In Italia è lecito registrare una conversazione a cui si partecipa, anche senza informare l’interlocutore, perché non si configura come intercettazione, ma come atto di autotutela. Tale registrazione può essere utilizzata come prova documentale (art. 2712 c.c. nel civile, art. 234 c.p.p. nel penale), a patto che la controparte non la disconosca in modo chiaro, circostanziato ed esplicito.
Tuttavia, registrare conversazioni tra terzi o diffondere il contenuto registrato senza scopo difensivo (es. sui social) può costituire reato (art. 615-bis c.p., violazione della privacy).
Novità rilevante: a seguito della sentenza C-548/21 della Corte di Giustizia UE (4 ottobre 2024), recentemente recepita in Italia tramite un emendamento alla legge di delegazione comunitaria (dicembre 2025), l’accesso ai dati di smartphone, chat e device da parte delle autorità richiede ora il preventivo controllo di un giudice o di un organo indipendente, salvo casi di urgenza o reati gravi. Questo riconosce al "domicilio digitale" una tutela simile a quella dell’abitazione fisica.
In sintesi: la registrazione è uno strumento legittimo di difesa, ma non è un salvacondotto per sorvegliare, diffondere o bypassare le garanzie costituzionali e comunitarie sulla privacy.