Negli ultimi anni, molte aziende – soprattutto in settori ad alta intensità di lavoro come logistica, servizi, facility management e IT, banche – hanno adottato una pratica ricorrente: la cessione di un ramo d’azienda a una società neocostituita (spesso definita “newco”), con capitale sociale irrisorio – talvolta soltanto 10 euro – e una struttura organizzativa pressoché inesistente al momento del trasferimento. I lavoratori vengono “trasferiti” in blocco alla newco ex art. 2112 del codice civile, ma si ritrovano impiegati in una società mono-committente, senza HR, senza tecnici IT, senza strumenti organizzativi né autonomia decisionale, totalmente dipendente dalla cedente. In molti casi, questa operazione è seguita da licenziamenti per “giustificato motivo oggettivo”, con la giustificazione di un calo di commesse o di ristrutturazioni. Ma quando una cessione di ramo d’azienda è legittima? E quali sono i tratti comuni nei casi in cui i lavoratori vincono in tribunale? Per rispondere occorre partire da un punto fermo: non basta dichiarare di aver ceduto un “ramo”; occorre che esso esista concretamente come entità economica organizzata, autonoma e preesistente, capace di operare sul mercato anche verso terzi.
Il quadro normativo: l’art. 2112 c.c. e i suoi requisiti sostanziali
L’art. 2112 del codice civile, introdotto per recepire la Direttiva europea 2001/23/CE, disciplina il trasferimento di ramo d’azienda, stabilendo che i rapporti di lavoro proseguono con il cessionario, salvo che il lavoratore eserciti il diritto di opposizione. Tuttavia, la continuità del rapporto di lavoro non è automatica: presuppone che si sia verificato effettivamente un trasferimento di un’entità economica organizzata, dotata di autonomia funzionale e preesistente rispetto alla cessione. Come chiarito dalla Corte di Cassazione, Sez. Lavoro, sentenza n. 17201/2025, non sussiste trasferimento di ramo d’azienda quando, dopo la cessione, l’attività della cessionaria rimane “indissolubilmente legata” – in termini di dipendenza operativa – ad alcune attività rimaste alla cedente. In altre parole, se la newco è una “facciata” che non possiede né mezzi organizzativi né capacità decisionale e funziona solo perché la cedente continua a impartire direttive, fornire strumenti, gestire clienti e flussi finanziari, non si è di fronte a un vero ramo d’azienda, bensì a una fittizia riorganizzazione per eludere obblighi giuslavoristici.
La giurisprudenza: autonomia funzionale come “spartiacque”
La dottrina e la giurisprudenza concordano su un punto cruciale: non è sufficiente cedere un gruppo di lavoratori. Occorre che questi esprimano una professionalità omogenea e coesa, supportata da un know-how specifico, e che il ramo ceduto possa produrre beni o servizi autonomamente sul mercato. La Cassazione, con sentenza n. 22249/2021, ribadisce che l’autonomia funzionale deve preesistere al trasferimento, in conformità con la giurisprudenza della Corte di Giustizia UE (cause C-458/12 e C-664/17). Questo significa che non può essere costruita ad hoc in funzione della cessione. Analogamente, Diritto Bancario sottolinea che la mancata sussistenza del ramo implica l’illegittimità della cessione, con conseguente nullità del trasferimento dei rapporti di lavoro e obbligo per la cedente di ripristinare i rapporti di lavoro e risarcire i danni subiti (arretrati, danno biologico da stress, ecc.).
Il profilo delle “newco”: 10 euro di capitale e zero autonomia
Le newco costituite con capitale sociale di 10 euro sono spesso strumenti utilizzati per frammentare l’organizzazione aziendale e “scaricare” costi del lavoro su soggetti giuridici privi di sostanza. In molti casi:
- la newco non ha partita IVA attiva prima della cessione;
- non ha clienti propri, ma lavora esclusivamente per la cedente;
- non ha personale amministrativo o HR, né IT interno;
- non gestisce direttamente i processi produttivi, ma riceve istruzioni operative dalla cedente;
- non dispone di beni strumentali significativi (solo computer o strumenti minimi forniti temporaneamente).
In questi contesti, la Corte d’Appello ha riconosciuto l’assenza di autonomia organizzativa ed economica, e quindi la non configurabilità del ramo d’azienda. La newco è, di fatto, una “filiale fittizia”, non un soggetto economico autonomo.
Licenziamenti dopo il trasferimento: legittimi o strumentali?
Una volta trasferiti i lavoratori, molte newco procedono con licenziamenti collettivi per “giustificato motivo oggettivo”, adducendo la perdita di commesse. Ma se:
- la commessa era unicamente con la cedente;
- la cedente non ha interrotto il rapporto commerciale;
- i lavoratori continuano a svolgere lo stesso lavoro, negli stessi luoghi, con le stesse modalità;
allora il licenziamento appare chiaramente strumentale, volto a eludere il costo del lavoro e aggirare la disciplina sulla tutela dei lavoratori in caso di trasferimento. In questi casi, i tribunali (si veda Soluzioni Lavoro, 8 novembre 2022: hanno affermato che il rapporto di lavoro permane in capo al cedente, e la newco non assume legittimamente i lavoratori, perché la cessione è nulla o inefficace.
Cosa cercano i giudici? Gli elementi decisivi per vincere o perdere
Nonostante alcune oscillazioni interpretative, la giurisprudenza consolidata evidenzia alcuni criteri ricorrenti nei casi in cui i lavoratori vincono:
- Mancanza di autonomia funzionale prima e dopo il trasferimento: Il ramo deve essere in grado di operare già prima della cessione con mezzi propri e verso una clientela potenzialmente indistinta. Se lavora solo per la cedente, non è autonomo (Cass. 17201/2025; Cass. 22249/2021);
- Assenza di preesistenza del ramo: Il ramo non può essere “costruito” al momento della cessione. Deve esistere prima come entità economica organizzata (Corte Giustizia UE, C-458/12);
- Dipendenza operativa totale dalla cedente: Se la newco non decide autonomamente, non ha clienti, non fattura direttamente, non gestisce risorse umane né contratti, è solo un “braccio operativo” della cedente;
- Mancanza di know-how proprio Un ramo non è un semplice aggregato di lavoratori. Serve un valore aggiunto organizzativo;
- Finalità elusiva: Se l’operazione mira a ridurre i costi del lavoro, eludere contratti collettivi o bypassare vincoli sindacali, è considerata abuso del diritto.
Al contrario, le aziende vincono quando:
- dimostrano che il ramo già esisteva con autonomia (clienti, fatturato, struttura);
- la newco acquisisce autonomamente nuovi clienti dopo il trasferimento;
- il trasferimento non è finalizzato al licenziamento, ma a una vera riorganizzazione imprenditoriale;
- il capitale sociale non è rilevante di per sé, purché la newco disponga di risorse adeguate per operare.
La Corte di Cassazione, in più occasioni, ha chiarito che il capitale sociale non è un elemento decisivo, ma è il contesto concreto – mezzi, organizzazione, mercato – a determinare la legittimità.
Il risarcimento del danno e le conseguenze per la cedente
Quando il trasferimento è dichiarato inesistente, la posizione del lavoratore non si estingue: il rapporto permane con la cedente, come se il trasferimento non fosse mai avvenuto. Di conseguenza:
- la cedente deve riassumere i lavoratori;
- deve corrispondere tutti gli arretrati non percepiti;
- è tenuta al risarcimento del danno per il danno patrimoniale e non patrimoniale (stress, ansia, lesione della dignità.
Inoltre, la cessionaria può essere ritenuta responsabile in solido, qualora abbia agito in colpa grave o mala fede (Cass. n. 10510/2019).
Autonomia reale, non formale
Non esiste una formula magica per far vincere o perdere una causa. Ma la convergenza giurisprudenziale è chiara: la cessione di ramo d’azienda non è uno strumento per “scaricare” il costo del lavoro su una società fantoccio. Autonomia, preesistenza e capacità imprenditoriale sono i pilastri di una cessione legittima. Le “newco” con 10 euro di capitale, senza HR, senza IT, senza clienti, senza autonomia decisionale non sono imprese: sono maschere giuridiche. E i giudici – sempre più spesso – smascherano queste operazioni, restituendo ai lavoratori ciò che il diritto gli riconosce: continuità, dignità e protezione.
Il messaggio per le aziende è inequivocabile: non basta una scrittura notarile. Serve una vera impresa, non una finzione.

