Argomento:
L’articolo analizza la recente sentenza della Corte di Cassazione n. 34485/2025, che ha ribaltato la tradizionale protezione dell’unica abitazione nei confronti del fisco, distinguendo nettamente tra recupero di debiti tributari e confisca del profitto derivante da reati fiscali. Si esamina il fondamento giuridico della decisione, le norme coinvolte (Dpr 602/1973, Dlgs 74/2000, art. 2740 c.c.), e le implicazioni per i contribuenti.
L’unica casa non è più un rifugio: la Cassazione apre la strada al sequestro per reati tributari
Fino a pochi mesi fa, molti contribuenti potevano dormire sonni tranquilli sapendo che, almeno per quanto riguardava il fisco, la loro unica casa era intoccabile. Questa convinzione si fondava su una norma ben precisa: l’articolo 76, comma 1, lettera a), del Dpr 602/1973, che vieta all’agente della riscossione di procedere all’espropriazione forzata dell’unico immobile di proprietà del debitore, a condizione che non sia di lusso (categorie catastali A/8 e A/9) e che sia la residenza anagrafica del contribuente.
Tuttavia, con la sentenza n. 34485 del 2025, emessa dalla Corte di Cassazione, Sezione III Penale, questa certezza è venuta meno. La Suprema Corte ha infatti stabilito un principio di portata generale: l’unica abitazione può essere sequestrata e successivamente confiscata qualora il proprietario sia indagato o condannato per gravi reati tributari, come la dichiarazione fraudolenta mediante l’uso di false fatture (art. 2 del Dlgs 74/2000).
Il caso concreto e il ragionamento della Cassazione
Il caso esaminato dalla Corte riguardava un imprenditore accusato di aver utilizzato fatture false per sottrarsi al pagamento delle imposte. In sede di indagini preliminari, la Procura aveva disposto il sequestro preventivo della sua unica abitazione, in vista di una futura confisca per equivalente del profitto illecito realizzato con la condotta criminosa.
L’imprenditore aveva fatto ricorso, invocando proprio l’art. 76 del Dpr 602/1973, nella convinzione che tale norma impedisse qualsiasi forma di aggressione patrimoniale sul bene abitativo principale. La Corte di Cassazione, tuttavia, ha respinto il ricorso, tracciando una netta distinzione tra due ambiti giuridici:
- L’esecuzione fiscale, in cui il creditore è l’Agenzia delle Entrate Riscossione e il debito è di natura tributaria;
- Il procedimento penale per reati tributari, in cui lo Stato agisce non per recuperare un credito, ma per confiscare il profitto illecito derivante da un reato.
Secondo i giudici, la tutela dell’art. 76 del Dpr 602/1973 opera solo nel primo ambito. Nel secondo, invece, entra in gioco un principio più generale: l’art. 2740 del Codice civile, secondo cui “il debitore risponde dell’adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri”.
La Corte ha quindi concluso che, in assenza di una deroga espressa alla responsabilità patrimoniale generale per i reati tributari, non vi è alcun ostacolo al sequestro dell’unica casa, neppure se essa costituisce il nucleo essenziale del diritto all’abitazione.
Il paradosso giuridico e le critiche
La decisione della Cassazione genera un paradosso normativo di non poco conto. Da un lato, lo Stato non può pignorare l’unica casa per recuperare un debito IVA o IRPEF; dall’altro, può confiscarla se quel debito deriva da un reato. In sostanza, chi commette un illecito fiscale grave rischia di perdere il tetto sopra la testa, mentre chi semplicemente non paga le tasse (senza frode) mantiene la protezione del proprio immobile.
Questa distinzione, pur formalmente corretta dal punto di vista logico-giuridico, solleva interrogativi di ordine costituzionale. L’articolo 2 della Costituzione tutela i diritti inviolabili dell’uomo, tra cui il diritto all’abitazione, mentre l’articolo 47 riconosce il diritto dei cittadini a “abitare una casa”. Sebbene la Corte non abbia ritenuto di dover bilanciare tali principi con l’esigenza di reprimere la frode fiscale, molti giuristi ritengono che la proporzionalità della misura non sia stata adeguatamente valutata.
Inoltre, la sentenza ribalta orientamenti precedenti della stessa Cassazione, come le pronunce n. 22581/2019 e n. 3011/2017, che avevano riconosciuto una forma di tutela implicita dell’unica abitazione anche in ambito penale, sulla base di un’interpretazione costituzionalmente orientata del diritto alla casa.
Implicazioni pratiche per i contribuenti
La portata della sentenza è potenzialmente vastissima. Chiunque sia coinvolto in un procedimento penale per:
- Dichiarazione fraudolenta (Dlgs 74/2000, art. 2);
- Occultamento o distruzione di documenti contabili (art. 5);
- Evasione fiscale aggravata (art. 11, co. 1, lett. a-bis);
potrebbe vedersi sequestrare l’unica casa, anche se questa non è stata acquistata con il denaro frutto del reato, ma rappresenta comunque un bene aggredibile ai fini della confisca per equivalente.
La confisca per equivalente, prevista dall’art. 321 del Codice di procedura penale, consente infatti al giudice di porre sotto sequestro beni del valore corrispondente al profitto illecito, indipendentemente dalla loro provenienza. Ciò significa che non è necessario dimostrare un nesso diretto tra il reato e l’immobile: basta che il valore dell’abitazione copra (in tutto o in parte) l’importo del profitto da confiscare.
Conclusioni: un segnale forte, ma a quale prezzo?
La sentenza n. 34485/2025 rappresenta un segnale inequivocabile da parte della magistratura: la lotta all’evasione fiscale passa anche attraverso misure patrimoniali drastiche, senza sconti neppure per il bene più simbolico e concreto della vita di una persona: la casa.
Tuttavia, questa linea rigorista solleva questioni delicate di equità e proporzionalità. Se da un lato è comprensibile l’esigenza di colpire chi froda lo Stato con sistemi organizzati e dannosi per la collettività, dall’altro non si può ignorare il rischio di colpire in modo sproporzionato chi, pur avendo commesso un illecito, non ha arricchito sé o la propria famiglia in modo esorbitante.
In un contesto in cui il diritto all’abitazione è sempre più fragile – tra crisi abitative, inflazione e disuguaglianze – la giurisprudenza dovrà confrontarsi con la necessità di conciliare repressione e garanzie individuali. Fino ad allora, la sentenza della Cassazione resterà un monito severo: l’unica casa non è più un santuario.

