1. Le dimissioni per giusta causa: fondamento giuridico
Le dimissioni per giusta causa rappresentano un istituto giuridico di tutela del lavoratore subordinato, regolato dall’art. 2119 c.c., che consente di interrompere il rapporto di lavoro senza obbligo di preavviso, quando si verificano fatti gravi a carico del datore di lavoro, tali da rendere impossibile la prosecuzione del rapporto lavorativo anche per un breve periodo.
Tra le principali ipotesi di giusta causa riconosciute dalla giurisprudenza rientrano:
• Mancato pagamento della retribuzione (Cass. n. 32129/2018);
• Mobbing o comportamenti vessatori (Cass. n. 21529/2018);
• Mancata regolarizzazione previdenziale;
• Modifiche peggiorative unilaterali delle condizioni lavorative;
• Ambiente di lavoro pericoloso o in violazione delle norme di sicurezza.
In questi casi, il lavoratore ha diritto non solo a interrompere immediatamente il rapporto di lavoro, ma anche a percepire la Nuova Assicurazione Sociale per l’Impiego (NASpI), poiché la cessazione del rapporto non è frutto di una scelta volontaria, ma di un comportamento illegittimo del datore di lavoro.
2. Il problema del mancato riconoscimento della NASpI da parte dell’INPS
Nonostante il quadro normativo e giurisprudenziale a favore del lavoratore, in numerosi casi l’INPS nega il riconoscimento della NASpI, qualificando le dimissioni per giusta causa come dimissioni volontarie e, pertanto, non rientranti nei casi di disoccupazione involontaria.
Tale diniego si basa spesso su un’errata interpretazione della normativa, che porta l’INPS a considerare qualsiasi atto di dimissioni come una libera scelta del lavoratore, anche quando la cessazione del rapporto è determinata da inadempimenti gravi del datore di lavoro.
La posizione dell’INPS contrasta con:
• L’art. 3 del D.Lgs. 22/2015, che prevede l’accesso alla NASpI anche per chi perde il lavoro non per propria volontà;
• La Cassazione (sentenza n. 16340/2020), che ha ribadito che il lavoratore ha diritto alla NASpI in caso di dimissioni per giusta causa;
• L’art. 38 della Costituzione, che garantisce la tutela previdenziale in caso di disoccupazione involontaria.
Il diniego della NASpI in questi casi costituisce, dunque, una violazione del diritto alla tutela previdenziale del lavoratore, che si trova ingiustamente escluso da una protezione sociale essenziale.
3. Errori giurisprudenziali e problematiche applicative
Uno degli errori più comuni nell’interpretazione giurisprudenziale riguarda la prova della giusta causa.
L’INPS tende a richiedere un accertamento giudiziale della giusta causa prima di riconoscere la NASpI, costringendo il lavoratore a intraprendere un’azione legale onerosa e lunga, mentre in molti casi gli elementi probatori già disponibili dovrebbero essere sufficienti (es. mancato pagamento delle retribuzioni, lettere di contestazione, testimonianze).
Inoltre, alcune sentenze di merito hanno adottato un’interpretazione restrittiva della giusta causa, sostenendo che il lavoratore avrebbe potuto attendere ulteriormente prima di dimettersi, compromettendo così il riconoscimento della NASpI. Questo approccio contraddice il principio sancito dall’art. 2119 c.c., secondo cui la giusta causa esiste nel momento in cui il comportamento del datore di lavoro rende intollerabile la prosecuzione del rapporto.
La NASpI e le problematiche interpretative nella normativa vigente
1. Introduzione
La Nuova Assicurazione Sociale per l’Impiego (NASpI) è stata introdotta con il Decreto Legislativo 4 marzo 2015, n. 22, al fine di garantire un sostegno economico ai lavoratori che si trovano in condizione di disoccupazione involontaria. La normativa di riferimento presenta alcuni elementi di criticità interpretativa, in particolare riguardo ai requisiti di accesso alla prestazione, con implicazioni dirette sul diritto alla tutela previdenziale sancito dall’art. 38 della Costituzione.
2. Quadro normativo
L’art. 3 del D.Lgs. 22/2015 stabilisce che la NASpI spetti ai lavoratori subordinati che abbiano perso il lavoro non per propria volontà, includendo quindi coloro che sono stati licenziati o il cui rapporto di lavoro sia cessato per cause non imputabili alla loro volontà. Tuttavia, l’applicazione di tale disposizione ha generato incertezza in alcune fattispecie specifiche, come nei casi di dimissioni per giusta causa o di risoluzione consensuale del rapporto di lavoro.
D’altra parte, l’art. 38 della Costituzione sancisce il diritto dei lavoratori alla tutela previdenziale in caso di disoccupazione involontaria, imponendo allo Stato l’obbligo di predisporre misure idonee a garantire un’adeguata protezione sociale.
3. Problematiche interpretative
Nonostante la chiarezza del principio costituzionale, l’interpretazione restrittiva dell’art. 3 del D.Lgs. 22/2015 da parte di alcuni enti e giurisprudenza ha portato a situazioni in cui soggetti che, pur non avendo volontariamente cessato il proprio rapporto di lavoro, si sono visti negare l’accesso alla NASpI. Alcune problematiche ricorrenti includono:
- Dimissioni per giusta causa: in alcuni casi, l’INPS ha rigettato domande di NASpI per lavoratori che hanno dato le dimissioni a causa di gravi inadempienze del datore di lavoro, nonostante la giurisprudenza consolidata riconosca il diritto alla prestazione in tali circostanze.
- Risoluzione consensuale: quando il rapporto di lavoro si conclude con un accordo tra le parti, il riconoscimento della NASpI dipende dalla specifica causa della risoluzione, generando incertezze e disparità di trattamento.
- Lavoratori con contratti atipici: alcune categorie di lavoratori subordinati, come i collaboratori occasionali o intermittenti, spesso incontrano ostacoli nell’accesso alla NASpI per via di una lettura rigida dei requisiti di contribuzione.
4. Necessità di un’interpretazione conforme alla Costituzione
Alla luce dell’art. 38 della Costituzione, l’interpretazione della normativa sulla NASpI deve essere orientata a garantire una tutela effettiva ai lavoratori che si trovano in uno stato di disoccupazione non volontaria.
Pertanto, appare necessario:
- Adottare un’interpretazione estensiva del concetto di “disoccupazione involontaria”, includendo tutte le ipotesi in cui la cessazione del rapporto di lavoro non sia dovuta a una libera scelta del lavoratore.
- Uniformare l’applicazione delle regole da parte degli enti previdenziali per evitare disparità di trattamento.
- Prevedere chiarimenti normativi o giurisprudenziali per i casi ambigui, come le risoluzioni consensuali e le dimissioni per giusta causa.
Conclusioni
Il mancato riconoscimento della NASpI da parte dell’INPS in caso di dimissioni per giusta causa rappresenta una violazione dei diritti del lavoratore, derivante da un’errata interpretazione normativa e da un’applicazione giurisprudenziale non uniforme.
Per tutelarsi, il lavoratore può:
1. Presentare un’istanza di riesame in autotutela all’INPS, allegando prove del comportamento illecito del datore di lavoro;
2. Segnalare il caso all’Ispettorato del Lavoro, chiedendo un accertamento ispettivo;
3. Ricorrere al giudice del lavoro, se l’INPS continua a negare l’indennità.
Un’interpretazione più corretta della normativa dovrebbe garantire il diritto alla NASpI a tutti i lavoratori che si dimettono per giusta causa, senza obbligarli a dover affrontare un iter burocratico e giudiziario sproporzionato rispetto alla tutela che la legge dovrebbe garantire.