In un condominio , tre edifici mostravano i segni di un degrado ormai inarrestabile: cornicioni pericolanti, distacchi di intonaco e calcestruzzo, infiltrazioni d’acqua che minavano l’integrità delle strutture. I Vigili del Fuoco avevano già sollevato allarmi per il rischio concreto alla pubblica e privata incolumità. Un consulente tecnico d’ufficio (CTU), nominato dal tribunale, aveva stilato una perizia precisa: occorreva intervenire subito con lavori urgenti di manutenzione straordinaria.
Eppure, nonostante l’evidenza del pericolo, l’assemblea condominiale non riusciva a deliberare. Il nodo era sempre lo stesso: la ripartizione delle spese tra i condomini. Alcuni rifiutavano di accollarsi costi ritenuti sproporzionati rispetto al loro valore millesimale; altri contestavano la necessità stessa degli interventi. Il risultato?
Un blocco deliberativo totale. L’assemblea, pur convocata diverse volte, non raggiungeva mai la maggioranza richiesta: più della metà dei partecipanti che rappresentassero almeno 500 millesimi, come previsto dall’articolo 1136, quarto comma, del Codice civile per le decisioni in materia di manutenzione straordinaria.
Di fronte a questa paralisi, cinque condomini — stanchi di vivere in un edificio pericolante e consapevoli che ogni giorno di ritardo aggravava la situazione — hanno deciso di agire. Hanno presentato un ricorso in via di volontaria giurisdizione ai sensi dell’articolo 1105, quarto comma, del Codice civile, chiedendo al giudice di intervenire per superare l’inerzia collettiva e tutelare la sicurezza della cosa comune.
Il Tribunale , con decreto del 5 novembre 2025, ha accolto il ricorso. Nel provvedimento, il giudice ha riconosciuto due presupposti essenziali:
- la paralisi decisionale dell’assemblea, causata da dissidi insanabili tra i condomini;
- l’urgenza e la pericolosità della situazione, confermate dal CTU e dalle segnalazioni dei Vigili del Fuoco.
Di conseguenza, ha nominato un commissario ad acta — in questo caso un avvocato — con poteri sostitutivi rispetto all’assemblea. I suoi compiti erano esplicitamente definiti:
- individuare l’impresa esecutrice dei lavori;
- affidare e seguire l’esecuzione dei lavori, avvalendosi del supporto tecnico di un direttore dei lavori;
- ripartire le spese tra i condomini in base agli articoli 1123 e 1126 del Codice civile (rispettivamente, ripartizione in base ai millesimi per le parti comuni e in base all’uso effettivo o potenziale per le parti come tetti e lastrici solari).
Questo intervento giudiziario non è un’eccezione estemporanea, ma trova fondamento in una norma chiara e consolidata. L’articolo 1105, quarto comma, del Codice civile, prevede testualmente:
“Se non si prendono i provvedimenti necessari per l’amministrazione della cosa comune, ciascun partecipante può ricorrere all’autorità giudiziaria, la quale provvede in camera di consiglio e può anche nominare un amministratore.”
Questa disposizione, sebbene originariamente formulata per la comunione in generale, si applica anche al condominio negli edifici, in quanto istituto sostanzialmente analogo per la gestione di beni comuni. La Corte di Cassazione ha più volte confermato tale applicabilità. In particolare, con la sentenza n. 10865 del 2016, ha ribadito:
“In caso di inerzia dell’assemblea, è legittimo l’intervento sostitutivo del giudice con la nomina di un commissario ad acta.”
Il commissario ad acta non è un amministratore condominiale né un amministratore giudiziario in senso tecnico. È una figura straordinaria, temporanea e funzionale, creata ad hoc per compiere atti specifici che l’assemblea non riesce a deliberare, ma che sono indispensabili per la conservazione della cosa comune. Una volta assolto il mandato — in questo caso, conclusi i lavori e ripartite le spese — la sua funzione cessa automaticamente.
È importante chiarire che questo rimedio è residuale: il giudice interviene solo quando ogni altra via interna al condominio si è esaurita. Non è uno strumento per aggirare le regole assembleari, ma un’ancora di salvezza in situazioni di impasse che mettono a rischio la sicurezza di persone e cose.
Vale anche la pena ricordare che, trattandosi di un procedimento di volontaria giurisdizione, non si applica il principio della soccombenza: le spese legali restano a carico di chi le ha sostenute, senza possibilità di rivalsa sugli altri condomini. Tuttavia, i ricorrenti possono chiedere il rimborso pro quota delle spese strettamente legate all’intervento (come il compenso del CTU o i costi dei lavori), in proporzione alle tabelle millesimali o all’uso effettivo delle parti comuni.
In sintesi, quando il condominio si blocca — per litigi, indifferenza o incapacità di decidere — la legge non abbandona i cittadini al degrado. Fornisce uno strumento efficace, tempestivo e mirato: la nomina giudiziale di un commissario ad acta, capace di rompere la paralisi e agire per il bene comune, in piena adesione al dettato normativo e alla giurisprudenza consolidata.

