua natura ibrida che coniuga aspetti pubblici e privati.
Il Testo Unico, attraverso gli articoli 19 e 25, introduce una normativa unitaria per la gestione del personale nelle società a controllo pubblico (con l’esclusione delle società quotate). Questa importante scelta di sistema stabilisce che, salvo eccezioni specifiche, i rapporti di lavoro dei dipendenti siano regolati dalle normative del lavoro privato, incluse quelle relative agli ammortizzatori sociali.
L’eccezione principale riguarda le modalità di assunzione, in quanto alle società spetta il compito di definire autonomamente criteri e procedure, nel rispetto dei principi di trasparenza, pubblicità e imparzialità, nonché di quelli previsti dall’articolo 35, comma 3, del Testo Unico sul pubblico impiego (Dlgs n. 165/2001). Tuttavia, già l’articolo 18 della legge n. 112/2008 aveva introdotto disposizioni in materia di selezione, imponendo limiti significativi alla libertà operativa delle società.
La normativa risulta chiara: le selezioni devono essere effettuate per ogni tipo di assunzione e per ogni qualifica, inclusi i dirigenti. A mio parere, in questo contesto assume rilievo il ruolo dell’ente pubblico di riferimento, così come indicato all’articolo 19, comma 5, nel fissare obiettivi specifici relativi all’insieme delle spese di funzionamento, comprese quelle destinate al personale.
L’assoggettamento delle qualifiche dirigenziali alle procedure selettive solleva diverse criticità, poiché, nel settore privato, il rapporto dirigenziale si basa principalmente sulla fiduciarietà, accompagnata dalla possibilità di recesso libero. Questi princìpi mal si conciliano con l’obbligo di adottare una procedura concorsuale.
Tra i molteplici problemi irrisolti, se ne possono citare alcuni rilevanti. Ad esempio, quali norme dovrebbero essere applicate ai contratti a tempo determinato? In caso di abuso, si deve dare priorità all’impostazione pubblicistica, che ne impedisce la trasformazione in contratti a tempo indeterminato, oppure alle disposizioni valide per il settore privato? Analoghi dubbi emergono in tema di mutamento delle mansioni. In tutta onestà, appare complesso immaginare l’applicazione di regole concepite per realtà così diverse, come le pubbliche amministrazioni e le organizzazioni private.
Rimane tuttavia un’incertezza di fondo, poiché l’introduzione della regola della selezione solleva diverse questioni di natura sistematica, richiedendo un’attenta e complessa attività interpretativa. È chiaro fin da subito: non mi illudo certo che la procedura concorsuale possieda un’efficacia straordinaria o risolutiva, tutt’altro. Tuttavia, nel momento in cui si adotta una determinata linea interpretativa, emerge in modo inevitabile la necessità di garantire una coerenza complessiva del sistema.
La reinternalizzazione dei servizi
Uno degli obiettivi principali del Testo unico è ottimizzare il numero delle società partecipate. A tal fine, il legislatore, all’articolo 19, comma 8, così come modificato dal Dlgs n. 100/2017, ha introdotto la possibilità di “riassorbire” il personale in caso di reinternalizzazione di funzioni o servizi precedentemente affidati a tali società da parte dell’ente pubblico. Tuttavia, questa possibilità è vincolata a rigidi limiti di spesa e alla disponibilità di posti vacanti nell’organico.
La norma, però, si applica esclusivamente ai dipendenti pubblici a tempo indeterminato che sono passati alle dipendenze della società coinvolta nella reinternalizzazione. Avrebbe potuto invece includere una platea più ampia di lavoratori, almeno tutti coloro che risultano essere stati originariamente assunti dalle società medesime tramite procedure selettive, previste in varie forme sin dal 2008.
Il “divieto” di assumere
La norma prevista dall’articolo 25, comma 4, che impone alle società partecipate il divieto di effettuare assunzioni fino al 30 giugno 2018, salvo il ricorso a futuri elenchi di personale eccedente gestiti dalle regioni, solleva numerose discussioni. Il procedimento appare indubbiamente complesso e farraginoso. Anche sul fronte degli esuberi permane incertezza: non è chiaro se dovrà essere seguita la disciplina di diritto privato o quella relativa alle “eccedenze di personale e mobilità collettiva” delle pubbliche amministrazioni, come regolamentata dall’articolo 33 del Dlgs n. 165/2001.
In definitiva, alcuni passi avanti sono stati compiuti, e si riconosce l’importanza di regole lavoristiche più uniformi. Tuttavia, permane la sensazione di trovarsi in una fase intermedia, con normative che necessiteranno inevitabilmente di ulteriori interventi. Questo sarà favorito anche dalle sollecitazioni che, certamente, non mancheranno, sia da parte della giurisprudenza che degli operatori del settore.