Con sentenza n. 181 del Ruolo Generale Affari Contenziosi del 2022, depositata il 23 ottobre 2025, la Corte d’Appello di Roma, Sezione Lavoro e Previdenza, ha affrontato una questione di rilevante interesse in materia di cessione di ramo d’azienda, pronunciandosi sul ricorso di un lavoratore escluso dalla lista di assunzione da parte della società subentrante. La decisione offre un’importante occasione per riflettere sui confini del diritto alla conservazione del posto di lavoro in contesti di trasferimento d’azienda, nonché sulla legittimità dei criteri selettivi stabiliti in sede collettiva.
Il caso trae origine da una procedura di cessione di ramo d’azienda disciplinata dall’articolo 47, comma 4-bis, della legge 29 dicembre 1990, n. 428, avviata da una società in amministrazione straordinaria. Nell’ambito di tale procedura, le parti sociali — cedente, cessionarie e rappresentanze sindacali — avevano sottoscritto un accordo collettivo volto a regolare il passaggio del personale. Tale accordo prevedeva che il personale da trasferire fosse individuato sulla base della “mansione prevalente svolta nel periodo intercorso dal 1° gennaio 2019 al 31 luglio 2019”, intesa come attività effettivamente svolta e riconducibile alle specifiche indennità indicate nei cedolini paga relativi a tale arco temporale.
Il lavoratore ricorrente, assunto a tempo indeterminato dal 2015 e precedentemente impiegato con contratto a termine sin dal 2012, aveva svolto in via esclusiva attività di trasporto su mezzi pesanti con qualifica di guardia particolare giurata, presso il cosiddetto “reparto Saratoga” di una sede operativa. Tuttavia, a causa di un infortunio occorso nel mese di ottobre 2018, seguito da un prolungato periodo di malattia, il lavoratore era rimasto assente dal servizio fino al 2 settembre 2019, non svolgendo pertanto alcuna prestazione lavorativa nel periodo di riferimento stabilito dall’accordo (gennaio–luglio 2019). Di conseguenza, non risultava in possesso del requisito oggettivo richiesto per l’inserimento nella lista dei soggetti da assumere da parte della società subentrante.
Il ricorrente lamentava di essere stato illegittimamente escluso dalla lista assunzionale, nonostante la sua anzianità di servizio, il possesso delle qualifiche professionali richieste (patenti D, E e CQC) e lo svolgimento continuativo della mansione di trasportatore sin dal 2012. Inoltre, contestava il mancato riconoscimento dell’indennità di trasporto (erroneamente qualificata come “indennità di trasferta”) e chiedeva il risarcimento del danno patrimoniale derivante dalla mancata assunzione.
La Corte d’Appello, con la sentenza n. 181/2022, ha confermato integralmente la sentenza di primo grado (Tribunale di Roma, n. 6984/2021 del 27 luglio 2021), escludendo che vi fosse stata una violazione del diritto del lavoro o un comportamento illecito da parte della cedente o della cessionaria. In primo luogo, ha chiarito che il mancato inserimento del lavoratore nella lista assunzionale non derivava da un’omissione materiale nella trasmissione degli elenchi, bensì dall’assenza del requisito sostanziale previsto dall’accordo collettivo: lo svolgimento effettivo della mansione specifica nel periodo di riferimento. Tale requisito, pur se stringente, non è stato ritenuto discriminatorio né illegittimo, essendo stato concordato in sede sindacale e applicato in modo oggettivo a tutti i lavoratori.
In secondo luogo, la Corte ha esaminato la questione relativa all’indennità di trasporto. Tale emolumento, previsto da un accordo aziendale del 2004, era riconosciuto esclusivamente agli operatori del “reparto Saratoga”, addetti al trasporto di “valori pesanti” (quali lingotti d’oro, argento e medicinali) mediante autotreni. L’indennità, erogata sotto la voce “trasferta forfettaria”, aveva la funzione di indennizzare le ore di non guida nell’arco della giornata lavorativa. Tuttavia, come espressamente previsto dall’accordo stesso, tale indennità cessava in caso di trasferimento del personale ad altra sede o ad altra mansione. Il lavoratore, infatti, era stato trasferito presso la sede di Roma e, nel periodo successivo al trasferimento, non aveva più svolto attività riconducibile al reparto Saratoga. Pertanto, non poteva pretendere né il pagamento dell’indennità né farne valere la mancata corresponsione come prova della mansione prevalente svolta nel periodo di riferimento.
Quanto alla domanda risarcitoria ex articolo 2043 del codice civile, la Corte ha ritenuto infondata la pretesa del lavoratore. La mancata assunzione non derivava da un illecito, ma dall’assenza del presupposto oggettivo stabilito in sede collettiva. Inoltre, le richieste retributive relative al periodo successivo alla dichiarazione di insolvenza della società (avvenuta nel 2017) erano inammissibili o comunque prive di fondamento, stante il prolungato stato di assenza per infortunio e malattia del lavoratore.
La sentenza n. 181/2022 offre un’importante conferma del principio secondo cui, in sede di cessione di ramo d’azienda, i criteri di selezione del personale da trasferire, se definiti in sede collettiva e non discriminatori, vincolano le parti e non possono essere superati sulla base di mere considerazioni di anzianità, di precedenti mansioni svolte al di fuori del periodo di riferimento o di pretese estensive di diritti soggettivi. L’accordo sindacale, infatti, costituisce fonte primaria di regolazione dei rapporti collettivi e individuali di lavoro in tali contesti, purché rispetti i principi di non discriminazione e di trasparenza.
In particolare, la Corte ha ribadito che non è possibile invocare una sorta di “fictio iuris” che consenta di considerare svolta un’attività lavorativa in un periodo in cui il lavoratore era assente per cause di forza maggiore (infortunio e malattia). L’assenza prolungata, pur non imputabile al lavoratore, comporta inevitabilmente la perdita dei requisiti temporali richiesti per l’accesso a determinate opportunità, qualora tali requisiti siano stati legittimamente previsti in sede collettiva.
La decisione si inserisce nel solco di un orientamento giurisprudenziale consolidato, secondo cui il diritto del lavoratore a essere trasferito in caso di cessione di ramo d’azienda non è assoluto, ma subordinato al possesso dei requisiti richiesti per lo svolgimento delle specifiche attività oggetto del trasferimento. Tale principio trova fondamento non solo nella contrattazione collettiva, ma anche nella stessa ratio dell’articolo 2112 del codice civile, il quale, pur tutelando la continuità del rapporto di lavoro, non impone l’obbligo di assunzione da parte del cessionario in assenza di un effettivo fabbisogno organizzativo o di requisiti professionali adeguati.
In conclusione, la sentenza n. 181/2022 della Corte d’Appello di Roma, depositata il 23 ottobre 2025, rappresenta un utile richiamo alla funzione regolatrice della contrattazione collettiva nei processi di riorganizzazione aziendale, nonché un’ulteriore conferma del bilanciamento tra la tutela del posto di lavoro e le esigenze organizzative delle imprese subentranti. Essa sottolinea, inoltre, l’importanza di un’interpretazione rigorosa dei criteri di selezione del personale, evitando estensioni analogiche o ricostruzioni fittizie che potrebbero compromettere la certezza del diritto e la parità di trattamento tra i lavoratori.

