La domanda che ci dobbiamo rivolgere e se l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni e le malattie professionali, attribuita all’Inail, indennizzi tutti i danni subiti dal lavoratore, a causa di infortunio o malattia professionale, cioè se esistano delle voci di danno subite dal lavoratore, escluse dalla predetta tutela assicurativa.
In sintesi, occorre chiedersi se sussiste una responsabilità civile del datore di lavoro, nonostante il medesimo sia assicurato presso l’inali a tutela degli infortuni e delle malattie professionali in danno dei propri dipendenti.
Per rispondere a questa domanda è opportuno partire dalle fonti normative dell’assicurazione obbligatoria, costituite dal decreto del presidente della Repubblica 1124 del 1965 e dal decreto legislativo 38 del 2000, il quale disciplina gli infortuni e le malattie professionali denunciate a partire dal 25 luglio del 2000.
Il predetto decreto legislativo ha avuto una portata innovativa nella disciplina dell’indennizzo degli infortuni e delle malattie professionali, introducendo la figura del danno biologico, cioè del danno non patrimoniale.
Il testo unico 1124 del 1965, nella originaria formulazione, indennizzava unicamente il danno patrimoniale, determinato in relazione alle retribuzioni percepite dal dipendente e quindi collegato alla capacità lavorativa del medesimo, prevedendo la costituzione di una rendita per inabilità permanente e la liquidazione della inabilità temporanea assoluta o parziale, oltre una diversa misura della franchigia assicurativa.
Il decreto legislativo 38 del 2000 indennizza al contrario il danno biologico, avente natura non patrimoniale, fatta eccezione per le malattie professionali e gli infortuni indennizzabili in misura superiore al 16% per i quali è prevista la liquidazione di una rendita aggiuntiva per inabilità permanente, rapportata alle retribuzioni percepite dal lavoratore, quindi avente ad oggetto la liquidazione di un danno patrimoniale, in relazione alla capacità lavorativa dello assicurato.
Le due figure giuridiche oggetto della tutela assicurativa sono: gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, istituti che presentano requisiti costitutivi e normativi differenti.
L’infortunio sul lavoro è caratterizzato da tre elementi.
A) il primo è la causa violenta caratterizzata dalla esteriorità, dalla rapidità e dalla concentrazione. Tradizionalmente si esemplifica il concetto di causa violenta in: cause da energia elettrica, cause da energia meccanica e cause da energia termica , nonché cause da sostanze tossiche di natura microbiotica o virale e cause di natura psichica.
La giurisprudenza di legittimità nell’evento infarto, ha ammesso che il carattere violento della causa va individuato nella natura stessa dello stesso dove si ha una rottura dell’equilibrio dell’organismo del lavoratore concentrata in una minima frazione temporale ,sulla base di tale premessa ha ritenuto indennizzabile l’infarto intervenuto presso il domicilio del lavoratore, poco dopo la conclusione dell’attività lavorativa, in quanto ricollegabile alle prestazioni intense e stressanti compiute per alcuni giorni dal lavoratore, pure in un quadro di predisposizione patologica e di abitudini lavorative e di vita, allo stesso modo la giurisprudenza ha ricondotto l’infarto alle situazioni tipiche e abituali del lavoro ammettendo che possa essere provocato anche da cause psichiche ed emotive
B) Il secondo elemento è l’occasione di lavoro che può essere definito come il rischio della attività lavorativa non estraneo ad essa e comunque a lei connesso o collegato.
Il dolo del lavoratore assicurato nella causazione dell’infortunio ne esclude la indennizzabilità, infatti l’articolo 11 del testo unico, concede la facoltà all’istituto assicuratore di esercitare un’azione di regresso contro l’infortunato ove il dolo sia stato accertato con sentenza penale.
L’articolo 65 del testo unico esclude il diritto a qualsiasi prestazione nel caso in cui l’assicurato abbia simulato un infortunio sul lavoro o abbia dolosamente aggravato le conseguenze di esso.
Il comportamento doloso dell’assicurato può integrare i reati di truffa e frode assicurativa richiede ai fini della sua configurabilità il dolo specifico, caratterizzato dalla volontà di conseguire un fine particolare, costituito dalla simulazione dall’infortunio o dell’aggravamento doloso degli esiti del medesimo o di una malattia professionale.
Diversamente la colpa del lavoratore consistente nell’effettuare l’operazione lavorativa con imprudenza negligenza o imperizia, non incide sulla tutela antinfortunistica nel senso di escluderla.
Questa affermazione perentoria della giurisprudenza di legittimità va sempre verificata in relazione alle fattispecie concrete e va contemperata con l’opposta affermazione secondo cui il comportamento del lavoratore interrompe il nesso causale quando è caratterizzato da esorbitanza atipicità ed eccezionalità rispetto al procedimento lavorativo, così da porsi come causa esclusiva dell’evento; ci troviamo di fronte ad una fattispecie assimilabile al rischio elettivo la cui linea di demarcazione con la colpa esclusiva è molto sottile
C) Un elemento importante nella definizione dell’infortunio sul lavoro è il nesso causale tra l’attività lavorativa svolta e l’evento subito in danno del lavoratore, il quale è tradizionalmente ricondotto a una nozione di equivalenza causale, di cui all’articolo 41c.p.,che trova anche applicazione in materia di malattie professionali, laddove nella di determinazione dei due eventi entrano in gioco anche altri fattori estranei non connessi con il lavoro.(Multifattoriali)
La giurisprudenza è granitica nell’affermare che la concausa è causa per intero dell’evento anche se sono presenti altre concause
In altre parole, a fronte di una malattia professionale derivata da una causa, sia lavorativa che extra lavorativa, aventi entrambe natura e efficiente causale, trova applicazione il principio di cui all’articolo 41 codice penale, in tema di equivalenza causale, in base al quale il concorso di cause preesistenti simultanee o sopravvenute non esclude il rapporto di causalità tra l’azione o l’omissione e l’evento.
A tal proposito si può citare la sentenza della Suprema Corte di Cassazione numero 675/23 ,avente ad oggetto l’accoglimento di un ricorso dei familiari di un operaio deceduto per un tumore determinato da cause lavorative ed extralavorative(tabagismo).
Ambedue gli eventi tutelati dalla assicurazione obbligatoria sono esclusi nella ipotesi di rischio generico cioè di rischio che riguarda tutti i cittadini, e non esclusivamente quella parte esercente un’attività lavorativa, che rende il rischio generico un rischio generico aggravato. Tipico esempio è l’infortunio in itinere, ove il rischio generico derivante dalla circolazione stradale è aggravato dall’utilizzo del mezzo da parte del lavoratore per recarsi sul posto di lavoro o per tornare presso la propria abitazione.
A proposito dell’infortunio in itinere questo comprende l’infortunio occorso al lavoratore durante il percorso di andata e ritorno dall’abitazione, a condizione che l’itinerario non sia percorso per ragioni personali, l’itinerario può collegare anche due luoghi di lavoro diversi , l’itinerario di andata e ritorno può collegare il luogo di lavoro a quello di consumazione abituale dei pasti se non esiste mensa, le deviazioni del normale tragitto sono consentite esclusivamente se effettuate su ordine del datore, la causa di forza maggiore, consistente ad esempio nella rottura del mezzo di trasporto.
L’utilizzo di mezzi di trasporto privati è consentito in mancanza di mezzi pubblici di trasporto o se disagevoli o gravosi per le esigenze familiari.
L’infortunio accaduto nelle pertinenze del luogo di lavoro non è un infortunio in itinere ma è un semplice infortunio, mentre nell’ipotesi di trasferte è esclusa l’indennizzabilità se l’evento non è collegato all’attività lavorativa.
Ulteriore ipotesi di esclusione della indennizzabilità e la sussistenza di un rischio elettivo cioè frutto di una scelta unilaterale da parte del lavoratore.
Il rischio elettivo è qualificato come una deviazione arbitraria dalle normali modalità lavorative per finalità personali che comporta rischi diversi da quelli inerenti alle normali modalità di esecuzione della prestazione e tale da interrompere qualsiasi connessione con l’occasione di lavoro.
Ai fini della sua configurabilità vi deve essere un atto volontario e arbitrario illogico ed estraneo alle finalità produttive, diretto a soddisfare esigenze meramente personali che affronti un rischio diverso da quello a cui sarebbe assoggettato, sicché l’evento che si produce non ha alcun nesso di derivazione con lo svolgimento dell’attività lavorativa.
Fattispecie esemplificativa è quella del lavoratore che per mera curiosità entri in una cabina elettrica il cui accesso sia palesemente inibito agli inesperti
È indennizzabile al contrario come infortunio in itinere l’evento accaduto nel tragitto di andata e ritorno dall’albergo al luogo di lavoro come quello avvenuto all’interno della stanza dell’albergo
Il legislatore ha attribuito agli infortuni in itinere la qualificazione di oneri indiretti, anziché diretti come per tutti gli infortuni ,e quindi i costi di tali infortuni non vanno a gravare sul bilancio infortunistico del datore di lavoro
Ulteriore fattispecie è l’infortunio in agricoltura ove l’indennizzo è limitato alle attività fisiche di carattere manuale e esecutivo, per l’esercizio dell’impresa agricola, comprese le attività di vendita e distribuzione di prodotti e la attività di trasformazione dei medesimi, ma non quelle meramente gestionali della impresa agricola.
Ulteriore evento indennizzabile è dato dallo stress da lavoro correlato, che si configura quando il datore di lavoro viola l’articolo 2087 c.c., non astenendosi da attività pregiudizievoli per il diritto alla salute del lavoratore, come i ritmi lavorativi pressanti o gli orari di lavoro eccessivi.
Il datore è tenuto a valutare e gestire i rischi per la sicurezza e la salute del lavoratore che hanno determinato un stress da lavoro correlato, il quale è una situazione di tensione prolungata, causata dalle modalità di lavoro, in particolare dalla inadeguatezza della organizzazione aziendale. Lo stress da lavoro correlato è determinato anche dalle richieste di prestazioni lavorative non commisurate alle capacità e alle risorse del lavoratore.
D) Figura giuridica distinta dall’infortunio è la malattia professionale, la quale è costituita da una patologia la cui causa agisce gradualmente e progressivamente sull’organismo del lavoratore, contratta a causa dell’attività lavorativa.
Si distingue dall’infortunio evidentemente perché la causa che la determina non è una causa violenta rapida e concentrata, con le modalità descritte, ma agisce gradualmente e progressivamente sull’organismo del lavoratore.
Molto importante è sottolineare che le malattie professionali si distinguono in due grandi categorie:
1) malattie professionali tabellate cioè specificatamente indicate e previste dall’Inail a causa di una determinata attività lavorativa
2) malattie non tabellate.
La differenza è fondamentale in quanto, mentre per le malattie professionali tabellate il nesso causale tra la attività lavorativa svolta e la malattia è presunto, essendo previsto dalla legge e quindi non necessita di prova specifica in corso di causa, essendo sufficiente per il lavoratore dimostrare l’attività svolta e la sussistenza della malattia, nell’ipotesi di malattia non tabellata il lavoratore ha un onere probatorio gravoso in quanto dovrà dimostrare anche il nesso di causalità tra l’attività lavorativa e la malattia professionale.
Interessante è sottolineare che sia la malattia professionale sia l’infortunio non vengono computati nel periodo di comporto ove vengono calcolate le sole malattie extraprofessionali
Il lavoratore infortunato o assente per malattia professionale non deve rispettare le fasce di reperibilità, tranne nella ipotesi in cui vi sia una previsione espressa da parte del contratto collettivo, la cui violazione comporterebbe però esclusivamente un eventuale illecito disciplinare , ma non la decadenza dal trattamento economico come avviene per le malattie extraprofessionali.
Altro tema rilevante è il principio della automaticità delle prestazioni Inail , limitato ai lavoratori dipendenti ed escluso per gli autonomi.
Ciò perché il lavoratore subordinato rimane escluso dal rapporto intercorrente tra il datore di lavoro e l’istituto assicuratore, mentre i lavoratori autonomi sono essi stessi obbligati al pagamento dei premi assicurativi, la cui omissione incide sulla mancata erogazione della prestazione. Al contrario il lavoratore subordinato avrà diritto a detta prestazione anche in assenza del pagamento dei premi o nell’ipotesi di pagamento insufficiente dei medesimi da parte del datore.
Il principio di automatismo opera anche quando il dato di lavoro abbia omesso addirittura di denunciare il rapporto di lavoro da cui sorge il rapporto previdenziale ne consegue la irrilevanza di qualsiasi aspetto contrattuale non solo in termini di validità ma anche di esistenza, perché l’obbligo di erogare le prestazioni sorge dalla sussistenza delle circostanze di fatto assunte dalla legge come presupposto della tutela.
Tuttavia, ciò non significa che il lavoratore autonomo infortunato o affetto da malattia professionale non possa ottenere gli indennizzi spettanti. Infatti, ciò che si verifica è una sospensione delle prestazioni: in sostanza, nel momento in cui il lavoratore autonomo provvederà a sanare la situazione (versando i premi arretrati), avrà diritto a percepire dall’Inail tutti gli indennizzi spettanti (indennità per inabilità temporanea assoluta, indennizzo del danno biologico in capitale o in rendita).
Tale sospensione riguarda soltanto le prestazioni di natura economica, mentre le prestazioni sanitarie, le terapie, la fornitura di protesi e ausili vengono comunque erogate dall’Inail.
Allo stesso modo, anche in caso di irregolarità nel versamento dei premi da parte del lavoratore autonomo, sono comunque garantite le prestazioni economiche agli eredi aventi diritto (rendita ai superstiti, assegno funerario) in caso di decesso dell’assicurato a causa di infortunio o malattia professionale.
Infine, ricordiamo che il termine per poter regolarizzare la situazione e recuperare gli indennizzi economici spettanti risulta essere di tre anni dalla data dell’infortunio o di denuncia della malattia professionale.
Tornando al danno biologico, il sistema di liquidazione dell’indennizzo da parte dell’Inail, di cui all’articolo 13 del decreto legislativo 38 del 2000 ,prevede un indennizzo del danno biologico in forma capitale nelle ipotesi di infortunio o malattia professionale indennizzabile dal sei al 16% o la costituzione di una rendita se il danno è indennizzabile in misura superiore al 16% nel qual caso ,come detto, viene aggiunta una rendita determinata in relazione alla capacità lavorativa dell’’assicurato, quindi calcolata in relazione alle retribuzioni qualificabile come danno patrimoniale. Sussiste una franchigia per gli infortuni e le malattie professionali indennizzabili in misura inferiore al 6%.
L’importo erogato non è soggetto a tassazioni Irpef.
La malattia professionale può essere soggetta a revisione entro 15 anni, mentre l’infortunio può essere soggetta a revisione entro 10 anni.
La misura della rendita può essere riveduta su domanda del titolare della medesima o per disposizione dell’istituto assicuratore in caso di diminuzione o di aumento dell’attitudine al lavoro ed in genere in seguito a modificazioni nelle condizioni fisiche del titolare della rendita purché quando si tratti di peggioramento questo sia derivato dall’infortunio che ha dato luogo alla liquidazione della rendita, al contrario il miglioramento può derivare da qualsiasi causa anche extra lavorativa.
Fattispecie esemplificative sono la richiesta di revisione in senso accrescitivo della rendita ottenuta per la lesione ad un occhio non consentita per l’infermità sopravvenuta all’altro occhio, non dipendente né direttamente né indirettamente dall’infortunio subito.
Non è possibile la revisione della rendita liquidata in capitale ai sensi dell’articolo 75 del testo unico 1124/65.
La revisione della rendita può essere richiesta o dall’assicurato o dall’Istituto assicurativo il datore di lavoro al contrario non è compreso tra i soggetti legittimati a chiedere la revisione, la domanda di revisione presentata dall’assicurato deve essere corredata da un certificato medico attestante non solo l’aggravamento ma anche la nuova misura di riduzione dell’attitudine al lavoro.
L’istituto Assicuratore è tenuto alla revisione della rendita quale esercizio del suo potere dovere di far corrispondere la misura della rendita al grado di invalidità non vi è pertanto un divieto di reformatio in peius .
L’esito del procedimento di revisione dipende dall’obiettivo accertamento di una diminuzione o un aumento dell’attitudine al lavoro o di una modificazione un in peggio o in meglio delle condizioni fisiche del titolare della rendita e può così comportare un aumento o una riduzione di quest’ultima a prescindere dal soggetto che ha preso l’iniziativa del procedimento.
Nell’ipotesi di revisioni attiva, cioè su iniziativa dell’Inail, l’assicurato può chiedere l’aumento della rendita da aggravamento senza necessità di una sua autonoma domanda di revisione passiva.
I termini entro uguali possono essere richiesti o disposti la revisione, come detto, sono differenziati e la giustificazione di ciò risiede nelle indicazioni della scienza medico legale sulla diversa misura temporale richiesta per la stabilizzazione dei postumi negli infortuni e nelle malattie professionali.
Come detto nell’ipotesi di infortuni il termine è di 10 anni, in tale arco temporale bisogna distinguere due periodi: nei primi quattro anni dalla data di costituzione della rendita la prima revisione può essere richiesta o disposta solo dopo trascorso un anno dalla data dell’infortunio e almeno sei mesi da quello della costituzione della rendita o dalla data di guarigione clinica ,ciascuna delle successive revisioni non può essere richiesta o disposta a distanza inferiore di un anno dalla precedente, nei successivi sei anni la revisione però può essere richiesta o disposta solo due volte la prima alla fine di un triennio e la seconda alla fine del successivo triennio.
Per le malattie professionali il termine è di 15 anni, in base al rilievo medico legale che in caso di tecnopatia il consolidamento dei postumi avviene in un arco temporale più lungo rispetto all’infortunio, la prima revisione può essere richiesta o disposta dopo sei mesi dalla data di cessazione del periodo di inabilità temporanea o dopo che sia trascorso un anno dalla data di manifestazione della malattia professionale, ciascuna delle successive revisioni non può essere richiesta o disposta a distanza inferiore ad un anno dalla precedente mentre l’ultima può aversi soltanto per modificazioni avvenute entro il termine di 15 anni dalla costituzione della rendita.
Sono escluse da tali limiti di tempo le malattie neoplastiche la silicosi e la asbestosi.
I termini non sono né di prescrizione né di decadenza ma servono semplicemente a delimitare l’ambito temporale di rilevanza dell’aggravamento o del miglioramento delle condizioni dello assicurato che fa sorgere il diritto alla revisione, la loro osservanza quindi può essere accertata dal giudice di merito indipendentemente da qualsiasi eccezione di parte.
Sia il termine decennale sia quello quindicennale decorrono dalla data di costituzione della rendita, tale momento coincide con quello in cui la inabilità permanente di origine professionale raggiunge la minima misura indennizzabile che costituisce la data di maturazione del diritto alla prestazione, dalla quale decorre la prestazione anche se il provvedimento amministrativo o giudiziario che la riconosce sia successivo.
Il datore di lavoro ha l’obbligo di denunciare l’infortunio o la malattia professionale, la cui omissione è punita con una sanzione amministrativa
Venendo al contenzioso giudiziario l’azione giudiziaria deve essere preceduta dal ricorso amministrativo contro il provvedimento di rigetto della denuncia e il relativo procedimento amministrativo si deve esaurire entro 150 giorni.
In merito alla prescrizione dell’azione per conseguire le prestazioni previdenziali vi è stata una lunga discussione in giurisprudenza e si è giunti alla conclusione che la prescrizione comincia a decorrere dal giorno dell’infortunio o da quello della manifestazione della malattia professionale, se essa coincide con la denuncia all’Inail. Il termine decorre anteriormente nell’ipotesi in cui il lavoratore ha avuto la conoscenza di essere affetto da una malattia di origine professionale, antecedentemente alla presentazione della denuncia.
Fattispecie esemplificativa è rappresentata dalla presentazione di una domanda di causa di servizio che è stata riconosciuta presso l’ente ove il lavoro presta la propria attività che successivamente abbia presentato una domanda di malattia professionale, per identiche patologie, oltre i tre anni dalla domanda di causa di servizio.
Il difetto di ricorso amministrativo rende il ricorso giudiziario improcedibile e non inammissibile e quindi il giudice concederà un termine per la riassunzione del medesimo.
La giurisprudenza ha affermato che non sono proponibili però azioni autonome di mero accertamento dei fatti pur giuridicamente rilevanti , ai fini della configurabilità di un infortunio o di una malattia professionale non indennizzabile perché inferiore al 6%, Ciò perché i fatti possono essere accertati dal giudice solo come fondamento del diritto fatto valere nel giudizio e non di per sé ,per gli effetti possibili e futuri.
Il legislatore ha previsto due azioni a tutela degli interessi pubblici dell’Inail nell’ipotesi in cui emergano delle responsabilità a carico del datore di lavoro o di terzi:
A) la azioni di regresso che ha la finalità di recuperare le somme erogate dall’Inail al lavoratore, nell’ipotesi di accertata responsabilità penale del datore per un reato procedibile d’ ufficio.
A tal proposito, e poi ci torneremo successivamente parlando di danno differenziale, la Corte di Cassazione ha ritenuto esperibile l’ azione di regresso non solo nell’ipotesi di accertata responsabilità penale del datore di lavoro, con sentenza passata in giudicato, ma anche nell’ipotesi in cui risulti sussistere la violazione dell’articolo 2087 del codice civile , intesa come norma di cautela di carattere generale che è idonea a concretare una responsabilità di carattere penale, seppur astrattamente accertabile dal giudice civile, È evidente che in tali ipotesi non opera l’esonero dalla responsabilità civile del datore di lavoro nei confronti del lavoratore derivante dall’assicurazione obbligatoria Inail.
B) Analogamente il legislatore ha previsto anche un’azione di surroga che è esperibile se sono rilevate delle responsabilità civili in capo a terzi, estranei al rapporto assicurativo.
Tipico esempio è il sinistro stradale ove se il lavoratore ha percepito un indennizzo dall’Inail configurandosi un infortunio in itinere, l’Inail si surrogherà nei diritti de lavoratore nei confronti della compagnia assicurativa del veicolo, per un ammontare pari all’indennizzo corrisposto a quest’ultimo.
Di notevole interesse è il conoscimento del mobbing e dello straining come malattie professionali non tabellate da parte dell’Inail, se hanno determinato un danno biologico al lavoratore, il quale in tale ipotesi e potrà agire nei confronti del datore soltanto per richiedere il danno differenziale e il danno complementare.
A tal proposito va sottolineato che ormai la giurisprudenza valuta le fattispecie del mobbing e dello straining come nozioni non giuridiche ma appartenenti alla medicina legale e alla sociologia, ritenendo di poter configurare una responsabilità contrattuale del datore di lavoro facendo esclusivo riferimento all’articolo 2087 cc, che impone al medesimo di adottare tutte le misure necessarie a tutelare la integrità psicofisica del lavoratore.
Non va dimenticato che l’Inail eroga anche delle prestazioni diverse dall’indennizzo per infortuni e malattia professionale e cioè: un assegno mensile per l’assistenza continua , nei casi di inabilità permanente assoluta , una rendita una tantum per i superstiti nelle ipotesi di morte del lavoratore nell’immediatezza dell’infortunio, le prime cure ambulatoriali, le prestazioni medico legali, gli apparecchi di protesi, le prestazioni di riabilitazione e le cure termali e climatiche.
Tornando all’articolo 13 del decreto legislativo 38 del giugno 2000 l’Inail non indennizza infortuni e malattie professionali con una menomazione di grado inferiore al 6%, indennizza a titolo di danno biologico non patrimoniale le menomazioni di grado compreso tra il sei e il 16% e poi costituisce una rendita a titolo sia di danno biologico che di danno patrimoniale nella ipotesi di menomazioni di grado superiore al 16%.
Rimangono escluse dalla tutela assicurativa Inail:
il danno non patrimoniale quindi morale, il danno biologico temporaneo e anche permanente il danno patrimoniale nel caso di menomazioni di grado inferiore al sei,
il danno biologico temporaneo il danno morale il danno patrimoniale nel caso di menomazioni tra il sei e il 16
il danno biologico temporaneo il danno morale in caso di menomazioni di grado superiore al 16%,
tutte queste voci vengono qualificate come danno complementare e il datore di lavoro dovrà quindi risarcire il danno subito dal lavoratore che non sarà indennizzato dall’Inail.
A fianco di questo danno sussiste un’ulteriore voce di danno definito come danno differenziale.
Per comprendere il concetto giuridico di danno differenziale si può fare riferimento ad una sentenza che ha il dono della chiarezza la 33639/22 ,relatore dottor Amendola, la quale preliminarmente ,come abbiamo già detto, configura la responsabilità civile del datore attraverso una lettura costituzionalmente orientata dell’articolo 2087 cc, individua poi la nozione di danno differenziale e di danno complementare e i criteri di da utilizzare per la quantificazione del danno differenziale, materia che è stata oggetto di lunga discussione tra dottrina e giurisprudenza.
Il danno differenziale viene riconosciuto, ex articolo 10 dal testo unico 1124/ 65, quando l’infortunio o la malattia professionale integrano una fattispecie di reato perseguibile idi ufficio ed è costituito da quel danno eccedente le indennità liquidate dall’Inail.
In particolare il giudice civile dovrà valutare il complessivo danno subito dal lavoratore secondo i criteri civilistici, e quindi anche con le indispensabili personalizzazioni, e detrarre dal danno civilistico quanto indennizzato dall’INAIL in base ai parametri legali, tutto ciò in relazione alle medesime componenti del danno ,distinguendo tra danno patrimoniale e danno non patrimoniale e a quest’ultimo accertamento si procederà anche se non è specificata la superiorità del danno civilistico nei confronti dell’indennizzo Inail e anche se l’istituto non abbia ancora provveduto all’indirizzo all’indennizzo medesimo
La Suprema Corte di Cassazione, con la citata sentenza, afferma che la richiesta di risarcimento del danno differenziale può fondarsi non solo su circostanze che integrano un reato perseguibile di ufficio ma anche quando integrano la violazione dell’articolo 2087 cc che è una norma di cautela di carattere generale ,idonea a concretare astrattamente una responsabilità penale del datore di lavoro.
I giudici di legittimità hanno anche precisato che il danno differenziale è un minus rispetto al danno integrale sofferto dal lavoratore, ciò comporta che non possa essere rigettata una domanda giudiziale in cui si chieda l’intero danno perché chiaramente nel più, cioè nel danno integrale sofferto, e compreso il meno cioè il danno differenziale.
La Corte di Cassazione ha affermato inoltre che in realtà il risarcimento del danno non patrimoniale ha un carattere omnicomprensivo unitario e non frazionabile, con la conseguenza che la domanda risarcitoria si riferisce a tutte le voci di danno originate dalla condotta, anche se non elencate singolarmente.
Sul danno differenziale e sul danno complementare è interessante citare un’ordinanza che è stata emessa più recentemente dalla Suprema Corte di Cassazione ma che ricalca nel contenuto la precedente sentenza citata, che è la 27867/24.
In sintesi, rispondendo alla domanda iniziale va chiarito per le prestazioni erogate dall’Inail non esauriscono di per sé a priori il ristoro del danno patito dal lavoratore infortunato o affetto da malattia professionale e quindi il lavoratore potrà richiedere il danno differenziale, sussistendone i presupposti, e il danno complementare, come detto ,escluso dalle assicurativa Inail.
L’ordinanza della Corte di Cassazione n. 275272/24 ,tornando sul tema degli infortuni e delle malattie professionali determinate da più cause, multifattoriali, ha stabilito un principio importante in tema di danno differenziale e cioè che ai fini della quantificazione del danno differenziale, per violazione dell’articolo 2087 cc ,nel caso di malattia professionale multifattoriale indennizzabile dall’Inail, in base al principio di equivalenza causale di cui all’art 41 c.p. , l’incidenza del concorso di colpa del danneggiato, intesa come comportamento oggettivamente in contrasto con una regola di condotta stabilita da norme o dalla comune prudenza, ha però un rilievo ai fini della quantificazione del danno differenziale.
Nel caso di specie la quantificazione del danno differenziale, conseguente a un tumore polmonare, è stata ridotta proporzionalmente dall’incidenza del fatto colposo, accertato da parte del dato di lavoro, costituito dal fumo attivo, che è un atto di volizione libero consapevole, autonomo, di un soggetto dotato di capacità di agire.
Concludendo nel caso di infortuni e di malattie si applica il principio di cui all’articolo 41 c.p. della equivalenza causale, ma se viene individuata una responsabilità da parte del lavoratore, cioè una condotta contraria alle regole di comune prudenza(tabagismo), può essere ridotta la misura del risarcimento del danno differenziale.