Il rendiconto annuale arriva. Le cifre tornano. La cassa non è in rosso. Eppure, qualcosa non convince. Voci generiche come “manutenzione varie” o “spese tecniche”, fatture non allegate, entrate senza destinazione chiara. La matematica è in pari, ma la fiducia no. Ebbene: non serve che manchino soldi perché l’amministratore risponda delle sue scelte. Anche una gestione contabile “poco chiara” — sebbene priva di ammanchi evidenti — obbliga l’amministratore a risarcire il condominio. Lo ha ribadito con forza il Tribunale di Roma (sentenza n. 12772, sezione Quinta, del 18 settembre 2025), affermando un principio fondamentale: la trasparenza non è opzionale, è obbligatoria.
Gli obblighi di chi gestisce il denaro altrui
L’amministratore di condominio non è un semplice “impiegato” della palazzina. È un mandatario, disciplinato dall’articolo 1705 del Codice civile, cui viene affidata la gestione di denaro che non è suo. Per questo, la legge impone regole stringenti. In particolare, l’articolo 1130-bis del Codice civile stabilisce con precisione:
«Il rendiconto condominiale deve essere redatto in modo da consentire l’immediata verifica e ricostruzione delle voci di entrata e di uscita».
Non è richiesta solo correttezza aritmetica, ma chiarezza espositiva. Ogni euro speso deve essere tracciabile, ogni entrata deve essere giustificata, ogni operazione deve poter essere ricostruita anche da un condòmino privo di competenze contabili. Il rendiconto non è un documento per iniziati: è uno strumento di democrazia condominiale. Ciò significa che ogni spesa — fosse anche di pochi euro — deve essere supportata da adeguati giustificativi: fatture, ricevute, scontrini. Non basta scrivere “interventi di giardinaggio: 1.200 euro”. Occorre allegare il documento che attesti chi ha lavorato, cosa ha fatto, a quale prezzo. Senza questi elementi, la spesa è priva di legittimazione.
Cosa si intende per “mala gestio” contabile?
La giurisprudenza ha ormai chiarito che la mala gestio — la cattiva gestione — non coincide necessariamente con il furto o l’appropriazione indebita. Si configura ogni volta che la condotta dell’amministratore rende impossibile o eccessivamente difficoltoso il controllo da parte dei condòmini.
Sono esempi tipici di mala gestio:
- l’assenza di giustificativi per voci di spesa rilevanti;
- l’iscrizione a bilancio di “entrate fittizie” per mascherare una carenza di liquidità;
- l’utilizzo di fondi raccolti per una finalità specifica (es. pagamento dell’acqua) per scopi diversi, violando il vincolo di destinazione.
In tutti questi casi, non conta se la cassa alla fine “quadrava”. Conta se il denaro è stato speso in modo trasparente e conforme al mandato ricevuto dall’assemblea. Prendiamo un esempio concreto: un amministratore presenta un bilancio in pareggio, ma non allega le fatture per 3.500 euro di spese tra giardinaggio e manutenzione. Anche se non ha sottratto un centesimo, non è in grado di dimostrare come ha usato quei soldi. E questo alone di incertezza è sufficiente a farlo condannare al risarcimento.
L’onere della prova è suo. Sempre
Qui entra in gioco un principio processuale fondamentale. In caso di contestazione, non spetta al condominio dimostrare che l’amministratore ha rubato, ma all’amministratore dimostrare di aver speso correttamente. Come affermato dal Tribunale di Roma:
«L’assenza di un ammanco di cassa non è sufficiente a escludere la colpa. Se la contabilità è tenuta in modo disordinato, confuso e privo di documenti probatori, l’amministratore viene meno ai suoi obblighi».
Se non riesce a produrre i documenti che giustificano ogni movimento di cassa, le somme non reconstructibili vengono considerate indebitamente trattenute, e il giudice può condannarlo a restituirle integralmente. Ancora più severa la conseguenza se l’amministratore sceglie di non difendersi in giudizio: la sua contumacia viene interpretata come un’ammissione implicita di colpa, aggravando ulteriormente la sua posizione.
Chi paga la perizia? Lui. Ancora lui
Quando i sospetti si fanno troppo forti, l’assemblea può deliberare — a maggioranza — di nominare un revisore contabile (art. 1130-bis c.c.) per un’analisi indipendente. Questa operazione ha un costo, ma la legge assicura una tutela precisa: se la revisione conferma irregolarità, il costo della perizia è addebitato all’amministratore a titolo di risarcimento.
Il Tribunale di Roma, nella già citata sentenza n. 12772, ha condannato un ex amministratore non solo a restituire 7.600 euro per spese non giustificate, ma anche a rimborsare al condominio 1.300 euro spesi per la revisione stragiudiziale. La motivazione è netta:
«Tale spesa è considerata una conseguenza diretta e immediata della sua condotta negligente. Se avesse tenuto una contabilità chiara e ordinata, il condominio non avrebbe avuto la necessità di rivolgersi a un esperto».
Trasparenza come dovere, non come favore
Gestire un condominio non è un compito minore. Significa amministrare denaro altrui con responsabilità, onestà e — soprattutto — trasparenza assoluta. La legge non tollera ambiguità, perché dietro ogni voce contabile c’è la fiducia di decine di famiglie. E chi dimentica questo principio, rischia di pagare non solo con la reputazione, ma con il portafoglio. Perché in condominio, come nella vita, non basta non rubare: bisogna dimostrare, ogni giorno, di meritare la fiducia altrui.

