VERBALE DELLA CAUSA
I. Parte ricorrente, già dipendente di agiva in giudizio , al fine di: «i) dichiarare il licenziamento, così come intimato discriminatorio, illegittimo, ritorsivo, inefficace e comunque nullo, con ogni conseguenza di legge; ii)per l’effetto ordinare alla società in persona del legale rappresentante pro tempore, con sede in di reintegrare il ricorrente nel posto precedentemente occupato e condannare la Società convenuta al pagamento di un’indennità, a titolo di risarcimento dei danni, nella misura massima prevista, commisurata alla retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione ed al versamento dei contributi assistenziali e previdenziali dal momento del licenziamento al momento dell’effettiva reintegrazione, oltre interessi e rivalutazione come per legge; condannare la in persona del legale rappresentante pro tempore, al risarcimento dei danni ulteriori subiti dal ricorrente per l’illegittimo licenziamento, da quantificarsi anche mediante C.T.U., ai sensi dell’art. 1226 c.c. e dell’art. 432 c.p.c.».
II. Sosteneva, infatti, il sig. che il recesso dovrebbe essere considerato illegittimo perché discriminatorio e ritorsivo; che, in ogni modo, mancherebbe la giusta causa posta a suo fondamento.
III. Si costituiva la società resistente contestando in via di fatto e diritto la domanda, rilevando preliminarmente la decadenza dalla impugnazione del recesso datoriale, in quanto l’impugnazione stragiudiziale sarebbe stata effettuata tempestivamente in data 4 aprile 2024, mentre il ricorso giudiziale sarebbe stato depositato oltre i 180 giorni previsti dall’art. 6, co. 2 L. 604/1966, a nulla rilevando la richiesta di negoziazione assistita. Contesta, in ogni modo, le doglianze nel merito del ricorrente, per quanto concerne il recesso datoriale.
1. Preliminarmente, è fondata l’eccezione di decadenza dall’impugnazione giudiziale del recesso datoriale, così come avanzata da parte resistente. Infatti, il recesso datoriale è stato comunicato regolarmente al ricorrente e risulta in atti una impugnazione stragiudiziale del 4 aprile 2024 (cfr., doc. 6, fasc. ricorrente) e una richiesta di negoziazione assistita del 19 giugno 2024, non seguita da accettazione della controparte (cfr., doc. 7 e 8, fasc. ricorrente).
Il ricorso è stato iscritto in data 30 ottobre 2024, dunque oltre il termine di 180 giorni con riferimento alla impugnazione stragiudiziale.
Quindi, occorre verificare da quale data (cfr., Cassazione civile sez. lav. 07 ottobre 2015 n. 20068: «Il termine di decadenza di cui al secondo comma dell’art. 6 legge n. 604/66, come da ultimo modificato dall’art. 1, comma 38, legge n. 92/12, decorre dalla trasmissione dell’atto scritto di impugnazione del licenziamento di cui al primo comma e non dalla data di perfezionamento dell’impugnazione per effetto della sua ricezione da parte del datore di lavoro») decorrano i 180 giorni (trattandosi di licenziamento comminato successivamente all’entrata in vigore della L. 92/2012 che ha ridotto il precedente termine di 270 giorni) per instaurare il giudizio in maniera conforme al dettato dell’art. 6 L. 604/1966 («Il licenziamento deve essere impugnato a pena di decadenza entro sessanta giorni dalla ricezione della sua comunicazione in forma scritta, ovvero dalla comunicazione, anch’ essa in forma scritta, dei motivi, ove non contestuale, con qualsiasi atto scritto, anche extragiudiziale, idoneo a rendere nota la volontà del lavoratore anche attraverso l’intervento dell’organizzazione sindacale diretto ad impugnare il licenziamento stesso.
L’impugnazione è inefficace se non è seguita, entro il successivo termine di centottanta giorni, dal deposito del ricorso nella cancelleria del tribunale in funzione di giudice del lavoro o dalla comunicazione alla controparte della richiesta di tentativo di conciliazione o arbitrato, ferma restando la possibilità di produrre nuovi documenti formatisi dopo il deposito del ricorso. Qualora la conciliazione o l’arbitrato richiesti siano rifiutati o non sia raggiunto l’accordo necessario al relativo espletamento, il ricorso al giudice deve essere depositato a pena di decadenza entro sessanta giorni dal rifiuto o dal mancato accordo»).
Sul punto, secondo parte ricorrente, la richiesta di negoziazione assistita sarebbe idonea a rispettare il termine decadenziale, alla stessa stregua, si suppone, della richiesta di tentativo di conciliazione o arbitrato prevista dal comma 2 dell’art. 6 L. 604/1966, con applicazione dell’art. 8 del D.L. 132/2014, secondo il quale «Dal momento della comunicazione dell’invito a concludere una convenzione di negoziazione assistita ovvero della sottoscrizione della convenzione si producono sulla prescrizione gli effetti della domanda giudiziale. Dalla stessa data è impedita, per una sola volta, la decadenza, ma se l’invito è rifiutato o non è accettato nel termine di cui di all’articolo 4, comma 1, la domanda giudiziale deve essere proposta entro il medesimo termine di decadenza decorrente dal rifiuto, dalla mancata accettazione nel termine ovvero dalla dichiarazione di mancato accordo certificata dagli avvocati». In merito a questa ricostruzione, è opportuno ricordare che le norme in materia di decadenza sono a carattere eccezionale (cfr., Cassazione civile, sez. lav., 14/09/2023, n. 26532) e che le norme decadenziali in materia di impugnazione dei licenziamenti sono a loro volta, a carattere speciale.
Dunque, se non vi sono dubbi sulla possibilità di richiedere una convenzione di negoziazione assistita in materia lavoristica (cfr., art. 2 ter del D.L. 132/2014, introdotto dalla novella del 2022), è altrettanto vero che detta normativa generale non può far ritenere superata la disciplina speciale prevista, non per il rito lavoro, ma nello specifico per l’impugnazione dei licenziamenti, in difetto di una modifica espressa dell’art. 6 della L. 604/1966.
La soluzione si presenta ancor di più lineare, se solo si pensa che il successivo termine post richiesta di conciliazione arbitrato è indicato in 60 giorni, mentre per la negoziazione assistito vi è un recupero del termine originario.
Ne deriva che, ancora oggi, gli unici atti idonei a rispettare il termine decadenziale di 180 giorni decorrente dall’impugnazione stragiudiziale del recesso, risultano essere l’iscrizione del ricorso davanti al giudice del lavoro, ovvero lo specifico mezzo conciliativo indicato dalla normativa di settore.
Le spese di lite, al contrario, possono essere interamente compensate, sussistendone eccezionali motivi, alla luce del fatto che il giudizio si è arrestato su una questione preliminare, in relazione allo spirare di un termine di decadenza.
P.Q.M.
Ogni contraria istanza disattesa e respinta, definitivamente decidendo, visto l’art. 429 c.p.c., A) dichiara inammissibile il ricorso; B) compensa integralmente tra le parti le spese di lite.