La l. 29 ottobre 2016 n. 199 (in G.U. n. 257 del 3 novembre 2016), entrata in vigore, ai sensi dell’art. 12, Il 4 novembre 2016, ossia Il giorno successivo alla pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale, rappresenta la risposta normativa al fenomeno antico e ampiamente diffuso del caporalato e, in genere, del c.d. lavoro nero in agricoltura.
La l. n. 199 del 2016 interviene innanzi tutto sul fronte della repressione, attraverso una modifica dell’art. 603 bis c.p.
La norma, non si era accompagnata a vistose ricadute giurisprudenziali.
La corte di Cassazione con sentenza 22 giugno 2015, n. 31740, non massimata, rileva, che Il comportamento posto in essere dal ricorrente, con la compartecipazione dei titolari delle imprese e dei proprietari dei terreni presso cui veniva impiegata la manodopera, era risultato caratterizzato sia dall’uso di violenza e minaccia nei confronti dei lavoratori a vario titolo dal medesimo reclutati, sia dall’ approfittamento dello stato di bisogno dei medesimi, tutti in posizione di vulnerabilità tale da dover subire le condizioni lavorative Illecite loro imposte, pena la perdita di ogni futura possibilità lavorativa, al punto che un lavoratore era stato aggredito per aver preteso la corresponsione delle somme dovute e altri lavoratori erano risultati in stato di disagio economico e timorosi di ritorsioni;
La corte di Cass. 4 febbraio 2014, Stoican, muovendo dalla considerazione del bene giuridico protetto dalla categoria dei reati contro la personalità individuale (lo stato di uomo libero, inteso come necessario presupposto per Il riconoscimento dei singoli diritti di libertà, ossia non una forma particolare di manifestazione della libertà del singolo, bensì Il complesso delle manifestazioni che si riassumono in tale stato e la cui negazione incide sullo svolgimento della personalità dell’individuo), ha ritenuto che Il riferimento all’intimidazione esprime l’esigenza del legislatore di valorizzare, ai fini della configurabilità della fattispecie, qualunque condotta idonea a menomare la libertà di determinazione della vittima, attraverso l’approfittamento dello stato di bisogno o di necessità della stessa.
Si legge nella decisione menzionata che l’intimidazione evoca l’effetto di qualunque condotta palese, ma anche implicita, larvata, indiretta ed indeterminata, purché idonea, in relazione alle circostanze concrete, alla personalità dell’agente, alle condizioni soggettive della vittima e alle condizioni ambientali in cui questa opera, ad incutere timore ed a coartare la volontà del soggetto passivo, al fine di ottenere risultati non consentiti attraverso prestazioni non dovute nell’ an o nel quantum o nel quando.
In effetti, Il tema sostanziale che si pone è rappresentato dai casi nei quali Il contesto organizzativo del mercato del lavoro è tale che non esiste alcun bisogno per coloro che gestiscono Il reclutamento della manodopera di esercitare forme di violenza o di minaccia.
In siffatta cornice di riferimento, Il legislatore è intervenuto, in primo luogo, a differenziare un’ipotesi base di reclutamento o utilizzazione di manodopera, non accompagnata da violenza o minaccia, da altra ipotesi, in cui ricorre tale elemento specializzante.
Le condotte descritte nei nn. 1 e 2 del 1° comma del novellato art. 603 bis c.p. assumono rilievo adesso (ossia, per i fatti posti in essere a partire dall’entrata in vigore della legge) anche se non sia accertata la violenza o la minaccia, è
Nel nuovo art. 603 bis c.p. è venuto meno anche Il riferimento allo stato di necessità del soggetto passivo
In generale, dal punto di vista strutturale la previsione originaria è stata sostanzialmente scissa, con la finalità di raggiungere una chiarezza del dettato normativo, in un’ipotesi base di più agevole accertamento e una ipotesi caratterizzata da modalità di condotta violente o minacciose.
In relazione a queste ultime sarà compito della giurisprudenza enucleare Il concetto di minaccia giuridicamente rilevante, con riguardo ai fatti posti in essere in condizioni di controllo del mercato del lavoro talmente profonde e diffuse da rendere evidente a qualunque soggetto l’impossibilità di rivendicare condizioni eque di lavoro senza esporsi a ritorsioni di vario genere, la prima delle qual va colta, tenuto conto dello stato di bisogno che, in ipotesi, rappresenta la condizione del soggetto passivo, proprio nella definitiva preclusione rispetto alla possibilità di accedere ad occasioni di lavoro. Incidentalmente si osserva che non è stato modificato l’art. 604 c.p., che disciplina l’applicabilità delle norme incriminatrici ai fatti commessi all’estero
Nel dettaglio, Il n. 1 del novellato 1° comma dell’art. 603 bis c.p. sanziona chi recluta manodopera allo scopo di destinarla al lavoro presso terzi in condizioni di sfruttamento, approfittando dello stato di bisogno dei lavoratori.
Rispetto all’originaria formulazione, scompare Il riferimento allo svolgimento di un’attività organizzata con conseguente ampliamento dell’ambito oggettivo della previsione , ma anche quello alla condotta di organizzazione dell’attività lavorativa.
Quest’ultima puntualizzazione, tuttavia, non sembra comportare alcuna reale restrizione operativa, dal momento che Il successivo n. 2 del medesimo 1° comma assoggetta alla medesima sanzione chi utilizza, assume o impiega manodopera, anche mediante l’attività di intermediazione di cui al n. 1, sottoponendo i lavoratori a condizioni di sfruttamento ed approfittando del loro stato di bisogno.
Nella prospettiva della norma assume rilievo la condotta non solo del datore di lavoro (a proposito della quale resteranno da definire in concreto, nelle strutture imprenditoriali più complesse, i contorni della responsabilità omissiva), ma quella anche dei soggetti che, senza ricoprire Il ruolo di titolari del contratto di lavoro, comunque utilizzano o impiegano (con una distinzione che rivela più la preoccupazione del legislatore di non lasciare scoperta alcuna area del concreto sfruttamento che non una reale distinzione concettuale) la manodopera nelle condizioni indicate.
Il 2° comma del nuovo art. 603 bis prevede l’ipotesi in cui i fatti sono commessi mediante violenza o minaccia, conservando la sanzione edittale prevista dalla formulazione originaria della norma (da cinque a otto anni di reclusione e da 1.000 a 2.000 euro di multa per ciascun lavoratore reclutato).
Prima di esaminare nel dettaglio Il significato della previsione, occorre osservare che l’art. 4 l. n. 199 del 2016, attraverso una modifica dell’art. 380, 2° comma, c.p.p., prevede, per i delitti di cui all’art. 603 bis, 2° comma, c.p., l’arresto in flagranza (e consente quindi, ricorrendo gli altri presupposti indicati dall’art. 18 d.leg. n. 286 del 1998, Il rilascio del permesso di soggiorno per motivi di protezione sociale).
Per i reati di cui al 1° comma resta ferma la possibilità dell’arresto facoltativo, ai sensi dell’art. 381, 1° comma, c.p.p., dal momento che Il massimo della pena edittale si attesta sui sei anni di reclusione (Il che, detto incidentalmente, consente anche in questi casi sia l’adozione delle più rigorose misure cautelari personali, che l’attivazione delle intercettazioni di conversazioni o di comunicazioni).
Interessante è poi la ridefinizione delle condizioni assunte ad indice di sfruttamento, in quanto, nei nn. 1 e 2 del 3° comma dell’art. 603 bis, la corresponsione di retribuzioni inadeguate, come pure la violazione della normativa in materia di condizioni lavorative, assumono rilievo in quanto «reiterate» e non più «sistematiche», ossia tutte le volte che esse si ripetano nel tempo senza essere necessariamente espressive di (ossia senza che sia necessario accertare che esse esprimano) una tipica e ricorrente modalità di organizzazione del lavoro.
Più nel dettaglio, rispetto alla previsione originaria, Il legislatore, nel 3° comma dell’art. 603 bis c.p.: a) al n. 1 chiarisce che lo sfruttamento può desumersi dalla reiterata corresponsione di retribuzioni in modo palesemente difforme dai contratti collettivi nazionali, aggiungendo anche un riferimento ai contratti territoriali, purché stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative a livello nazionale, e confermando la clausola di chiusura che ha riguardo alla sproporzione della retribuzione rispetto alla quantità e qualità del lavoro prestato; b) al n. 2 inserisce tra le violazioni delle condizioni di lavoro (in materia di orario di lavoro, di riposo settimanale, di aspettativa obbligatoria, di ferie) quelle concernenti, in generale, i periodi di riposo; c) al n. 3 attribuisce rilievo a tutte le violazioni delle norme in materia di sicurezza e igiene nei luoghi di lavoro, eliminando Il riferimento originario all’idoneità delle violazioni ad esporre Il lavoratore a pericolo per la salute, la sicurezza e l’incolumità personale; d) al n. 4 coglie lo sfruttamento nel carattere degradante e non particolarmente degradante delle condizioni di alloggio. VIII. – Il novellato 4° comma dell’art. 603 bis riproduce la circostanza ad effetto speciale di cui all’originario 3° comma dello stesso articolo, disponendo un aumento della pena da un terzo alla metà per: 1) Il fatto che Il numero di lavoratori reclutati sia superiore a tre; 2) Il fatto che uno o più dei soggetti reclutati siano minori in età non lavorativa; 3) l’aver commesso Il fatto esponendo i lavoratori sfruttati a situazioni di grave pericolo, avuto riguardo alle caratteristiche delle prestazioni da svolgere e delle condizioni di lavoro.
Vi è poi un’altra area di intervento normativo che mira a colpire le ricadute economiche del caporalato, ossia, in altri termini, le economie realizzate dalle imprese attraverso Il ricorso allo sfruttamento della manodopera.
In tale prospettiva si colloca, innanzi tutto, l’inclusione dei delitti di cui all’art. 603 bis tra quelli, contemplati dall’art. 25 quinquies, 1° comma, lett. a), d.leg. 8 giugno 2001 n. 231, con conseguente applicazione della sanzione pecuniaria da quattrocento a mille quote e delle sanzioni interdittive di cui ai successivi 2° e 3° comma.
La disciplina dettata dai commi seguenti dell’art. 3 prevede: a) che, con Il decreto con cui dispone Il controllo giudiziario dell’azienda, Il giudice nomina uno o più amministratori, scelti tra gli esperti in gestione aziendale iscritti all’albo degli amministratori giudiziari di cui al d.leg. 4 febbraio 2010 n. 14 (2° comma); b) che l’amministratore giudiziario affianca l’imprenditore nella gestione dell’azienda ed autorizza lo svolgimento degli atti di amministrazione utili all’impresa, riferendo al giudice ogni tre mesi e, comunque, ogniqualvolta emergano irregolarità circa l’andamento dell’attività aziendale (3° comma).
Sembrerebbe quindi che l’amministratore svolga funzioni di vigilanza e di autorizzazione, in stretto coordinamento con Il giudice che ha disposto Il sequestro.
E, tuttavia, sempre Il 3° comma dell’art. 3 della legge in esame aggiunge che, al fine di impedire che si verifichino situazioni di grave sfruttamento lavorativo, l’amministratore giudiziario controlla Il rispetto delle norme e delle condizioni lavorative la cui violazione costituisce, ai sensi dell’art. 603 bis c.p., indice di sfruttamento lavorativo, ma dispone anche di poteri attivi, in quanto: a) procede alla regolarizzazione dei lavoratori che, al momento dell’avvio del procedimento per i reati previsti dall’art. 603 bis, prestavano la propria attività in assenza di un regolare contratto e, b) al fine di impedire che le violazioni si ripetano, adotta adeguate misure anche in difformità da quelle proposte dall’imprenditore o dal gestore.
E qui si innesta un profilo critico di non poco momento, in quanto rivela come l’intervento diretto a salvaguardare l’autonomia imprenditoriale finisca inevitabilmente per collidere con le esigenze di rispetto delle regole nell’organizzazione di un fattore produttivo decisivo nello svolgimento dell’attività.
E quindi, anche a tacere delle difficoltà di cogliere, soprattutto in realtà imprenditoriali complesse, gli strumenti per adottare misure che contrastino con le scelte del titolare (si adopera volutamente un’espressione generica ed impersonale, per riassumere le regole destinate ad individuare i soggetti che dispongono del potere di decidere ed eseguire le determinazioni imprenditoriali), rimane inalterato Il problema di stravolgere in radice gli elementi produttivi, riuscendo a conservare i livelli occupazionali e a garantire la sopravvivenza dell’impresa.