Con sentenza n. 11731 del 2 maggio 2024, la sezione lavoro della Corte di Cassazione ha affermato che l’istituto del comporto va ricondotto a quel “punto di equilibrio fra l’interesse del lavoratore a disporre d’un congruo periodo di assenze per ristabilirsi a seguito di malattia o infortunio e quello del datore di lavoro di non doversi fare carico a tempo indefinito del contraccolpo che tali assenze cagionano all’organizzazione aziendale” astrattamente predeterminato nell’art. 2110, comma 2, c.c. (Cass. civ., sez. lav., 16 settembre 2022, n. 27334) e rientra nella più ampia categoria dei c.d. “accomodamenti ragionevoli”, gravanti il datore di lavoro dell’obbligo di previa verifica della possibilità di adattamenti organizzativi, appunto ragionevoli, nei luoghi di lavoro ai fini della legittimità del recesso, secondo una interpretazione conforme agli obiettivi della direttiva 2000/78/CE (Cass. civ., sez. lav., 9 marzo 2021, n. 6497).
È noto che, in tema di licenziamento, costituisca discriminazione indiretta l’applicazione dell’ordinario periodo di comporto al lavoratore disabile, perché la mancata considerazione dei rischi di maggiore morbilità dei lavoratori disabili, proprio in conseguenza della disabilità, converte il criterio, in apparenza neutro, del computo del periodo di comporto breve in una prassi discriminatoria nei confronti del particolare gruppo sociale protetto, siccome in posizione di particolare svantaggio (Cass. civ., sez. lav., 31 marzo 2023, n. 9095).
Al fine di garantire il rispetto del principio della parità di trattamento delle persone con disabilità, appare allora necessaria, a norma dell’art. 3, comma 3-bis D.L.vo 216/2003, l’adozione, da parte dei datori di lavoro pubblici e privati, di ogni ragionevole accomodamento organizzativo che, senza comportare oneri finanziari sproporzionati, sia idoneo a contemperare, in nome dei principi di solidarietà sociale, buona fede e correttezza, l’interesse del disabile al mantenimento di un lavoro confacente alla sua condizione psico-fisica con quello del datore a garantirsi una prestazione lavorativa utile all’impresa, anche attraverso una valutazione comparativa con le posizioni degli altri lavoratori; fermo il limite invalicabile del pregiudizio alle situazioni soggettive di questi ultimi aventi la consistenza di diritti soggettivi (Cass. civ., sez. lav., 9 marzo 2021, n. 6497, in tema di licenziamento per inidoneità fisica sopravvenuta del lavoratore).
D’altro canto, l’adozione di “accomodamenti ragionevoli” presuppone l’onere del lavoratore di allegare e provare la limitazione risultante dalle proprie menomazioni fisiche, mentali e psichiche durature e la traduzione di tale limitazione, in interazione con barriere di diversa natura, in un ostacolo alla propria partecipazione, piena ed effettiva, alla vita professionale su base di uguaglianza con gli altri lavoratori, posto che non ogni situazione di infermità fisica che renda il lavoratore inidoneo alle mansioni di assegnazione risulta ex se riconducibile alla nozione di disabilità di cui alla disposizione suddetta (Cass. civ., sez. lav., 28 ottobre 2019, n. 27502, pure in tema di licenziamento per inidoneità fisica sopravvenuta del lavoratore derivante da una condizione di handicap).
È bene in proposito chiarire che l’art. 40, D.L.vo 198/2006, nel fissare un principio applicabile sia nei casi di procedimento speciale antidiscriminatorio che di azione ordinaria promossi dal lavoratore ovvero dal consigliere di parità, non stabilisce un’inversione dell’onere probatorio, ma solo un’attenuazione del regime probatorio ordinario in favore del ricorrente, prevedendo a carico del datore di lavoro, in linea con quanto disposto dall’art. 19 della Direttiva CE n. 2006/54 (come interpretato da Corte di Giustizia Ue 21 luglio 2011, C-104/10), l’onere di fornire la prova dell’inesistenza della discriminazione, ma a condizione che il ricorrente abbia previamente fornito al giudice elementi di fatto, desunti anche da dati di carattere statistico, idonei a fondare, in termini precisi e concordanti, anche se non gravi, la presunzione dell’esistenza di atti, patti o comportamenti discriminatori in ragione del sesso (Cass. civ., sez. lav., 12 ottobre 2018, n. 25543).
Esso introduce così un’agevolazione probatoria mediante lo strumento di una parziale inversione dell’onere: dovendo l’attore fornire elementi fattuali che, anche se privi delle caratteristiche di gravità, precisione e concordanza, devono rendere plausibile l’esistenza della discriminazione, pur lasciando comunque un margine di incertezza in ordine alla sussistenza dei fatti costitutivi della fattispecie discriminatoria; sicché, il rischio della permanenza dell’incertezza grava sul convenuto, tenuto a provare l’insussistenza della discriminazione una volta che siano state dimostrate le circostanze di fatto idonee a lasciarla desumere (Cass. civ., sez. lav., 28 marzo 2022, n. 9870, in riferimento all’art. 28, comma 4, D.L.vo 150/2011, quale disposizione speciale rispetto all’art. 2729 c.c., in tema di discriminazione indiretta nei confronti di persone con disabilità ai sensi della L. n. 67 del 2006).
I suenunciati principi di attenuazione dell’onere probatorio operano anche nell’ipotesi di discriminazione indiretta, realizzata mediante licenziamento per superamento dell’ordinario periodo di comporto nei confronti del lavoratore disabile (Cass. civ., sez. lav., 31 marzo 2023, n. 9095) e valgono anche in riferimento alla consapevolezza del datore di lavoro dell’“handicap di salute” del proprio dipendente, nel senso dell’onere del primo, una volta che sia edotto della condizione effettiva di handicap del secondo, di attivarsi per approfondire le ragioni delle assenze per malattia eventualmente dipendenti dall’handicap noto, così da superare quell’incertezza su di sé negativamente ridondante, in quanto tenuto a provare l’insussistenza della discriminazione, una volta dimostrate le circostanze di fatto idonee a lasciarla desumere (così dovendosi intendere le affermazioni, in merito all’irrilevanza dell’atteggiamento soggettivo dell’autore della discriminazione, in: Cass. civ., sez. lav., 31 marzo 2023, n. 9095).