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Licenziamento per giusta causa illegittimo

Licenziamento per giusta causa illegittimo

Il Tribunale Civile – Sezione Lavoro – ha accolto l’impugnazione del licenziamento di una lavoratrice che aveva subito il recesso per giusta causa per l’asserita appropriazione, durante lo svolgimento della prestazione lavorativa alle dipendenze di una tabaccheria, di sigarette e/o somme di denaro per un totale di € 29.928,66.

La lavoratrice, impiegata, presso una rivendita di tabacchi e commercio al dettaglio, in virtù di un contratto a tempo indeterminato e in qualità di commessa, aveva subito un procedimento disciplinare con cui le era stato contestato di essersi appropriata, nel periodo dal mese di gennaio 2017 al mese di dicembre 2017, di sigarette e/o somme di denaro contante per un valore complessivo di € 29.928,66 presenti presso il punto vendita.

In particolare il datore di lavoro contestava alla lavoratrice che dal rendiconto di carico/scarico della merce di tabacchi, rispetto alle risultanze del conto bancario presso cui la lavoratrice effettuava i versamenti degli incassi delle vendite di tabacchi, risultavano ammanchi per un totale di € 29.928,66.

Il datore di lavoro prima di ricevere le giustificazioni della lavoratrice provvedeva a comunicare il licenziamento e successivamente preso atto delle discolpe, confermava comunque il recesso, adducendo che in ogni caso le giustificazioni fornite non erano accoglibili.

La lavoratrice impugnava il licenziamento e nel ricorso, oltre all’accertamento dell’illegittimità del recesso, chiedeva la condanna del datore di lavoro al pagamento dell’ultima mensilità e del tfr trattenuta dal datore di lavoro sull’asserito maggior credito.

Il datore di lavoro, a cui ritualmente era stato notificato il ricorso e il decreto di fissazione dell’udienza, si costituiva contestando le deduzioni della ricorrente e chiedendo in via riconvenzionale il pagamento della somma di € 29.928,66.

Il datore di lavoro deve provare la sussistenza dei fatti contestati e la loro riferibilità al lavoratore.

Il Giudice del lavoro ha ritenuto il ricorso fondato e meritevole di accoglimento sia in punto di illegittimità del recesso che in punto di riconoscimento del pagamento dell’ultima mensilità e del Tfr trattenuto dal datore di lavoro.

Il Giudice, quanto all’esercizio del potere disciplinare, ha osservato che l’ingente ammanco economico imputato alla lavoratrice se da un lato può essere sufficiente ad integrare una giusta causa di licenziamento dall’altro è necessario che la contestazione di addebito sia tempestiva e che i requisiti fondamentali, quali specificità, immediatezza e immutabilità siano rispettati per consentire l’esercizio di difesa da parte del lavoratore.

Secondo l’orientamento condivisibile adottato dal Giudice, per valutare la legittimità o meno del licenziamento occorre “ ..l’individuazione delle contestazioni mosse al lavoratore, la prova della cui sussistenza è un onere che incombe ineludibilmente sul datore di lavoro”.

Nel caso di specie, all’esito dell’istruttoria espletata, il Giudice ha ritenuto che la prova dell’addebitabilità della condotta contestata alla ricorrente non era stata raggiunta in quanto una pluralità di persone, durante tutto il periodo oggetto di contestazione, avevano avuto un contatto diretto con la merce della tabaccheria e con il denaro contante e il datore di lavoro non aveva fornito alcuna prova che potesse ricondurre l’ammanco alla condotta della lavoratrice.

Il Giudice ha motivato l’illegittimità del recesso tenendo conto anche di un altro elemento e cioè che il registratore di cassa della rivendita di tabacchi era gestito autonomamente anche da un’altra dipendente, impiegata con le stesse mansioni della ricorrente.

“Quest’ultima, infatti, è stata impiegata presso la tabaccheria dall’aprile al novembre 2017 svolgendo la propria attività lavorativa dalle 14:00 alle 20:30 sei giorni a settimana. Il fatto che entrambe gestissero autonomamente il registratore di cassa e che durante il turno fossero da sole esclude che gli ammanchi siano imputabili con certezza alla Pinna, con la conseguenza che, come già detto, si ritiene non sia stata raggiunta la prova dell’effettiva sussistenza del fatto addebitato dalla parte datoriale alla lavoratrice”.

Il Giudice inoltre ha dato risalto all’eccezione di mancanza di specificità della contestazione disciplinare nella parte in cui, gli ammanchi addebitati alla ricorrente, riguardavano genericamente tutto il 2017 e così ha motivato “Ciò non consente in alcun modo di stabilire in quali giorni dell’anno si siano verificate le indebite appropriazioni e, pertanto, non è possibile ricondurle alla responsabilità della Pinna, in considerazione del fatto che, come già detto, in sostanza per quasi tutto il 2017 una pluralità di persone ha avuto la possibilità di entrare in contatto sia con la merce che con il denaro”.

L’accoglimento della domanda di illegittimità del recesso, con conseguente condanna del datore di lavoro all’indennità di cui all’art. 9 D.Lgs n. 23/2015, ha determinato anche l’accoglimento della domanda della ricorrente al pagamento dell’ultima retribuzione e del TFR in quanto somme che il datore di lavoro aveva pacificamente non corrisposto alla lavoratrice oltre all’integrale rigetto dell’avversa domanda riconvenzionale.

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