Tribunale di Milano – sentenza n. 2195 del 24 aprile 2024
È illegittimo il rifiuto dell’INPS di riconoscere la Naspi a un lavoratore dimessosi per giusta causa per la condotta di sotto-inquadramento e sotto-retribuzione subita dall’azienda, sulla base del ragionamento secondo cui solo alcune ipotesi di dimissioni per giusta causa, quali il mancato pagamento della retribuzione, l’aver subito molestie sessuali e la modifica peggiorativa delle mansioni permetterebbero di accedere alla prestazione.
Né tantomeno il fatto che il dipendente abbia sottoscritto un verbale di conciliazione vale ad escludere la sussistenza della giusta causa, come al contrario sostenuto dall’INPS.
1. Il caso
La vicenda vedeva come protagonista un lavoratore assunto da un’azienda con inquadramento nella categoria B1 del CCNL Chimico Farmaceutico.
A seguito di un’operazione di riorganizzazione aziendale (avvenuta ad aprile 2022), il lavoratore iniziava a svolgere mansioni riconducibili alla categoria di quadro (quali, ad esempio, la pianificazione dell’organizzazione del settore affidatogli dal brand di cui era responsabile, ricerca di mercato), con esclusiva responsabilità di intervento e autonomia decisionale.
Dopo aver infruttuosamente chiesto delucidazioni alla società circa il proprio diritto ad essere inquadrato nel livello superiore e diffidato la stessa a provvedere al corretto inquadramento (con conseguente riconoscimento delle differenze retributive e contributive) il lavoratore si dimetteva per giusta causa con decorrenza dal 1° dicembre 2022.
Il lavoratore vedeva rigettata dall’INPS la sua richiesta di accedere alla Naspi; ad avviso del Comitato provinciale dell’Istituto solo le ipotesi di dimissioni per giusta causa motivate dal mancato pagamento della retribuzione, l’aver subito molestie sessuali e la modifica peggiorativa delle mansioni permetterebbero di accedere alla prestazione (ipotesi esemplificate dall’INPS con propria circolare). Il lavoratore conveniva in giudizio l’INPS dinnanzi al Tribunale di Milano.
2. Le dimissioni per giusta causa
Il Tribunale rileva come l’istruttoria svolta ha dimostrato l’effettivo svolgimento da parte del lavoratore di mansioni riconducibili al livello di quadro rispetto a quelle di impiegato di primo livello per le quali era stato assunto.
A causa della condotta subita dall’azienda, che aveva omesso di riconoscere il corretto inquadramento al lavoratore, lo stesso non aveva potuto far altro che dimettersi per giusta causa.
Contrariamente a quanto sostenuto dall’INPS, sussisteva nel caso di specie lo stato di disoccupazione involontaria (art. 3, comma 1, let. c) D.Lgs n. 22/2015) necessario per accedere alla Naspi.
Inoltre, le ipotesi di dimissioni per giusta causa, che danno luogo a uno stato di disoccupazione involontaria, non costituiscono una categoriatassativa ma al contrario flessibile ed aperta a fattispecie atipiche.
Tra queste ultime va compreso il caso in esame, in quanto la condotta di sotto-inquadramento e sotto-retribuzione mantenuta integra un grave inadempimento dell’azienda che ha portato il lavoratore a dimettersi, trovandosi involontariamente in stato di disoccupazione.
Non vale ad escludere la giusta causa di dimissioni nemmeno il fatto che il lavoratore abbia sottoscritto un verbale di conciliazione, come al contrario sostenuto dall’INPS.
Infatti “la trattativa in sede conciliativa e la successiva sottoscrizione del verbale non escludono affatto la giusta causa delle dimissioni né rappresentano una rinuncia ad essa da parte del lavoratore. Bensì al contrario, provano l’intenzione del medesimo lavoratore di agire, in sede stragiudiziale, proprio per far valere la giusta causa delle sue dimissioni”.
3. Conclusioni
La pronuncia in commento è da accogliere con favore.
La giusta causa delle dimissioni, quale condizione che non consente la prosecuzione neanche provvisoria del rapporto di lavoro, è una nozione definita dalla legge con una clausola generale, e non è possibile indicare in via preventiva tutte le ipotesi che possono integrare la fattispecie.
La ricorrenza della giusta causa dovrà essere necessariamente accertata dal giudice nel caso concreto e pertanto, trattandosi di categoria flessibile, qualsiasi prassi amministrativa volta a limitare la giusta causa solo ad alcune ipotesi è illegittima.