(Corte di cassazione- Ordinanza 11 novembre 2025, n. 29745)
In un’ordinanza depositata l’11 novembre 2025 (n. 29745), la Corte di Cassazione ha confermato la legittimità del licenziamento disciplinare di un dipendente impiegato in attività riconducibili ai cosiddetti “servizi sussidiari” del trasporto pubblico, escludendo l’applicabilità del Regio Decreto n. 148 del 1931, normativa speciale che disciplina il rapporto di lavoro nel settore dei trasporti pubblici.
Il caso riguardava un lavoratore, identificato con le iniziali M.B., impiegato da A. Spa — società titolare del servizio di trasporto pubblico a Roma — in mansioni legate alla gestione dei parcheggi di scambio, della sosta tariffaria su strada e della rimozione veicoli. Il lavoratore aveva impugnato il proprio licenziamento disciplinare, sostenendo che la procedura adottata dall’azienda violasse le tutele previste dal R.D. 148/1931, in particolare quelle contenute nell’Allegato A del decreto, che richiedono una specifica procedura disciplinare per il personale del settore trasporti.
La Corte d’Appello di Roma, confermando la sentenza di primo grado, aveva già escluso l’applicabilità del R.D. 148/1931 al caso di specie. La motivazione si fondava sull’art. 7, lettera b), del medesimo decreto, che esclude esplicitamente dal suo ambito di applicazione “il personale addetto ai servizi che […] siano soltanto sussidiari del servizio dei trasporti”.
La Cassazione, esaminando il ricorso in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ha ritenuto manifestamente infondato l’argomento del ricorrente, il quale sosteneva che l’appartenenza a un’unità organizzativa interna dell’azienda di trasporto pubblico fosse di per sé sufficiente per attivare le tutele del R.D. 148/1931. Al contrario, la giurisprudenza consolidata — richiamata nell’ordinanza con precisi riferimenti a sentenze risalenti agli anni ‘80 e più recentemente alla Cass. n. 4780 del 1999 — chiarisce che la qualificazione di un servizio come “sussidiario” non dipende dalle mansioni del singolo lavoratore né dalla collocazione organizzativa all’interno dell’azienda, bensì dalla natura oggettiva dell’attività svolta.
In particolare, la Corte ha sottolineato che il servizio espletato dal ricorrente — ovvero la gestione della sosta, dei parcheggi e delle relative sanzioni — presenta caratteri di autonomia economica e funzionale rispetto al core business del trasporto pubblico. Tale attività è stata infatti affidata da Roma Capitale ad A. Spa mediante un contratto di servizio distinto, è remunerata con corrispettivi specifici e, soprattutto, potrebbe essere gestita da qualsiasi soggetto imprenditoriale sul libero mercato, non essendo strutturalmente necessaria al funzionamento del servizio di trasporto.
La Suprema Corte ha quindi ribadito un principio fondamentale: il R.D. 148/1931 tutela solo il personale direttamente coinvolto nell’esercizio del servizio di trasporto pubblico; non si estende, invece, a quelle attività ulteriori — pur svolte da un’unica azienda — che hanno natura imprenditoriale autonoma e sono rivolte a utenza esterna.
Di conseguenza, la procedura disciplinare seguita da A. Spa nei confronti del dipendente non era tenuta a rispettare le forme previste dall’Allegato A del R.D. 148/1931, e il licenziamento è stato ritenuto legittimo.
L’ordinanza si conclude con il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali (quantificate in €4.000), nonché di ulteriori somme a titolo di sanzione processuale (€2.000 a favore della controparte e €2.000 a favore della Cassa delle ammende), in applicazione dell’art. 96 c.p.c., vista la manifesta infondatezza del ricorso. Viene infine dato atto dell’obbligo, a carico del ricorrente, di versare un ulteriore contributo unificato.
Questa decisione conferma un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato, che distingue con chiarezza tra attività essenziali al trasporto pubblico e servizi accessori, evitando estensioni indebite del regime speciale previsto per il personale dei trasporti. Per le aziende del settore e per i professionisti del diritto del lavoro, si tratta di un richiamo importante alla necessità di analizzare la sostanza delle attività svolte, piuttosto che la collocazione amministrativa del personale, al fine di determinare l’applicabilità di normative speciali.

