Loading...

Malattia professionale: se è tabellata al lavoratore basta dimostrare di esserne affetto

Malattia professionale: se è tabellata al lavoratore basta dimostrare di esserne affetto

Svolgimento del processo

1. La Corte di appello di Bari ha confermato la sentenza del Tribunale con la quale era stata rigettata la domanda di A. – dal 23 settembre 1987 al 30 luglio 2009 dipendente della Casa del Vetro F.lli C. Snc con qualifica di vetraio addetto alle macchine – il quale aveva denunciato un’otopatia professionale e aveva chiesto la condanna dell’INAIL alla corresponsione di un indennizzo in capitale per il danno biologico sofferto.

1.1. La Corte territoriale ha accertato che l’attività lavorativa non rientrava tra quelle tabellate in maniera specifica; inoltre ha verificato che in sede di consulenza tecnica d’ufficio non era stata prodotta la valutazione sanitaria aziendale né quella fonometrica, pure richieste, e neppure la documentazione sanitaria audiometrica antecedente il 2009 ed ha preso atto del fatto che il consulente ha escluso che il lavoratore fosse affetto da una ipoacusia da trauma sonoro cronico permanente di origine professionale e che l’infermità audiologica non era ricollegabile all’attività lavorativa.

2. Per la cassazione della sentenza ricorre A. con tre motivi. Resiste l’INAIL con controricorso. Il ricorrente ha depositato memoria illustrativa

3. Con il primo motivo di ricorso si deduce in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 c.p.c. la violazione e falsa applicazione del D.P.R. 1124 del 1965, del D.M. n. 336 del 1994 e della Tabella valutativa unica per le otopatie professionali 1992/1994 e dei protocolli metodologici (rectius D.P.R. 13 aprile 1994, n. 336 Reg. recante le nuove tabelle delle malattie professionali nell’industria e nell’agricoltura); D.L.vo n. 38 del 2000 e tabella menomazioni 21 luglio 2000; D.M. 9 aprile 2008 anche in relazione all’art. 2697 c.c.

2. Con il secondo motivo è denunciata la violazione e falsa applicazione dell’art. 437 c.p.c. in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 c.p.c. 3. Con il terzo motivo deduce in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 c.p.c. la violazione e falsa applicazione dell’art. 421, 424, 437 e 445 c.p.c. evidenziandosi che rientra nei poteri officiosi del giudice di appello disporre l’accertamento tecnico d’ufficio sulle condizioni ambientali in cui si è svolto il lavoro e sulla rumorosità dei macchinari utilizzati nei luoghi di lavoro disponendo il reperimento, presso i datori di lavoro e presso le ditte costruttrici di ogni elemento utile al fine della verifica dell’emissione sonora o di rumore dei macchinari stessi

4. Il ricorso è inammissibile atteso che le censure mosse alla sentenza di appello si risolvono, nella sostanza, nella richiesta di un diverso apprezzamento dei fatti non consentito al giudice di legittimità.

4.1. Va ricordato che in tema di assicurazione contro le malattie professionali l’onere probatorio che grava sul ricorrente è attenuato quando la malattia è inclusa nella tabella allegata al D.P.R. n. 1124 del 1965 e poi al D.L.vo n. 38 del 2000. Solo in tal caso al lavoratore è sufficiente dimostrare di esserne affetto e di essere stato addetto alla lavorazione nociva, anch’essa tabellata perché il nesso eziologico sia presunto per legge sempre che la malattia stessa si sia manifestata entro il periodo anch’esso indicato in tabella (cfr. Cass. n. 13024 del 2017). La riconducibilità della patologia sofferta dal prestatore di lavoro alle previsioni di cui alla tabella n. 4 allegata al D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 esclude la necessità di provare l’esistenza del nesso di causalità tra il morbo contratto e l’attività professionale svolta, mentre nel caso in cui la malattia non rientri nella previsione tabellare, oppure non vi rientri l’attività lavorativa svolta o non sussistano tutti i presupposti richiesti dalla tabella per far rientrare l’attività stessa all’interno della sua previsione, l’esistenza del nesso di causalità deve essere provata dal prestatore assicurato secondo i criteri ordinari e, in caso di contestazione, l’accertamento della riconducibilità della malattia alla previsione tabellare costituisce un apprezzamento di fatto, riservato al giudice di merito (cfr. Cass. n. 27752 del 2009).

4.2. Poiché nella specie risulta pacificamente accertato che la malattia non era tabellata rispetto all’attività svolta l’accertamento della Corte che ha verificato l’esistenza del nesso eziologico alla luce delle allegazioni e delle prove offerte non è censurabile in questa sede se non nei limiti del vizio di motivazione per quanto ancora ammissibile e, nello specifico, neppure dedotto.

5. Le censure formulate con il secondo ed il terzo motivo di ricorso investono sostanzialmente il mancato esercizio dei poteri d’ufficio da parte del giudice di merito e sono, del pari, inammissibili.

5.1. Nel rito del lavoro, il giudice, ove si verta in situazione di “semipiena probatio”, ha effettivamente il potere-dovere di provvedere d’ufficio agli atti istruttori idonei a superare l’incertezza dei fatti costitutivi dei diritti in contestazione, indipendentemente dal verificarsi di preclusioni o di decadenze in danno delle parti. Sussiste, tuttavia, l’obbligo di motivare la sua scelta di non procedervi solo laddove risulti che la parte interessata lo abbia al riguardo sollecitato ad integrare la lacuna istruttoria, in quanto diversamente si introdurrebbe per la prima volta in sede di legittimità un tema del contendere totalmente nuovo rispetto a quelli già dibattuti nelle precedenti fasi di merito (cfr. Cass. 25 ottobre 2017 n. 25374, 10 settembre 2019 n. 22628). I poteri istruttori officiosi di cui all’art. 421 cod. proc. civ. non possono sopperire alle carenze probatorie delle parti così da porre il giudice in funzione sostitutiva degli oneri delle parti medesime e da tradurre i poteri officiosi anzidetti in poteri d’indagine e di acquisizione del tipo di quelli propri del procedimento penale (Cass. 21 maggio 2009 n. 11847 e 28 maggio 2024 n.14923). Il ricorrente che se ne dolga, perciò, è tenuto a riportare in ricorso gli atti processuali dai quali emerge l’esistenza di una “pista probatoria” qualificata, ossia l’esistenza di fatti o mezzi di prova, idonei a sorreggere le sue ragioni con carattere di decisività, rispetto ai quali avrebbe potuto e dovuto esplicarsi l’officiosa attività di integrazione istruttoria demandata al giudice di merito, ed allegare, altresì, di avere espressamente e specificamente richiesto tale intervento nel predetto giudizio (Cass. n.22628 del 2019 cit.). In mancanza le censure sono inammissibili.

6. Alla luce delle considerazioni esposte il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo. Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del D.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art.13 comma 1-bis del citato D.P.R., se dovuto.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in Euro 3000,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, 15% per spese forfetarie oltre agli accessori dovuti per legge.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del D.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art. 13 comma 1-bis del citato D.P.R., se dovuto.

Lascia un commento

Quick Navigation
×
×

Cart