Nel panorama del diritto del lavoro italiano, la distinzione tra aspettative legittime e diritti soggettivi perfetti rappresenta un confine sottile ma decisivo per la tutela giurisdizionale del lavoratore. Una recente pronuncia della Corte d’Appello di Roma, sentenza n. 251/2025 R.G., emessa in data 22 ottobre 2025, offre un’occasione preziosa per riflettere su tale distinzione, con particolare riferimento ai contratti di lavoro a tempo determinato e alla possibilità – o meglio, all’impossibilità – di far valere un risarcimento del danno in caso di mancato rinnovo o trasformazione del rapporto.
Il contesto fattuale e le pretese del lavoratore
Il caso sottoposto al vaglio del giudice riguardava un lavoratore assunto con contratto a termine nel settore della vigilanza privata, la cui collaborazione si era conclusa alla naturale scadenza prevista per il 6 febbraio 2024. Il dipendente aveva però lamentato di essere stato, di fatto, “licenziato” in anticipo – il 2 febbraio – a causa del suo legittimo esercizio dei permessi retribuiti previsti dalla legge 104/1992, nonché del suo rifiuto di prestare servizio in turni notturni non conformi al contratto collettivo. In particolare, il lavoratore sosteneva di aver subìto pressioni da parte di una responsabile aziendale, la quale avrebbe esplicitamente collegato l’utilizzo dei permessi e il rifiuto di turni aggiuntivi alla mancata proroga del contratto.
In primo grado, il Tribunale di Roma (sentenza n. 662/2025 del 21 gennaio 2025) aveva escluso la configurabilità di un licenziamento, riconoscendo che il rapporto si era effettivamente concluso alla data naturale di scadenza. Tuttavia, il giudice aveva ritenuto che il comportamento del datore di lavoro – pur non costituendo un illecito formale – fosse comunque contrario ai principi di correttezza e buona fede contrattuale (art. 1175 c.c.), poiché aveva compromesso le “possibilità di trasformazione del rapporto da tempo determinato a tempo indeterminato”. Sulla base di tale ragionamento, il Tribunale aveva condannato la società al pagamento di un risarcimento equitativo pari a tre mensilità.
L’impianto argomentativo della Corte d’Appello
La Corte d’Appello di Roma ha riformato integralmente tale decisione, riaffermando con forza un principio ormai consolidato nella giurisprudenza di legittimità: la mera aspettativa del lavoratore a termine di vedere il proprio rapporto prorogato o trasformato in un rapporto a tempo indeterminato non costituisce un diritto soggettivo tutelabile, né può fondare una pretesa risarcitoria, neppure sotto la forma del danno da “perdita di chance”.
Il Collegio ha innanzitutto ribadito che il mancato rinnovo di un contratto a termine – qualunque ne sia la motivazione – non integra di per sé un illecito, salvo che non si provi l’esistenza di un comportamento discriminatorio, ritorsivo o comunque contrario a norme imperative. Nella specie, nonostante le affermazioni del lavoratore, non era emersa alcuna prova concreta che la decisione di non proseguire il rapporto fosse stata determinata da un intento punitivo o discriminatorio legato all’esercizio dei permessi ex legge 104. Anzi, la Corte ha sottolineato che la responsabile aziendale citata non aveva alcun potere decisionale in materia di rinnovi contrattuali, e che le scelte organizzative spettavano esclusivamente ai vertici aziendali.
La natura giuridica dell’aspettativa e i limiti della tutela risarcitoria
Il cuore della decisione risiede nella rigorosa distinzione tra aspettativa di fatto e diritto soggettivo. La Corte ha richiamato espressamente la giurisprudenza della Corte di Cassazione – in particolare la sentenza delle Sezioni Unite n. 36197/2023 e l’ordinanza della Sezione Lavoro n. 11622/2024 – secondo cui “nei rapporti a tempo determinato, il mancato rinnovo del contratto integra un’apprensione che costituisce una mera aspettativa di fatto, non giustiziabile per la sua irrilevanza giuridica”.
Questa affermazione non va letta come una negazione del valore umano o professionale delle aspettative del lavoratore, ma piuttosto come una conseguenza logica del sistema contrattuale disegnato dal legislatore. Il contratto a termine è, per sua natura, destinato a cessare alla scadenza del termine, senza che ciò generi alcun obbligo per il datore di prolungare il rapporto. L’eventuale proroga o trasformazione in contratto a tempo indeterminato è una scelta discrezionale, subordinata alle esigenze organizzative, economiche e produttive dell’impresa, e non può essere trasformata in un diritto del lavoratore sulla base di mere considerazioni equitative o di opportunità.
Il danno da “perdita di chance”: quando è configurabile?
Un ulteriore profilo di interesse riguarda la questione del danno da perdita di chance, figura risarcitoria sempre più invocata nei contenziosi del lavoro. La Corte d’Appello ha chiarito che tale forma di danno presuppone la seria e apprezzabile probabilità di conseguire un bene della vita giuridicamente protetto. Nel caso del mancato rinnovo di un contratto a termine, però, ciò che viene meno non è un bene giuridicamente tutelato, ma una mera eventualità futura, priva di ancoraggio normativo.
In altre parole, perché possa parlarsi di “perdita di chance”, deve esistere un interesse legittimo già riconosciuto dall’ordinamento – ad esempio, la partecipazione a un concorso con regole trasparenti, o la sussistenza di un obbligo legale di stabilizzazione. Al contrario, l’aspettativa che un datore di lavoro decida di trasformare un rapporto a termine in uno a tempo indeterminato non è protetta da alcuna norma, e quindi non può costituire la base per una domanda risarcitoria.
Conseguenze processuali e probatorie
La sentenza offre anche importanti spunti in tema di onere della prova. Il lavoratore, infatti, non aveva allegato in modo specifico né la natura né l’entità del danno subìto, limitandosi a chiedere genericamente il risarcimento “di tutti i danni subiti e subendi”. La Corte ha rilevato che tale formulazione è insufficiente per fondare una condanna risarcitoria, soprattutto in assenza di un danno certo o di una perdita di chance concretamente dimostrabile.
Inoltre, la richiesta di ammissione della prova testimoniale – volta a dimostrare l’assenza di pressioni ritorsive da parte della responsabile aziendale – è stata ritenuta superflua, proprio perché irrilevanti ai fini del giudizio erano le ragioni sottostanti la decisione di non rinnovare il contratto. In un sistema in cui il mancato rinnovo è legittimo per se, non occorre neppure indagare sulle motivazioni del datore, salvo che non si deduca e si provi un illecito autonomo (ad esempio, una discriminazione).
Conclusioni: tra buona fede contrattuale e discrezionalità datoriale
La sentenza della Corte d’Appello di Roma ribadisce un equilibrio delicato ma necessario: da un lato, il principio di buona fede contrattuale (art. 1175 c.c. e art. 2094 c.c.) impone al datore di lavoro di agire con correttezza anche nella fase di conclusione del rapporto; dall’altro, tale principio non può trasformarsi in un vincolo alla libertà d’impresa né in un diritto del lavoratore a veder perpetuato un rapporto temporaneo.
In definitiva, non ogni frustrazione di un’aspettativa legittima equivale a una lesione risarcibile. Il sistema giuridico distingue con chiarezza tra ciò che è moralmente auspicabile e ciò che è giuridicamente tutelabile. Solo nel secondo caso sorge un diritto al risarcimento. La sentenza n. 251/2025 R.G. rappresenta, in tal senso, un utile monito contro l’espansione incontrollata della responsabilità civile nel diritto del lavoro, e un richiamo alla necessità di ancorare ogni pretesa risarcitoria a un interesse giuridicamente rilevante, non a mere speranze o opportunità mancate.
Questa pronuncia si inserisce in un filone giurisprudenziale ormai consolidato, che mira a preservare la certezza del diritto e a evitare che il giudice del lavoro diventi un “giudice equitativo” chiamato a compensare ogni disallineamento tra aspettative individuali e scelte aziendali legittime. In un mercato del lavoro sempre più flessibile, tale equilibrio appare non solo giuridicamente corretto, ma anche socialmente necessario.

