la Cassazione tutela chi assiste un coniuge disabile
Immagina di lavorare da vent’anni con lo stesso orario, organizzando la tua vita attorno a esso, soprattutto perché devi assistere ogni giorno tua moglie, gravemente disabile. Poi, all’improvviso, l’azienda ti propone un cambio di turno: niente più orario fisso, ma un doppio turno con turnazioni settimanali sempre diverse. Tu chiedi di poter continuare con il tuo vecchio orario – l’unico che ti permette di accompagnare tua moglie alle visite mediche e di assisterla – e ti offri persino di svolgere mansioni inferiori, purché l’orario resti lo stesso. L’azienda rifiuta e ti licenzia per “giustificato motivo oggettivo”. È legittimo?
Secondo la Cassazione Civile, Sez. Lav., 03 luglio 2025, n. 18063, no. Il licenziamento in questi casi è illegittimo, perché il datore di lavoro non ha rispettato due obblighi fondamentali: l’obbligo di repêchage e la valutazione del rischio di discriminazione nei confronti di un lavoratore caregiver.
Cos’è successo?
Il lavoratore, titolare dei benefici della legge 104/1992 per assistere la moglie invalida all’80%, era impiegato da oltre vent’anni con un orario “a ciclo continuo” – con turni programmati in anticipo e due giorni di riposo ogni tre. Quando il suo posto è stato soppresso, l’azienda gli ha proposto di passare a un nuovo orario su “doppio turno”, con turnazioni variabili (mattina, pomeriggio, notte). Il lavoratore ha rifiutato, non per capriccio, ma perché quel nuovo orario gli avrebbe impedito di garantire l’assistenza necessaria alla moglie, soprattutto per le visite mediche, concentrate in orari diurni.
Ha chiesto, in sede di conciliazione, di essere ricollocato in qualsiasi mansione, anche inferiore, purché con il vecchio orario. Ma l’azienda non ha neanche preso in considerazione questa possibilità, pur avendo assunto nuovi dipendenti proprio con quell’orario dopo il suo licenziamento.
Cosa dice la Cassazione?
La Cassazione Civile, Sez. Lav., 03 luglio 2025, n. 18063 ha accolto il ricorso del lavoratore, annullando la sentenza della Corte d’appello di Bologna che aveva ritenuto legittimo il licenziamento. Perché?
Innanzitutto, perché il datore di lavoro non ha esplorato tutte le possibilità di ricollocazione. L’obbligo di repêchage – cioè di cercare un’alternativa al licenziamento – non è una formalità: è un dovere di buona fede e correttezza, ancor più stringente quando il lavoratore è un caregiver. E in questo caso, esistevano posti vacanti con l’orario richiesto, come dimostrano le assunzioni successive di altri dipendenti con lo stesso regime orario.
Inoltre, la Corte ha rilevato che la Corte d’appello non ha mai valutato la domanda alternativa di licenziamento discriminatorio. Il lavoratore aveva chiesto di accertare se il licenziamento fosse illegittimo anche per violazione dei principi antidiscriminatori (Direttiva 2000/78/CE e art. 33 della legge 104/92), ma il giudice di secondo grado ha ignorato questa richiesta, ritenendo necessario un appello incidentale – cosa che invece non era richiesta, visto che la domanda era stata riproposta regolarmente.
Perché è importante questa sentenza?
Perché ribadisce un principio fondamentale: non basta dire “è una scelta organizzativa” per giustificare un licenziamento. Se il lavoratore ha esigenze particolari – come quelle legate all’assistenza di un familiare disabile – il datore deve bilanciare i propri interessi con i diritti del lavoratore, cercando soluzioni concrete e non limitandosi a imporre un cambiamento che rende impossibile la cura del coniuge.
La Cassazione Civile, Sez. Lav., 03 luglio 2025, n. 18063 chiarisce che il rifiuto di un nuovo orario non è un atto di insubordinazione, ma una legittima difesa del proprio ruolo di caregiver, soprattutto quando esistono alternative praticabili in azienda. E se il datore non le considera, il licenziamento diventa illegittimo.
Conclusioni
Questa sentenza è un importante passo avanti nella tutela dei lavoratori caregiver. Non si tratta di privilegi, ma di riconoscere che il lavoro non può ignorare la vita reale delle persone. Quando un datore di lavoro licenzia senza aver verificato se fosse possibile ricollocare il dipendente in un orario compatibile con le sue responsabilità familiari – soprattutto se gravate da disabilità – commette un illecito.
E la Cassazione Civile, Sez. Lav., 03 luglio 2025, n. 18063 lo ha detto con chiarezza: il repêchage deve essere reale, non formale, e il giudice deve sempre valutare se il licenziamento nasconda una forma di discriminazione indiretta nei confronti di chi si prende cura di un familiare disabile.

