La pubblicazione in Gazzetta Ufficiale n. 243 del 3 ottobre 2025 della legge 26 settembre 2025, n. 144, segna una svolta epocale nella disciplina della retribuzione minima in Italia. Con questo atto, il Parlamento ha approvato una legge delega – entrata in vigore il 18 ottobre 2025 – che, pur rinunciando a introdurre un salario minimo orario legale di tipo unico e centralizzato, offre un quadro normativo strutturato e vincolante volto a garantire l’effettività del diritto costituzionale alla retribuzione proporzionata e sufficiente di cui all’art. 36, primo comma, della Costituzione. La legge n. 144/2025 si colloca in un contesto giuridico-politico complesso, nel quale la questione del “salario minimo” ha da tempo suscitato dibattiti accesi tra Governo, parti sociali, autorità di vigilanza e giurisdizioni nazionali ed europee. Essa si inserisce, inoltre, in un momento cruciale per l’autonomia regionale, come dimostra la recente sentenza della Corte costituzionale n. 188/2025, che ha dichiarato inammissibili le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Governo contro la Regione Puglia, la quale aveva introdotto, con la legge regionale n. 30/2024, una soglia minima retributiva (9 euro orari) nelle proprie procedure di gara.
La scelta della legge 144/2025: contrattazione collettiva come pilastro della giustizia salariale
Il legislatore ha scelto di non definire un salario minimo orario per legge, ma di costruire un sistema basato sulla valorizzazione della contrattazione collettiva, in coerenza con la tradizione giuslavoristica italiana e con il quadro europeo delineato dalla direttiva (UE) 2022/2041 relativa a salari minimi adeguati. La novità fondamentale è l’introduzione del concetto di “contratti collettivi nazionali di lavoro (CCNL) maggiormente applicati”, da individuare attraverso un metodo oggettivo basato sul numero di imprese e di lavoratori coperti. Tali CCNL costituiranno il parametro legale per determinare le condizioni economiche minime da riconoscere ai lavoratori in ciascun settore. L’art. 1 della legge delega attribuisce al Governo la responsabilità di adottare, entro il termine di sei mesi, uno o più decreti legislativi finalizzati a perseguire specifici obiettivi: garantire retribuzioni eque e proporzionate, conformemente al principio sancito dall’articolo 36 della Costituzione; prevenire il fenomeno del dumping contrattuale, inteso come la diffusione di contratti collettivi stipulati da organizzazioni non rappresentative con il fine esclusivo di ridurre il costo del lavoro; favorire il tempestivo rinnovo dei contratti collettivi nazionali di lavoro scaduti; estendere le tutele ai lavoratori non coperti da alcuna contrattazione collettiva attraverso l’applicazione del contratto collettivo nazionale più idoneo; nonché introdurre specifici obblighi di trasparenza, quali l’indicazione del contratto collettivo applicato sia nelle buste paga sia nei flussi comunicativi verso l’INPS. Particolarmente rilevante è la previsione che imprese appaltatrici e subappaltatrici debbano riconoscere ai propri dipendenti trattamenti non inferiori a quelli del CCNL più rappresentativo del settore oggetto dell’appalto, con conseguente rafforzamento dei poteri di verifica delle stazioni appaltanti.
La tutela dell’art. 36 Cost. nella giurisprudenza: un diritto “perfetto” ma non normativizzato
La scelta del legislatore va letta anche alla luce di una consolidata orientamento giurisprudenziale, che da tempo riconosce all’art. 36 Cost. un valore di diritto soggettivo perfetto, ma che ne ha sempre escluso la trasformazione in una norma direttamente applicabile per fissare un salario minimo legale unico. Come ricordato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 188/2025, infatti, la giurisprudenza ha più volte affermato che il principio di retribuzione proporzionata e sufficiente non comporta l’esistenza di un salario minimo legale, ma impone un sindacato di adeguatezza da esercitarsi in concreto, caso per caso, anche in relazione al CCNL applicabile.
In questa direzione si muovono anche le sentenze della Corte di Cassazione del 2023, in particolare:
- Cass., sez. lav., 2 ottobre 2023, n. 27713 e n. 27711, nelle quali si afferma che il giudice, nel valutare la retribuzione corrisposta, può discostarsi dai minimi tabellari del CCNL applicato se questi risultino in contrasto con il principio di proporzionalità e sufficienza di cui all’art. 36 Cost.;
- Cass., sez. lav., 10 ottobre 2023, nn. 28323, 28321, 28320 e 27769, che ribadiscono il potere del giudice ordinario di controllare l’adeguatezza del trattamento retributivo, anche in presenza di contratti collettivi validi.
Tali pronunce hanno offerto a più riprese un fondamento costituzionale per interventi normativi volti a contrastare il “lavoro povero”, ma sempre nel rispetto dell’autonomia collettiva garantita dall’art. 39, quarto comma, Cost.
Problemi di coordinamento con gli interventi regionali: il ruolo della sentenza n. 188/2025
La legge 144/2025 si inserisce in un panorama di tensioni istituzionali tra Stato e Regioni in materia di tutela salariale. La Regione Puglia, con la legge n. 30/2024, aveva introdotto un meccanismo di salario minimo tabellare (9 euro orari) nelle procedure di gara, con l’obiettivo esplicito di contrastare il dumping contrattuale. Il Governo, attraverso i ricorsi n. 5 e n. 7 del 2025, ha sollevato contestazioni in merito all’intervento regionale, ritenendolo in contrasto con diverse disposizioni costituzionali. In particolare, è stata evidenziata la violazione dell’articolo 36 della Costituzione, poiché la norma regionale introdurrebbe una regolamentazione della retribuzione minima, interferendo così con la disciplina generale del diritto al giusto compenso. Inoltre, il Governo ha rilevato un contrasto con l’articolo 39 della Costituzione, considerando che la disposizione regionale determinerebbe una compressione dell’autonomia nella contrattazione collettiva, limitando il ruolo delle parti sociali. Infine, è stata indicata una violazione dell’articolo 117, secondo comma, lettere l) e m), in quanto l’intervento normativo invaderebbe ambiti di competenza esclusiva dello Stato, quali l’ordinamento civile e la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni. La Corte costituzionale, con la sentenza n. 188/2025 del 5 novembre 2025, ha però dichiarato inammissibili tali questioni, non già nel merito, ma per difetto di motivazione del ricorso governativo. In particolare, la Corte ha rilevato che:«Il ricorrente si limita a dedurre assertivamente che l’ordinamento non prevede un salario minimo stabilito per legge, senza chiarire in che modo la previsione di una soglia minima retributiva, quale criterio di selezione del CCNL applicabile in sede di gara, violi il principio di proporzionalità e sufficienza della retribuzione». Questa decisione non chiude la questione di merito, ma lascia aperto il campo a ulteriori contrasti tra Stato e Regioni, soprattutto in attesa dei decreti attuativi della legge 144/2025, che dovranno definire con precisione il perimetro dei CCNL “maggiormente applicati”.
Una svolta non conclusa
La legge delega n. 144/2025 rappresenta un tentativo articolato e coerente di dare attuazione all’art. 36 Cost. senza violare l’autonomia collettiva. Tuttavia, il suo successo dipenderà dall’efficacia dei decreti attuativi, dalla capacità di individuare in modo trasparente i CCNL rappresentativi, e dalla tenuta del sistema di controlli. Parallelamente, la Corte costituzionale, pur non entrando nel merito della compatibilità costituzionale di interventi regionali come quello pugliese, ha ribadito che qualsiasi disciplina in materia di retribuzione minima deve rispettare il duplice binario costituzionale: da un lato il diritto del lavoratore a una retribuzione sufficiente, dall’altro il ruolo centrale della contrattazione collettiva. In questa prospettiva, la legge 144/2025 non è la fine del dibattito, ma l’inizio di una nuova fase di costruzione di un sistema salariale più giusto, più trasparente e più rispettoso della dignità del lavoro.
Fonti normative e giurisprudenziali citate:
- Costituzione della Repubblica Italiana, artt. 36 e 39;
- Legge 26 settembre 2025, n. 144, pubblicata in G.U. n. 243 del 3 ottobre 2025;
- Direttiva (UE) 2022/2041 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 ottobre 2022;
- Corte costituzionale, sentenza n. 188/2025;
- Corte di Cassazione, sez. lavoro, sentenze nn. 27713, 27711, 28323, 28321, 28320, 27769/2023.

