Il 2025 si conferma un anno cruciale per la metamorfosi del diritto del lavoro italiano. L’azione congiunta del legislatore, della Corte costituzionale e della Corte di Cassazione sta riplasmando il rapporto tra datore e lavoratore, ridefinendo i confini della legittimità, della responsabilità e della tutela. Questo articolo offre una ricostruzione sistematica delle principali novità giurisprudenziali e normative intervenute nel corso dell’anno, in particolare tra gennaio e luglio 2025, con un focus su quattro direttrici: (1) i controlli sul lavoratore, (2) la legittimità dei licenziamenti, (3) la responsabilità dell’azienda per stress lavoro-correlato, e (4) le nuove tutele costituzionali a favore dei lavoratori vulnerabili.
1. Controlli del datore di lavoro sui dipendenti: tra art. 4 dello Statuto dei Lavoratori e nuove tecnologie
Il dibattito giuridico relativo al potere di controllo del datore di lavoro sui dipendenti ha conosciuto un’accelerazione significativa nel 2025, a seguito della proliferazione di strumenti tecnologici invasivi – telecamere, software di monitoraggio, geolocalizzazione – spesso giustificati con esigenze organizzative o di sicurezza. La Corte di Cassazione, sez. lavoro, con sentenza n. 17383 del 28 giugno 2025, ha ribadito la centralità dell’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori (Legge n. 300/1970), secondo cui il datore di lavoro può adottare strumenti per controllare l’attività dei lavoratori solo previo accordo con le rappresentanze sindacali aziendali o, in loro assenza, con autorizzazione della Direzione Territoriale del Lavoro. Ciò vale non solo per gli impianti fissi (es. telecamere), ma anche per i dispositivi mobili assegnati al lavoratore (smartphone, tablet, auto aziendale). In particolare, la Suprema Corte ha chiarito che non è sufficiente un generico riferimento nei contratti collettivi o individuali: l’installazione di strumenti idonei a “consentire il controllo a distanza dell’attività del lavoratore” deve essere autorizzata caso per caso, con una motivazione specifica legata all’esigenza produttiva o alla tutela del patrimonio aziendale. Il mancato rispetto di tali condizioni fa scattare la nullità del controllo e, di conseguenza, l’illegittimità di eventuali provvedimenti disciplinari (es. licenziamento) fondati su prove ottenute in violazione dell’art. 4. Questo approccio rappresenta una prospettiva formalistica che mira a integrare un metodo proporzionato e contestualizzato, fondato sull’equilibrio tra l’autorità del datore di lavoro e il diritto del lavoratore alla privacy.
2. Licenziamenti: la rivoluzione del “patto di prova nullo” e il ruolo della Corte Costituzionale
Una delle sentenze più significative del 2025 è quella emessa dalla Corte di Cassazione con ordinanza n. 24201/2025, in tema di licenziamento per mancato superamento del periodo di prova. Il caso riguardava una lavoratrice assunta a tempo indeterminato con contratto a tutele crescenti (d.lgs. n. 23/2015), licenziata dopo cinque mesi con la motivazione del “mancato superamento della prova”. Il patto di prova, però, non specificava le mansioni oggetto di valutazione, come invece richiesto dalla giurisprudenza consolidata. La Cassazione ha dichiarato nulla “geneticamente” la clausola di prova, in applicazione dell’art. 1419, co. 2, c.c., poiché affetta da vizio originario (omessa specificazione delle mansioni). Conseguentemente, il rapporto di lavoro deve considerarsi definitivo ab origine, e il recesso del datore si trasforma in un licenziamento ordinario soggetto a sindacato di merito.
La Suprema Corte ha poi compiuto un’operazione di riallineamento alla giurisprudenza costituzionale, richiamando due pronunce fondamentali:
- Corte costituzionale, sentenza n. 125/2022: che ha escluso ogni forma di “graduazione fenomenica” della sussistenza del fatto;
- Corte costituzionale, sentenza n. 128/2024: che ha equiparato, sotto il profilo sanzionatorio, i licenziamenti privi di giustificato motivo oggettivo a quelli per motivi soggettivi o per insussistenza del fatto.
Ne deriva che il licenziamento fondato su una prova inesistente (perché annullata) equivale a un recesso ad nutum, e quindi scatta la tutela reintegratoria ex art. 3, co. 2, d.lgs. n. 23/2015 (reintegrazione + indennità). La Corte ha enunciato la seguente massima:
“In caso di nullità del patto di prova, il contratto di lavoro deve essere considerato definitivo sin dall’inizio, e il recesso del datore di lavoro per mancato superamento della prova è soggetto alla verifica giudiziale della sussistenza della giusta causa o del giustificato motivo, applicandosi la disciplina limitativa dei licenziamenti prevista per legge.”
Questa impostazione rappresenta un inversione di rotta rispetto all’orientamento precedente che, in caso di patto nullo, applicava solo la tutela indennitaria (art. 3, co. 1). Adesso, invece, la logica costituzionale prevale: nessun lavoratore può essere privato del posto di lavoro per un fatto che giuridicamente non esiste.
3. Responsabilità dell’azienda per stress lavoro-correlato: non serve il mobbing
Un ulteriore fronte di innovazione riguarda la responsabilità del datore di lavoro per danno da stress, anche in assenza di condotte vessatorie intenzionali.
Con due pronunce del 2025 (gennaio e aprile), la Corte di Cassazione ha radicalmente ampliato l’ambito di applicazione dell’art. 2087 c.c., che impone al datore di lavoro di “adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale del prestatore di lavoro”. La Suprema Corte ha chiarito che non è necessario dimostrare l’esistenza di un vero e proprio mobbing (comportamento persecutorio reiterato con intento vessatorio). Basta un ambiente di lavoro oggettivamente stressogeno, caratterizzato da:
- carichi di lavoro eccessivi,
- disorganizzazione interna,
- relazioni conflittuali non gestite,
- pressioni continue non mitigate.
In particolare, con l’ordinanza n. 10730 del 23 aprile 2025, la Cassazione ha affermato:
“Ai fini della responsabilità del datore di lavoro ex art. 2087 c.c., è sufficiente dimostrare che l’ambiente lavorativo era oggettivamente idoneo a generare stress, e che l’azienda non ha adottato misure organizzative o correttive adeguate.”
Ancor più rilevante è l’introduzione del concetto di “straining”: anche un singolo episodio di pressione non gestita (es. rimprovero pubblico, scadenza impossibile, negazione di permessi per motivi di salute) può costituire il fatto generatore della responsabilità, qualora l’azienda non intervenga a sanare la situazione.
Questa evoluzione rende obsoleta la mera “compilazione della valutazione dello stress” prevista dal D.Lgs. 81/2008. Ora è richiesto un impegno attivo, documentabile e continuo, volto a prevenire e mitigare i fattori di rischio psicosociali. In caso contrario, le aziende rischiano contenziosi costosi, danni reputazionali, turnover elevato e sanzioni ispettive.
4. Le novità legislative del DDL Lavoro 2024 (in vigore nel 2025)
Il DDL Lavoro 2024, approvato definitivamente dal Parlamento, ha introdotto diverse novità operative.
4.1. Periodo di prova nei contratti a termine
L’art. 13 del DDL stabilisce con precisione la durata del periodo di prova nei contratti a termine:
- minimo 2 giorni, massimo 15 giorni per contratti fino a 6 mesi;
- massimo 30 giorni per contratti tra 6 e 12 mesi.
La durata è commisurata a “un giorno di effettiva prestazione per ogni quindici giorni di calendario”. In caso di rinnovo per le stesse mansioni, non è ammesso un nuovo periodo di prova (confermando l’art. 7 del d.lgs. 104/2022).
4.2. Assenza ingiustificata = dimissioni?
L’art. 19 introduce una norma controversa: se il lavoratore è assente oltre 15 giorni (o oltre il termine previsto dal CCNL) senza giustificazione, il datore può comunicare la risoluzione del rapporto per “volontà del lavoratore”, senza convalida delle dimissioni e senza accesso alla NASPI, salvo che il lavoratore dimostri un impedimento (forza maggiore o colpa del datore).
4.3. Conciliazione a distanza
L’art. 20 disciplina formalmente la conciliazione telematica, consentendo collegamenti audiovisivi anche al di fuori dell’emergenza sanitaria.
4.4. Cassa integrazione e svolgimento di altra attività
L’art. 6 vieta di percepire la CIG per i giorni in cui si svolge altra attività lavorativa (subordinata o autonoma), salvo comunicazione preventiva all’INPS. In mancanza, decade il diritto all’integrazione salariale.
5. La Corte Costituzionale a tutela dei lavoratori vulnerabili
La Corte Costituzionale nel luglio 2025 ha emesso pronunce di particolare rilievo sociale:
- Estensione dei congedi parentali a nuove configurazioni familiari (coppie omogenitoriali, genitori affidatari non coniugati);
- Rafforzamento delle tutele per lavoratori con disabilità o fragilità psicofisica;
- Inasprimento delle sanzioni per cooperative che eludono i controlli ispettivi;
- Abbandono dei criteri risarcitori standardizzati a favore di tutele dissuasive ed effettive, in linea con i principi costituzionali di dignità (art. 2 Cost.) e tutela del lavoro (art. 4 Cost.).
Queste decisioni riflettono una visione dinamica e inclusiva del diritto del lavoro, coerente con l’evoluzione sociale e con gli obblighi europei in materia di non discriminazione e parità sostanziale.
Un diritto del lavoro più umano, ma più esigente
Il 2025 segna un punto di svolta: il diritto del lavoro non è più solo tecnica contrattuale o formalismo procedurale. È diventato una disciplina sensibile all’impatto umano delle decisioni organizzative. Il datore di lavoro non è più un mero “imprenditore”, ma un custode della salute psicofisica dei propri collaboratori. Allo stesso tempo, il lavoratore non è più un soggetto passivo, ma un titolare di diritti sempre più robusti e giudizialmente tutelabili. Questa evoluzione impone alle aziende un cambio di mentalità: non bastano più le policy sulla carta o le valutazioni eseguite per adempiere a un obbligo burocratico. Serve una leadership empatica, organizzata e responsabile – capace di coniugare efficienza e rispetto della persona.
Per il professionista del diritto, questa stagione rappresenta una sfida e un’opportunità: interpretare un “diritto vivente” in continua evoluzione, sempre più attento al valore della persona umana nel contesto del lavoro.

