La Corte Suprema di Cassazione, con la sentenza n. 19381/2023 depositata il 27 ottobre 2025, ha fornito un importante chiarimento in materia di licenziamento disciplinare e, più specificamente, sugli effetti del mancato rispetto del termine procedurale per l’irrogazione della sanzione, così come previsto dai contratti collettivi nazionali di lavoro (CCNL).Il caso riguardava un lavoratore licenziato il 26 febbraio 2020 da una società del settore cartario. Il licenziamento era stato adottato oltre il termine di trenta giorni previsto dall’art. 51, lettera a), del CCNL per il personale dipendente da aziende esercenti l’industria della carta e del cartone, termine entro il quale il datore di lavoro deve comunicare il provvedimento disciplinare conclusivo, salvo proroghe motivate in caso di “istruttoria particolarmente complessa”. La Corte d’Appello di Roma, pur ritenendo illegittima la proroga del termine invocata dal datore di lavoro (per assenza di un’istruttoria realmente complessa), aveva comunque escluso l’applicabilità della tutela reale ex art. 18, comma 4, legge n. 300/1970 (Statuto dei Lavoratori), applicando invece la tutela indennitaria “forte” ex comma 5 dello stesso articolo, con condanna al pagamento di venti mensilità di retribuzione. Il lavoratore aveva proposto ricorso per Cassazione, lamentando l’erronea applicazione della tutela indennitaria anziché quella reale (reintegra), sostenendo che il superamento del termine di legge avesse comportato la decadenza del potere sanzionatorio e, quindi, la nullità del licenziamento.
La Suprema Corte, tuttavia, ha rigettato il ricorso principale, affermando un principio consolidato: “La violazione del termine per l’adozione del provvedimento conclusivo del procedimento disciplinare, stabilito dalla contrattazione collettiva, è idonea a integrare una violazione della procedura di cui all’art. 7 St. lav., tale da rendere operativa la tutela prevista dall’art. 18, comma 6, dello stesso statuto come modificato dalla legge n. 92 del 2012, purché il ritardo nella comunicazione del licenziamento non risulti, accertamento in fatto riservato al giudice di merito, notevole e ingiustificato, tale da ledere in senso non solo formale ma anche sostanziale il principio di tempestività, per l’affidamento in tal modo creato nel lavoratore sulla mancanza di connotazioni disciplinari del fatto e per la contrarietà del ritardo datoriale agli obblighi di correttezza e buona fede (Cass. n. 10802/2023; conf. Cass. n. 15324/2024 e Cass. n. 14172/2025; in coerenza con Cass. SS.UU. n. 30985/2017)”.
Nel caso concreto, la Corte territoriale aveva correttamente rilevato che prima del decorso dei trenta giorni, il datore di lavoro aveva comunicato la proroga del termine, con la conseguenza che: “Indipendentemente dal successivo accertamento giudiziale della sua illegittimità, [tale comunicazione] esclude che si possa essere creato nel lavoratore un qualsivoglia affidamento sulla mancanza di connotazioni disciplinari del fatto contestato”.
Pertanto, non si era perfezionata la fictio iuris secondo cui, in assenza di provvedimento entro il termine, le giustificazioni del lavoratore si intendono accolte (ipotesi che attiverebbe la tutela reale ex art. 18, comma 4). Di qui, la correttezza dell’applicazione della tutela indennitaria ex comma 5. La Cassazione ha invece accolto il ricorso incidentale della società, in relazione alla domanda di restituzione delle somme corrisposte in esecuzione della sentenza di primo grado (poi riformata in appello). La Corte ha ribadito il principio secondo cui: “Il diritto alla restituzione delle somme, pagate in esecuzione della sentenza di primo grado provvisoriamente esecutiva, sorge direttamente in conseguenza della riforma della sentenza, la quale, facendo venir meno ex tunc e definitivamente il titolo delle attribuzioni in base alla prima sentenza, impone di porre la controparte nella medesima situazione in cui si trovava in precedenza (Cass. n. 11491/2006)”.
Ha altresì precisato che tale azione restitutoria non rientra nella condictio indebiti ex art. 2033 c.c., poiché si fonda su un’esigenza di ristabilimento dello status quo ante, non su una valutazione di buona o mala fede. La sentenza impugnata, dichiarando “nulla” la domanda restitutoria per mancanza di specificazione del calcolo, è stata cassata per violazione dei principi sopra richiamati, e la causa è stata rinviata alla Corte d’Appello di Roma, in diversa composizione, per la verifica del credito restitutorio maturato.
Riferimenti normativi e giurisprudenziali citati in sentenza:
- Legge 300/1970 (Statuto dei Lavoratori), art. 18, commi 1, 4, 5 e 6
- Art. 7 St. lav. (procedimento disciplinare)
- Art. 51, lett. a), CCNL industria carta e cartone
- Legge n. 92/2012 (riforma art. 18 St. lav.)
- Artt. 112, 278, 336 c.p.c. (domanda e riforma della sentenza)
- Artt. 115, 421, 437 c.p.c.
- Art. 2033 cod. civ. (condictio indebiti)
- Art. 1282 cod. civ. (interessi legali)
- Cass. n. 10802/2023; Cass. n. 15324/2024; Cass. n. 14172/2025; Cass. SS.UU. n. 30985/2017
- Cass. n. 21569/2018; Cass. n. 5485/2024 (fictio dell’accettazione giustificazioni)
- Cass. n. 24475/2019; Cass. n. 25589/2010; Cass. n. 14178/2009; Cass. n. 21992/2007 (azione di ripetizione)
- Cass. n. 28646/2021 (interessi legali dalla data del pagamento)
- Cass. n. 10124/2009; Cass. n. 814/2015; Cass. n. 6457/2015; Cass. n. 2662/2013; Cass. n. 8639/2016; Cass. n. 15457/2020 (domanda restitutoria in appello)
- Cass. n. 11115/2021 (non contestazione del pagamento)
- Cass. n. 7353/2004; Cass. n. 27932/2005; Cass. n. 11491/2006 (obbligo di restituzione ex tunc)
Questo caso dimostra come, anche in presenza di illeciti procedurali, non sempre si attivi la tutela reale: è decisivo il comportamento concreto del datore di lavoro e il contesto fattuale, valutati dal giudice di merito. La Cassazione ribadisce così un approccio equilibrato, attento sia ai diritti del lavoratore sia alla corretta gestione del contenzioso.

