Nel panorama del diritto previdenziale, una questione di particolare rilevanza è stata recentemente chiarita dalla Corte Suprema di Cassazione, Sezione Lavoro, con l’ordinanza n. 4724 del 23 febbraio 2025. Il provvedimento interviene con autorevolezza su un tema controverso: la possibilità per un lavoratore, già titolare di assegno ordinario di invalidità, di optare per l’indennità di disoccupazione NASpI (Nuova Assicurazione Sociale per l’Impiego), e, soprattutto, se tale opzione debba essere esercitata entro un termine prestabilito.
Il quadro normativo di riferimento
L’art. 11, lett. e), del d.lgs. n. 22 del 2015 (cd. Jobs Act) prevede espressamente che il lavoratore decade dal diritto alla NASpI nel momento in cui acquista il diritto all’assegno ordinario di invalidità, salvo il suo diritto di optare per la NASpI. Tuttavia, la norma non fissa alcun termine entro il quale l’opzione debba essere esercitata. Un caso speculare si verifica quando, al contrario, il lavoratore già titolare dell’assegno di invalidità perde il lavoro e matura i requisiti per la NASpI. In tale ipotesi, la possibilità di opzione non è disciplinata direttamente dal legislatore, ma trova fondamento nella sentenza della Corte costituzionale n. 234 del 2011, la quale ha affermato il principio secondo cui il cittadino ha diritto a scegliere tra due prestazioni previdenziali alternative, quando ne ricorrano i presupposti.
La posizione dell’INPS e il contenzioso
L’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, con la circolare n. 138 del 2011, aveva introdotto un termine di esercizio dell’opzione, richiedendo che questa fosse formulata contestualmente alla domanda amministrativa per la NASpI, pena la decadenza. Secondo l’Istituto, tale termine trovava giustificazione nel secondo comma dell’art. 1287 del codice civile, secondo il quale, in caso di obbligazioni alternative, il debitore può fissare un termine per l’esercizio della scelta da parte del creditore.
Tale impostazione è stata però rigettata in modo chiaro e motivato dalla Cassazione.
Il rilievo giurisprudenziale della Cassazione
La Suprema Corte, con l’ordinanza in commento, ha affermato che le prestazioni NASpI e assegno di invalidità non costituiscono obbligazioni alternative ai sensi degli artt. 1285 e ss. c.c. Il fondamento di tale esclusione risiede nel fatto che le due prestazioni non nascono in modo concorrente, ma successivamente nel tempo: una obbligazione originaria (ad esempio, la NASpI) viene a sovrapporsi a un’altra (l’assegno di invalidità) a seguito di un mutamento della situazione soggettiva del beneficiario. La Corte ribadisce un principio consolidato: le norme che prevedono decadenze vanno interpretate in modo rigorosamente letterale e non sono suscettibili di applicazione analogica (Cass., sez. lav., 22 agosto 2024, n. 23040; 31 marzo 2021, n. 8964; 25 novembre 2020, n. 26845). Di conseguenza, non è possibile introdurre termini di decadenza tramite atti amministrativi secondari, come le circolari, che hanno natura meramente interpretativa e non vincolante.
Conseguenze pratiche e orientamenti applicativi
L’ordinanza chiarisce dunque che il diritto di opzione tra NASpI e assegno ordinario di invalidità non è vincolato a un termine perentorio, né stabilito per legge né introdotto unilateralmente dall’INPS. Il beneficiario conserva tale facoltà finché sussistono i presupposti per entrambe le prestazioni, e può esercitarla in qualsiasi momento, purché prima che si verifichi la decadenza da una delle due posizioni soggettive. Tale soluzione garantisce pieno rispetto del principio di tutela del cittadino, in linea con l’indirizzo costituzionale e con una visione del diritto previdenziale orientata alla protezione effettiva e non alla mera formalizzazione.
La decisione della Corte di Cassazione del 23 febbraio 2025 rappresenta un importante presidio a tutela dei diritti dei lavoratori con disabilità, riaffermando che la scelta tra due misure di sostegno al reddito deve essere effettivamente libera, non compressa da limiti temporali non previsti dal legislatore. Il messaggio è chiaro: in assenza di una norma di legge che fissi un termine, nessun atto amministrativo può introdurre decadenze, soprattutto in materie sensibili come la previdenza sociale.
In un’epoca in cui la burocrazia rischia di soffocare i diritti, la giurisprudenza della Corte appare come un faro di equilibrio, ragionevolezza e rispetto della persona.

