Nel mondo del lavoro, uno dei temi più delicati – e spesso fraintesi – riguarda il licenziamento fondato sulle assenze del dipendente. Non ogni assenza, però, autorizza il datore di lavoro a recedere dal rapporto. La legge e la giurisprudenza tracciano confini precisi, e superarli significa rischiare un licenziamento dichiarato illegittimo con conseguente reintegro o indennizzo. Ma allora: quando un licenziamento per assenze ripetute è davvero legittimo?
Il quadro normativo: art. 7 della legge n. 604/1966
Il punto di partenza è l’art. 7, comma 1, della legge 30 luglio 1966, n. 604, che disciplina i licenziamenti individuali per giustificato motivo soggettivo o oggettivo:
«Il datore di lavoro può recedere dal contratto di lavoro per giustificato motivo, che deve essere comunicato per iscritto al lavoratore. Il giustificato motivo può consistere in una condotta del lavoratore tale da far venire meno il rapporto di fiducia, ovvero in ragioni inerenti all’organizzazione o al regolare funzionamento dell’azienda.»
Le assenze ricorrenti per malattia rientrano, in linea di massima, nella categoria del giustificato motivo oggettivo, in quanto non dipendono da una colpa diretta del lavoratore, ma possono comunque compromettere la funzionalità aziendale.
Il limite invalicabile: il “periodo di comporto”
Prima di poter procedere al licenziamento, il datore di lavoro deve attendere il decorso del cosiddetto “periodo di comporto”, ossia quel lasso di tempo – previsto dal contratto collettivo nazionale applicato – durante il quale il dipendente ha diritto di assentarsi per malattia senza che il rapporto di lavoro possa essere risolto. Superato tale periodo, il datore può licenziare, ma non è automaticamente autorizzato a farlo. La Corte di Cassazione è intervenuta più volte per chiarire questo aspetto cruciale.
Cassazione: non basta il superamento del comporto
In una pronuncia fondamentale, la Corte di Cassazione, Sez. lav., 5 febbraio 2019, n. 3305, ha ribadito con forza:
«Il superamento del periodo di comporto non costituisce, di per sé, giustificato motivo oggettivo di licenziamento, ma rappresenta soltanto una condizione necessaria, non sufficiente. Occorre infatti una valutazione concreta dell’impatto dell’assenza sulla funzionalità dell’azienda, tenendo conto della specifica organizzazione del lavoro, della sostituibilità del lavoratore e della prevedibilità delle future assenze.»
Il licenziamento è considerato legittimo solo quando le assenze risultano prolungate o ricorrenti al punto da compromettere significativamente l’organizzazione aziendale, riguardano una posizione difficilmente sostituibile e rendono il rapporto insostenibile per il datore di lavoro.
Assenze brevi ma frequenti: attenzione al “carattere patologico”
Un altro scenario rilevante riguarda le assenze brevi ma ripetute, spesso legate a patologie croniche. In questi casi, la Cassazione ha chiarito che non è sufficiente la mera numerosità delle assenze. Nella sentenza n. 17550/2017, si legge:
«Qualora le assenze siano dovute a una condizione patologica cronica o ricorrente, il licenziamento richiede una motivazione rigorosa, fondata su elementi oggettivi di perturbazione dell’attività aziendale, e non può fondarsi su una logica meramente punitiva o discriminatoria nei confronti di un lavoratore malato.»
Ciò significa che il datore non può limitarsi a contare i giorni di assenza: deve dimostrare concretamente come tali assenze abbiano danneggiato l’azienda, ad esempio causando ritardi produttivi, sovraccarico per altri colleghi o mancati servizi ai clienti.
Il ruolo del contratto collettivo
Il contratto collettivo nazionale di lavoro (CCNL) applicato all’azienda svolge un ruolo centrale. Non esiste un unico “periodo di comporto” valido per tutti: esso varia in base al settore (industria, commercio, credito, ecc.) e all’anzianità del dipendente. Alcuni CCNL prevedono anche comporti allungati per patologie gravi o per lavoratori con disabilità. Licenziare senza rispettare i termini del CCNL equivale a una violazione contrattuale grave, con conseguenze legali immediate.
Equilibrio tra esigenze aziendali e tutela del lavoratore
Il licenziamento per assenze non è uno strumento “automatico”, neppure dopo il superamento del comporto. La giurisprudenza richiede al datore di lavoro un esercizio equilibrato del potere di recesso, fondato su elementi oggettivi e non su meri automatismi o pregiudizi. Dall’altro lato, il lavoratore ha il dovere di non abusare del proprio diritto alla malattia. Ma quando la malattia è reale e documentata, la legge – e la Cassazione – lo proteggono con fermezza. Come sempre, in diritto del lavoro, la sostanza prevale sulla forma: non basta seguire una procedura, occorre agire con giustizia, proporzionalità e rispetto del principio di buona fede.

