Vivere in condominio, si dice spesso, richiede pazienza, tolleranza e spirito di adattamento. Ma cosa succede quando la convivenza forzata si trasforma in un incubo quotidiano? Quando ogni uscita di casa diventa un’operazione di sopravvivenza, ogni rumore un segnale di allarme, ogni incontro sul pianerottolo un’esperienza traumatica?
Non si tratta più di semplici “litigi tra vicini”. Si tratta di stalking condominiale — un reato penale che la legge italiana punisce con severità, e che la giurisprudenza della Corte di Cassazione interpreta con crescente sensibilità umana e rigorosa precisione giuridica.
Cos’è lo stalking condominiale?
Lo stalking condominiale non è un reato a sé stante, ma la configurazione del delitto di atti persecutori — previsto e punito dall’articolo 612-bis del codice penale — all’interno di un contesto condominiale. Si verifica quando due persone che abitano nello stesso edificio (e dunque sono entrambe condòmine) intrattengono una relazione in cui una perseguita l’altra con condotte reiterate tali da compromettere la sua serenità psicologica o la sua libertà di movimento. La legge è chiara: lo stalking si configura quando «chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno, in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura, ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona con la quale il soggetto abbia una relazione affettiva, o da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita».
Non serve un’aggressione fisica. Basta una serie di atti — anche apparentemente “banali” — se ripetuti con intenzionalità persecutoria.
Quali comportamenti integrano il reato?
La Cassazione ha più volte precisato che il reato non richiede una moltitudine di episodi. Anche due sole condotte, se manifestamente connesse da un intento persecutorio, possono bastare. Quel che conta è l’effetto prodotto sulla vittima e non il numero degli episodi.
Tra le condotte ritenute idonee a integrare lo stalking condominiale vi sono:
- Insulti e minacce verbali ripetuti;
- Danneggiamenti voluti di beni comuni o privati;
- Immissioni intollerabili di rumori, odori o sostanze;
- Pedinamenti nei corridoi o sugli androni;
- Scritti osceni o vessatori nella cassetta delle lettere;
- Incendi dolosi o tentativi di sabotaggio dell’abitazione altrui.
La Corte di Cassazione, nella sentenza n. 10111 del 6 marzo 2018, ha riconosciuto lo stalking condominiale nel caso di una donna costretta a controllare dallo spioncino del portone prima di uscire di casa, per evitare incontri con il vicino molesto, e a ispezionare la cassetta delle lettere per proteggere il figlio da contenuti osceni.
Nella sentenza n. 15906 del 9 aprile 2014, ha confermato il reato in presenza di «numerosi atti di disturbo (nello specifico, rumori dall’appartamento limitrofo), violenze gratuite e insulti». E nella sentenza n. 28340 dell’11 febbraio 2019, ha condannato un condomino che aveva creato «una situazione di intimidazione nei confronti dei vicini di casa mediante ripetuti atti di danneggiamento degli immobili, a volte seguito anche dall’incendio degli stessi».
Come si prova e come ci si difende?
La vittima deve sportare querela entro sei mesi dall’ultimo atto persecutorio. La querela deve contenere:
- una descrizione puntuale delle condotte;
- i luoghi e i tempi dei fatti;
- il nome di eventuali testimoni.
E qui entra in gioco un principio fondamentale riconosciuto dalla Cassazione: le sole dichiarazioni della vittima — se prive di contraddizioni e coerenti — possono essere sufficienti a giustificare l’incriminazione dello stalker. Come affermato nella sentenza n. 26878 del 28 giugno 2016, la testimonianza di una persona costretta a «assentarsi dal lavoro ed assumere tranquillanti a causa della condotta molesta del vicino» è pienamente credibile, se resa in modo lineare e costante. In casi particolari — ad esempio quando lo stalker è legato sentimentalmente alla vittima — scatta il “codice rosso”, la procedura d’urgenza che impone alla polizia di comunicare immediatamente al pubblico ministero la notizia di reato, affinché la vittima sia ascoltata entro tre giorni e si valuti l’adozione di misure cautelari.
E l’amministratore di condominio?
Attenzione: rivolgersi all’amministratore è inutile. Egli ha competenza solo sulla gestione delle parti comuni e sull’applicazione del regolamento condominiale, non sui rapporti interpersonali tra condòmini. Lo stalking è materia penale, non civile.
Il diritto al silenzio della propria casa
La casa dovrebbe essere il luogo più sicuro del mondo. Quando invece diventa teatro di minacce, paura e costrizione, il diritto interviene — e lo fa con forza.
Lo stalking condominiale non è “roba da palazzo”, non è “esagerazione”, non è “problema privato”. È un reato penale, con conseguenze reali: arresti domiciliari, divieto di avvicinamento, e persino la custodia cautelare in carcere, come previsto dalla sentenza n. 36576 della Corte di Cassazione dell’11 novembre 2025, che ha confermato misure cautelari pesanti per un condomino molesto.
Il messaggio è chiaro: non si tollera che la paura prenda casa accanto a te. E chi la provoca, dovrà risponderne — non davanti al comitato di condominio, ma davanti alla legge.

