Cass. Civ. Sez.Lav. 1173/24
Costituisce ius receptum nella giurisprudenza di legittimità che il lavoratore abbia diritto di agire nei confronti del datore di lavoro per l’accertamento dell’omissione contributiva prima ancora del
maturare di qualsiasi danno previdenziale (che è invece legato, come è noto, alla prescrizione della contribuzione e dal prodursi della mancata erogazione della prestazione per testuale previsione dell’art.2116,2° comma).
Tali principi sono stati ribaditi dalla Sezione lavoro della Suprema Corte di cassazione in numerosi arresti, nei quali si è affermato costantemente che, a fronte di una “irregolarità contributiva”, il lavoratore ha la possibilità, prima del raggiungimento dell’età pensionabile, di “esperire un’azione di condanna generica al risarcimento del danno ex art.2116 c.c. oppure un’azione di mero accertamento dell’omissione contributiva quale comportamento
potenzialmente dannoso” Così Cass. Sez. lav. n. 26990/2005; Cass n. 22660/2016; Cass. 22/1/2015 n.1179, Cass. 8/6/2021 n.15947; Cass. n. 36321 del 13/12/2022; Cass. n. 5825/1995; e Cass. n. 7104 del 1992, Cass. n. 1304/1971, n. 1374/1974, n. 2392/1965
e n. 912/1966; e in senso conforme: Cass. n. 10528/1997, n. 22751/2004; n. 26990/2005; n. 13997/2007; n. 2630/2014, n. 21300/2014; n. 1179/2015, n. 22660/2016; e in termini esatti o analoghi Cass 3.12.2004, n. 22751; Cass. 0.3.2001, n. 3963; Cass 2.11.1998, n. 10945; Cass. 26.5.1995, n. 5825; Cass. 26.10.1982, n. 5612; Cass. 2.4.1982, n. 2048; 24.1.1981, n. 551; 9.7.1979, n. 3933;
precisandosi che tale tutela è esperibile anche nel corso del rapporto di lavoro.
Infine, da ultimo, sull’autonomo diritto al regolare versamento contributivo e sulla tutela di mero accertamento dell’omissione contributiva quale comportamento potenzialmente dannoso, v. Cass. n. 7212 del 18.3.2024,).
Tale costante insegnamento si fonda sull’assunto, secondo cui pur non essendo creditore dei contributi previdenziali (Cass. Sez. Un. n. 7514/2022, Cass. n. 20697/2022; Cass. 6722 del 10/03/2021) – il lavoratore è comunque titolare del diritto, di derivazione costituzionale, alla “posizione contributiva” ovvero del “diritto all’integrità della posizione contributiva” a cui l’omissione contributiva reca un pregiudizio attuale (“danno da irregolarità contributiva”), quale comportamento potenzialmente dannoso.
Egli, perciò, ha sempre un interesse qualificato a proteggere sul piano contrattuale la sua posizione assicurativa ed il diritto all’integrità dei contributi quale bene strumentale rispetto al suo diritto, costituzionalmente tutelato dall’art. 38, comma 2, Cost., al soddisfacimento delle esigenze di vita in caso di avveramento di un rischio protetto dalla legge.
“Più precisamente, il diritto alla posizione assicurativa si configura come un diritto-mezzo rispetto al diritto-fine della protezione di quegli eventi: il bene che esso protegge (consistenza attuale della posizione assicurativa) è strumentale rispetto alla protezione del bene (soddisfacimento delle esigenze di vita in caso di avveramento del rischio) alla quale sono preordinate le varie disposizioni che disciplinano il complesso meccanismo delle assicurazioni sociali”. In tali termini si è espressa già Cass. n. 7104 del 1992, la quale aggiunge: “secondo un indirizzo risalente alle sentenze nn. 2392-1965 e 912-1966 Corte di Cassazione (e confermato e precisato successivamente: cfr. Cass. n. 1304-1971 e 1374-1974 citate), l’obbligazione del datore di lavoro di versare i contributi dà luogo a due distinti diritti in capo al lavoratore: a) un diritto alla posizione assicurativa, azionabile non appena si verifichi l’omissione contributiva e (nella forma del risarcimento danni, per equivalente o in via specifica) anche dopo che il diritto dell’INPS ai contributi sia prescritto (pur se sempre nei limiti della prescrizione decennale decorrente dal giorno della prescrizione dei contributi: arg. ex Cass. n. 9270-1987); b) un diritto al risarcimento del danno ex art. 2116-2 c.c., azionabile quando per effetto della mancata contribuzione, della prescrizione dei contributi non altrimenti riparata, e del verificarsi dell’evento protetto la prestazione previdenziale, che quell’evento dovrebbe tutelare, risulti in tutto o in parte non più conseguibile.” Tutto ciò risulta ancor più evidente, in tutta la sua concretezza, nell’attuale ordinamento previdenziale, improntato al sistema di calcolo delle prestazioni secondo il metodo contributivo, con effetti costitutivi del diritto ed incrementativi delle prestazioni correlati alla quantità della contribuzione effettivamente dovuta, secondo il principio di automaticità. Avendo quindi sempre il lavoratore un interesse, concreto ed attuale, a vedersi accertato a fronte del lavoro svolto e dell’inadempimento datoriale il diritto al maggior numero possibile di contributi, Nel descritto quadro giurisprudenziale, a fronte dell’obbligo del datore di lavoro di assolvere al pagamento dei contributi, l’interesse del lavoratore al versamento degli stessi si traduce perciò in un diritto soggettivo alla posizione assicurativa perché in sostanza solo questo diritto si trasforma nel diritto alla prestazione previdenziale al verificarsi dell’evento protetto o nel diritto al risarcimento dei danni per il mancato conseguimento di tale prestazione.
Come si è visto, di tale interesse si è fatta carico, da sempre, la giurisprudenza di legittimità riconoscendo con orientamento risalente e consolidato, il diritto del lavoratore alla tutela della regolarità della sua posizione contributiva (c.d. diritto alla regolarizzazione contributiva) anche nei confronti del datore di lavoro, pur nel rispetto dell’autonomia dei rapporti, attraverso il meccanismo dell’accertamento, anche incidentale.
“Posto che l’omissione della contribuzione produce un duplice pregiudizio patrimoniale a carico del prestatore di lavoro, consistente, da un lato, dalla perdita, totale o parziale, della prestazione previdenziale pensionistica, che si verifica al momento in cui il lavoratore raggiunge l’età pensionabile, e, dall’altro, dalla necessità di costituire la provvista necessaria ad ottenere un beneficio economico corrispondente alla pensione, attraverso una previdenza sostitutiva, eventualmente pagando quanto occorre a costituire la rendita di cui all’art. 13 della legge 12 agosto 1962, n. 1338, se ne è desunto che le situazioni giuridiche soggettive di cui può essere titolare il lavoratore, nei confronti del datore di lavoro, consistono, una volta raggiunta l’età pensionabile, nella perdita totale o parziale della pensione che dà luogo al danno risarcibile ex art. 2116 c.c., mentre, prima ancora del raggiungimento dell’età pensionabile e del compimento della prescrizione del diritto ai contributi, nel danno da irregolarità contributiva, a fronte del quale il lavoratore può esperire un’azione di condanna generica al risarcimento del danno ex art. 2116 c.c., ovvero di mero accertamento dell’omissione contributiva quale comportamento potenzialmente dannoso” (Così, Sez. L, n. 5825/1995, e in senso conforme Sez. L n.10528/1997, n. 22751/2004; Sez. L, n. 26990/2005; e 13997/2007; n. 2630/2014, n. 21300/2014; n. 1179/2015, n. 22660/2016 e le altre prima citate).
Pertanto, non vi è alcun motivo giustificato per disattendere tale indirizzo in una controversia come quella in esame, instaurata dal lavoratore ricorrente allo scopo di fare accertare, a fronte di un’omissione contributiva, il proprio “diritto alla integrità della posizione contributiva”.
Va solo chiarito che la domanda di accertamento proposta, secondo principi risalenti, sorge sul piano contrattuale, con l’instaurazione del rapporto di lavoro, e va indirizzata nei confronti del datore di lavoro nei cui riguardi come ripetutamente detto il lavoratore vanta un vero e proprio diritto soggettivo alla integrità contributiva, ovvero al regolare versamento dei contributi previdenziali, perché la posizione assicurativa, pur strumentale per l’accesso alla prestazioni pensionistiche, costituisce un bene suscettibile di lesione e quindi di immediata tutela giuridica già nel corso del rapporto di lavoro quando non risultino pagati i contributi assicurativi e prima ancora di qualsiasi evento protetto.
La legittimazione processuale ad agire per l’accertamento dell’obbligo contributivo va ritenuta non alternativa a quella dell’ente previdenziale, ma autonoma rispetto ad essa, in considerazione dell’attualità del pregiudizio che per il mancato incremento dell’anzianità contributiva utile a pensione si determina direttamente nella sfera giuridica del lavoratore.
Svolgendosi esclusivamente sul piano del rapporto contrattuale, l’azione è rivolta ad accertare soltanto la debenza dei contributi previdenziali correlati a determinate poste retributive ed anche la potenzialità dell’omissione contributiva a provocare danno (salva poi la facoltà di esperire, al momento del prodursi dell’evento dannoso, la diversa azione risarcitoria ex art. 2116, comma 2, c.c. o quella in forma specifica ex art. 13, L. 12 agosto 1962, n. 1338).
Per giurisprudenza costante il lavoratore non può agire invece per la condanna al pagamento della contribuzione, il cui diritto di credito è attribuito esclusivamente in capo all’ente previdenziale non prevedendo la legge alcuna forma di sostituzione processuale, come sarebbe invece necessario ai sensi dell’art. 81 c.p.c. il quale recita che “fuori dei casi espressamente previsti dalla legge nessuno può far valere nel processo in nome proprio un diritto altrui”. (Cass. n. 6722 del 10/03/2021).
Come già detto, la giurisprudenza ha ammesso inoltre la condanna generica al risarcimento del danno futuro da omissione contributiva, anche quando non siano verificati tutti i requisiti per il conseguimento della prestazione (su cui da ultimo, Cass. n. 7212/2024 cit.).
Va pure evidenziato che la conclusione qui raggiunta non pone certamente alcun profilo di contrasto con la più recente giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. nn. 8956, 17320 e 24924 del 2020) la quale ha sostenuto che, quando chieda la condanna del datore al pagamento dei contributi, il lavoratore sia tenuto ad integrare il contraddittorio nei confronti dell’INPS, la cui violazione è rilevabile anche d’ufficio in cassazione e con effetto di annullamento del processo e rimessione del giudizio in primo grado.
Ma in senso contrario si è posta la successiva Cass. n. 20697/2022 la quale invece stante il sempre affermato difetto di legittimazione attiva originario ha concluso tuttavia per l’annullamento in parte qua della sentenza che su domanda del lavoratore aveva condannato il datore a pagare i contributi all’Inps, senza pronunciare perciò alcun annullamento in toto della sentenza di merito e senza, in particolare, disporre l’integrazione del contraddittorio fin dal primo grado.
Premesso che l’eventuale espletamento di quest’ultimo estremo incombente sarebbe comunque subordinato all’identificazione di una domanda di condanna da parte del giudice di merito (da effettuarsi in base all’individuazione dell’effettiva finalità che spinge l’attore a promuovere il giudizio; Cass. n. 19435 del 20/07/2018; Cass. n. 5832/21), nel caso di specie tale possibilità è però per definizione esclusa in considerazione del fatto che si discute, pacificamente, di una domanda di accertamento e non di condanna.
Dell’impugnata sentenza s’impone, perciò, la cassazione in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Corte d’Appello di Torino, che in diversa composizione procederà a nuovo esame, facendo applicazione del seguente principio di diritto: “Il lavoratore, a tutela del proprio diritto all’integrità della posizione contributiva, ha sempre l’interesse ad agire, sul piano contrattuale, nei confronti del datore di lavoro, per l’accertamento della debenza dei contributi omessi in conseguenza dell’effettivo lavoro svolto, prima ancora della produzione di qualsivoglia danno sul piano della prestazione previdenziale e senza che sia necessaria la integrazione del contraddittorio con L’INPS.