La Cassazione tutela il lavoratore malato che rifiuta il trasferimento in una sede lontana, in assenza di “accomodamenti ragionevoli” da parte del datore di lavoro.
Che cosa accade quando la condizione di salute di un dipendente contrasta con le necessità aziendali? Il lavoratore che si trova in una situazione di malattia può opporsi a un trasferimento? La Corte di Cassazione, in varie sentenze (tra cui la più recente ord. 30080/2024), ha esaminato questi casi, fornendo indicazioni significative.
Il caso
Un lavoratore, colpito da una grave patologia oncologica, aveva chiesto al proprio superiore di essere trasferito in una sede più vicina alla sua abitazione, allo scopo di facilitare l’accesso alle cure mediche necessarie.
Il datore di lavoro, però, aveva respinto la richiesta. Così, al termine del periodo di comporto (durante il quale l’assenza per malattia è retribuita), il lavoratore aveva deciso di non tornare al posto di lavoro nella sede originaria, situata in un’altra Regione. A seguito di ciò, era stato licenziato per giustificato motivo oggettivo.
La Cassazione ha accolto il ricorso del dipendente, annullando il licenziamento. Difatti, prima di poter licenziare un lavoratore inabile alla propria mansione, il datore è tenuto a verificare la possibilità di effettuare “ragionevoli accomodamenti” dell’organizzazione aziendale al fine di venire incontro alle esigenze dei soggetti con disabilità e consentire a questi di conservare il proprio posto.
Cos’è l’accomodamento ragionevole?
L’accomodamento ragionevole è un principio stabilito dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, che richiede ai datori di lavoro di adottare soluzioni adeguate per garantire l’accesso al lavoro, lo svolgimento delle attività lavorative e le opportunità di crescita professionale per i lavoratori con disabilità. Tali soluzioni possono includere modifiche all’ambiente di lavoro, all’organizzazione degli orari o alle mansioni da svolgere. Un esempio potrebbe essere la concessione di una pausa aggiuntiva di qualche minuto rispetto a quelle già previste dalla normativa vigente.
Il rifiuto di accomodamento ragionevole
Il mancato riconoscimento di un accomodamento ragionevole rappresenta un atto discriminatorio che il dipendente può far valere legalmente. Allo stesso modo, secondo la Cassazione, risulta discriminatorio applicare a un lavoratore affetto da una grave patologia lo stesso periodo di comporto stabilito per gli altri dipendenti in buona salute.
Nel caso esaminato dalla Suprema Corte, il datore di lavoro aveva negato il trasferimento del dipendente, affetto da una malattia, a una sede più vicina alla sua abitazione, nonostante le ripetute richieste. Tale diniego è stato valutato come un mancato adempimento dell’obbligo di fornire un ragionevole accomodamento, rendendo illegittimo il licenziamento.
Lavoratore malato può rifiutare il trasferimento?
Il dipendente affetto da malattia può opporsi al trasferimento, purché il rifiuto sia adeguatamente motivato e rispetti i principi di buona fede e correttezza previsti dall’ordinamento giuridico.
Secondo quanto stabilito dalla giurisprudenza, spetta al datore di lavoro disporre il trasferimento del lavoratore esclusivamente per comprovate esigenze tecniche, organizzative o produttive, come indicato all’art. 2103 c.c. e ribadito in numerosi contratti collettivi nazionali di lavoro. Tale provvedimento deve essere formalizzato per iscritto, con un congruo preavviso, e in alcuni casi prevede il rimborso delle spese sostenute dal lavoratore.
La Cassazione (sentenza n. 21391/2019) ha stabilito che il dipendente non può rigettare automaticamente il trasferimento, neanche quando lo ritenga illegittimo. Tuttavia, il rifiuto dell’esecuzione della prestazione è giustificato qualora il cambiamento di sede generi un grave o irreparabile pregiudizio per il lavoratore, come nel caso di chi necessita di cure quotidiane salvavita, ad esempio un dipendente malato di cancro. In circostanze simili, il rifiuto non è considerato contrario ai principi di buona fede.
Riguardo i lavoratori in condizione di malattia, la giurisprudenza ha riconosciuto che tale stato può rappresentare una valida motivazione per rifiutare il trasferimento, specialmente se questo rischia di peggiorare le condizioni di salute o se il lavoratore risulta fisicamente inidoneo alle nuove mansioni.
La sentenza del Tribunale di Milano, Sezione Lavoro (n. 1171 del 27 aprile 2021), ha affrontato un caso in cui un dipendente frequentemente assente per motivi di salute è stato trasferito per presunte esigenze organizzative legate alle sue assenze. Il giudice ha ritenuto illegittimo tale trasferimento, evidenziando che lo stato di malattia non può essere utilizzato dal datore di lavoro per presumere in modo negativo l’affidabilità futura del lavoratore.
Inoltre, è compito del datore di lavoro dimostrare l’effettiva necessità del trasferimento tenendo in considerazione le condizioni personali del dipendente, come richiesto dai principi di buona fede e correttezza.
Di conseguenza, se il trasferimento rischia di compromettere la salute del lavoratore malato o se le motivazioni del datore non sono sufficientemente fondate, il dipendente ha diritto a opporsi al provvedimento. È comunque consigliabile formalizzare tale rifiuto comunicando adeguate motivazioni, corredate eventualmente da documentazione medica, e cercare una soluzione consensuale con l’azienda.
In tutti gli altri casi, il lavoratore è tenuto a prendere servizio presso la nuova sede; tuttavia, può contestare la legittimità del trasferimento presentando ricorso al tribunale ordinario – sezione lavoro – per ottenere l’annullamento dell’ordine qualora risulti immotivato o dannoso.
Conclusioni
Un dipendente ha il diritto di rifiutare un trasferimento qualora questo non sia motivato da valide ragioni tecniche, organizzative o produttive, come stabilito dall’articolo 2103 del codice civile. Inoltre, un lavoratore con disabilità può opporsi al trasferimento se il datore di lavoro non ha predisposto gli accomodamenti ragionevoli necessari a tutelarne la salute e la dignità.
In aggiunta, il dipendente può legittimamente rifiutare la nuova sede di lavoro qualora tale trasferimento comporti per lui un danno grave.
Il lavoratore, in tali circostanze, può intraprendere un’azione legale per richiedere il risarcimento dei danni subiti e ottenere la cessazione di eventuali discriminazioni.