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Licenziamento di un lavoratore disabile per riorganizzazione aziendale: quando è legale e quando invece è discriminatorio?

Licenziamento di un lavoratore disabile per riorganizzazione aziendale: quando è legale e quando invece è discriminatorio?

1. Il licenziamento per “motivi oggettivi” non è automaticamente legittimo


2. L’onere della prova: un meccanismo a tutela del lavoratore

  • l’esistenza di una condizione di disabilità riconosciuta (es. art. 3, legge n. 104/1992);
  • l’atto pregiudizievole, ossia il licenziamento stesso;
  • comportamenti discriminatori precedenti (es. demansionamento, isolamento, mobbing, riduzione di responsabilità);
  • elementi statistici o comparativi: ad esempio, il fatto che il lavoratore disabile fosse l’unico a ricoprire una certa posizione e l’unico a essere licenziato in una riorganizzazione che coinvolgeva più figure equivalenti.

3. L’inversione dell’onere della prova: spetta all’azienda giustificare la scelta

  • l’anzianità di servizio;
  • il livello di competenze tecniche;
  • la rilevanza delle mansioni per il nuovo assetto produttivo.

4. Conseguenze del licenziamento discriminatorio: nullità e reintegra

  1. Reintegrazione immediata: il lavoratore ha diritto a tornare in servizio nella stessa posizione occupata prima del licenziamento (o, se soppressa, in una posizione equivalente);
  2. Risarcimento integrale: il datore di lavoro deve corrispondere al lavoratore tutte le retribuzioni maturate dal giorno del licenziamento fino al giorno effettivo della reintegra, oltre al rimborso dei contributi previdenziali non versati.

Questa tutela è la più forte prevista dall’ordinamento: riflette il principio che nessuna ragione economica, per quanto valida, può giustificare una violazione dei diritti fondamentali della persona, tra cui il diritto al lavoro e alla non discriminazione.


5. Tra esigenze datoriali e diritti inviolabili


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